mercoledì 30 dicembre 2009

Astronomia - Settima parte

(leggi la sesta parte ...)

E il concetto di sfera celeste?

La prima sensazione quando si osserva il cielo stellato è che tutti gli oggetti (almeno tutte le stelle puntiformi) siano alla stessa distanza da noi, una distanza imprecisata e impossibile da misurare in assenza di riferimenti. Questa sensazione è alla base del concetto di sfera celeste, un concetto immutato per millenni, accettato sia dalla visione di Tolomeo sia da quella di Copernico. Il punto però è che questo concetto non è necessario e a ben vedere neppure osservabile, cioè non ci sono osservazioni che lo avallano. Dunque si può insinuare il ragionevole dubbio che la sensazione di partenza sia erronea e che in realtà gli oggetti celesti siano disposti in modo da risultare a distanze diverse dalla Terra. Si può immaginare un cielo completamente diverso, non chiuso in una sfera ma aperto, forse anche infinito.

Ma per quale motivo abbiamo la sensazione precisa di uno schiacciamento di tutte le stelle su una ipotetica sfera celeste? E' facile immaginare che se ho vari oggetti immobili posti tutti a grandi distanze (anche se molto diverse tra loro) da me che li osservo, mi risulta praticamente impossibile (in assenza di riferimenti) stabilire qual'è il più vicino e il più lontano tra essi, anzi, addirittura non sò dire neppure se sono a distanze diverse oppure no. E' abbastanza raro in un paesaggio terrestre non avere dei punti di riferimento che ci permettono di fare queste valutazioni, ma nell'osservazione del cielo stellato questa è la norma. Dunque se le stelle sono tutte molto lontane da noi è quasi impossibile accorgersi se sono a distanze diverse oppure no, e ovviamente la loro luminosità può essere un'indicazione fuorviante, nel caso che le luminosità intrinseche varino da stella a stella.

Ma c'è un tipo di osservazione che ci può aiutare, ed è quella della parallasse annuale. La parallasse in poche parole è quel fenomeno che ci permette di valutare le distanze degli oggetti attraverso l'angolo sotto cui le guardiamo. E' il classico fenomeno del treno in corsa, da cui vediamo sfrecciare velocemente gli oggetti vicini mentre quelli lontani sembrano praticamente immobili, in quanto l'angolo di osservazione cambia tanto meno rapidamente quanto più è lontano l'oggetto. Ad esempio per quanto ci si sposti la luna ci appare sempre sotto lo stesso angolo di visuale, come se ci seguisse nel nostro movimento. Questo è indicativo del fatto che la luna è un oggetto estremamente più lontano di qualsiasi altro oggetto terrestre. E' ovvio che la parallasse ci può aiutare a stimare le distanze degli oggetti che osserviamo e di fatto questo è stato il primo metodo di misura delle distanze stellari. Le osservazioni necessarie per utilizzare questo metodo sono piuttosto raffinate in quanto la parallasse degli oggetti del cielo è piccolissima. Si ottengono angoli percettibili misurando la parallasse annuale, che è pari allo scarto angolare di una stella osservata a distanza di sei mesi, cioè dalle due parti opposte dell'orbita terrestre!

Misure di questo tipo fatte in maniera sistematica e paziente ci hanno rivelato un universo incredibilmente grande. Le distanze stellari dalla Terra, lungi dall'essere tutte uguali, rivelano una terza dimensione del cielo del tutto inimmaginabile a prima vista. Le costellazioni sono di fatto costituite da gruppi di stelle lontanissime tra loro, e i loro disegni nel cielo cambierebbero completamente se solo fossimo capaci di spostare il nostro punto di osservazione.

Conclusioni

Tutto quello che ho raccontato ha come punto di partenza un solo dato osservativo generale, quello del cielo stellato. Attraverso la sua capacità di osservare ed immaginare ciò che non è direttamente osservabile l'Uomo ha costruito nel corso dei numerosi secoli della sua Storia una visione coerente del mondo. Certamente incompleta. Si tratta di continuare ad osservare ed immaginare.

venerdì 25 dicembre 2009

Beneficienza

La beneficienza è un chiaro atteggiamento di destra. Nel fare beneficienza non solo non si modifica mai di un millimetro il rapporto di disuguaglianza tra beneficiante e beneficiario ma in un certo senso lo si ratifica. Doniamo una risorsa per noi irrisoria a chi non ha tramite questa nessuna possibilità di riscattarsi, cioè di modificare il proprio status.

E' un gesto umanitario, siamo d'accordo, ma sottintende una visione della società tipicamente di destra. Sappiamo bene che non possiamo portare tutto il terzo mondo al nostro livello di benessere, perchè non ce lo possiamo permettere. L' egualitarismo è un' utopia dannosa. Le cose devono rimanere così, strutturalmente le stesse. La beneficienza alla fine è del tutto funzionale al nostro modello inegualitario di società, e il suo scopo principale è quello di far star bene noi che la facciamo, sia materialmente che moralmente.

sabato 19 dicembre 2009

Lo studio è un valore

Non credo alla fine di aver mai pensato seriamente che il mio lavoro dovesse necessariamente essere legato agli studi fatti, e che questo fosse cruciale per potermi dire "realizzato", o per poter dire di aver fatto scelte "di successo". Probabilmente questo ha contribuito a fare in modo che non avessi al momento giusto la determinazione necessaria per lavorare in un modo o nell'altro nell'ambito degli studi effettuati. Forse.

Ho sempre considerato lo studio un valore in sè. Il mio lavoro non è direttamente collegato con i miei studi ma è un fatto che essi tuttora mi definiscono come persona, costituiscono una parte essenziale della mia storia culturale, formano i miei modi di pensare e con essi ho costruito la mia (imprecisa) visione del mondo.

Non riesco a distinguere lo studio istituzionale che porta a conseguire un qualche grado di istruzione dallo studio in senso lato, inteso come esercizio, riflessione, acquisizione di conoscenze affascinanti. E sono convinto che questa distinzione non vada fatta, finchè è possibile. La costruzione di conoscenze scorporate dal fascino che queste suscitano è innaturale e non lascia nessuna traccia significativa. E' fondamentalmente per questo che il titolo di studio spesso non dice assolutamente nulla di chi lo ha conseguito. Credo che ci si possa laureare in qualsiasi cosa, esame dopo esame, senza che questo costituisca una parte essenziale della propria cultura.

Ho studiato musica senza conseguire alcun titolo e questo non è mai stato un mio rammarico, semmai lo è stato quello di abbandonarla a più riprese. Nessuno sbocco professionale, "solo" conoscenze.

venerdì 11 dicembre 2009

Pollini da Fazio

"Maestro, secondo lei perchè c'è tanto pubblico che frequenta mostre di arte contemporanea, che va a vedere ad esempio Pollock, e che al tempo stesso non si avvicina altrettanto facilmente alla musica contemporanea?" dice (più o meno) Fabio Fazio rivolgendosi a Maurizio Pollini. Successivamente prova anche, provocatoriamente, a domandare che cos'è la musica contemporanea, o meglio qual'è la musica contemporanea, tra le infinite strade che la musica in generale ha percorso in quest'ultimo secolo.

Pollini cerca con difficoltà di organizzare una risposta, e da quello che esce fuori si capisce che è uno che certamente ha imparato molto bene ad esprimersi con la musica ma non altrettanto bene con il linguaggio verbale. Però anche quel poco che dice ha degli aspetti interessanti.

Intanto per Pollini la musica contemporanea è quella che vien fuori dalla lunga tradizione musicale occidentale, ed è curioso che questo debba essere sottolineato. Fazio, forse involontariamente, per fare il parallelo con la pittura cita Pollock, cioè un autore che certamente si colloca nello sviluppo della lunghissima storia delle arti figurative in occidente, e non credo ci possano essere equivoci quando si parla di pittura contemporanea. Ma non ce ne sono neanche quando si parla di architettura contemporanea o di letteratura contemporanea. I grandi della letteratura contemporanea sono spesso elencati addirittura tra i premi Nobel. Non ci si può sbagliare.

Per la musica contemporanea invece la situazione appare più incerta tanto da suscitare dubbi addirittura su che cosa sia. La sua caratteristica più evidente è che non ha pubblico, ed è ciò che infatti voleva sottolineare Fazio nella sua prima domanda. Nella seconda invece abbozzava l'ipotesi che non ha pubblico in quanto quella non è la vera musica contemporanea, cioè la musica del nostro tempo.

Pollini nel proseguire la sua risposta tira fuori un problema che è quello di sempre, cioè l'abitudine all'ascolto, che in definitiva è l'educazione musicale e quindi la cultura musicale. E qui ci infila però un'osservazione molto semplice ma non proprio così peregrina che alla fine lascia intendere che la mancanza di cultura è molto più ampia di quanto non si creda e che non è certo un problema esclusivo della musica. Lui dice: nella pittura posso dedicare ad un certo quadro il tempo che voglio, posso vedere un'intera galleria stando non più di 30 secondi davanti a ciascuna opera. La musica invece ha per sua natura una fruizione più difficile, certamente più impegnativa, obbligata nei tempi e nelle modalità.

Secondo me con questa risposta (ben poco articolata e argomentata) Maurizio Pollini vuole intendere che:
1. buona parte del pubblico che frequenta musei e gallerie ha di fatto una fruizione superficiale dell'arte, che può essere anche del tutto occasionale;
2. buona parte della produzione musicale non permette tanto facilmente una fruizione disinvolta e occasionale, tra queste c'è quella che Pollini intende per musica contemporanea (ma sicuramente non c'è solo quella);
3. la fruizione occasionale della musica porta inesorabilmente verso forme musicali più immediate ma molto spesso (anche se non sempre) ben più scadenti, contribuendo a costruire una cultura musicale media di basso livello (ampiamente sfruttata dall'industria discografica).

Se questo era quello che voleva dire Pollini sono abbastanza daccordo. Non sono sicuro che queste siano le sole motivazioni che hanno allontanato il grosso pubblico dalla musica contemporanea.

domenica 6 dicembre 2009

Conoscenza e mistero

Nel trasmettere conoscenza bisognerebbe sempre fare attenzione al suo vitale rapporto con il mistero. Intendo dire che un grande fascino della conoscenza sta nel delineare quello che si conosce insieme a quello che ancora non si conosce. Qualunque aspetto della conoscenza ha i suoi confini, spesso molto sfumati da tutti i dubbi che si possono sollevare su quello che si pensa di conoscere. Questi confini e questi dubbi sono il carburante che alimenta i progressi in qualunque ramo del sapere. Sarà anche banale ma ritengo che questo sia un elemento cruciale in qualunque insegnamento.

Questo fa sì che anche in insegnamenti di conoscenze assodate, storiche, per così dire istituzionali, il rapporto con "lo stato attuale delle conoscenze" gioca un ruolo fondamentale nel rendere quell'insegnamento vivo e interessante. Mi rendo conto che non è facile (l'insegnamento non è mai facile, di qualsiasi ordine e grado sia) ma credo anche che possa/debba essere applicato praticamente ovunque. Chi riceve l'insegnamento deve costantemente percepire che "l'oggetto conoscenza" è dinamico, pronto a cambiare, al limite anche attraverso un suo personale contributo.

Non mi riferisco solo alla conoscenza tecnico-scientifica anche se sembrerebbe che questo discorso sia applicabile soprattutto a forme di conoscenza a carattere "cumulativo". Secondo me si riesce a rendere interessante lo studio della letteratura, dell'arte, della musica, della filosofia, ecc. solo facendo riferimento a come si scrive, come si fa teatro, come si dipinge, si fa musica o si fa filosofia oggi. E soprattutto facendo capire che queste discipline non vanno solo guardate, ma possono in qualche misura anche essere praticate. L'idea del contributo attivo mi sembra di importanza cruciale. Fa si che chi riceve l'insegnamento si senta personalmente coinvolto nel processo di conoscenza, si senta dentro lo sviluppo della cultura, e che non stia lì semplicemente a subirla. Secondo me un ragazzo che cresce così avrà sicuramente maggiori possibilità di contribuire un giorno significativamente alla cultura del suo tempo.

Un insegnamento che non si pone questo problema rischia sempre di essere acritico, scontato. Nell'insegnamento delle scienze questo modo arido di insegnare è quasi una regola ("questa cosa funziona così, quest'altra cosà, punto", una collezione di nozioni scientifiche messe in fila), ma molte altre aree di insegnamento incappano spesso nello stesso problema. Il fatto scontato (raccontato come tale) rende tutta la conoscenza (e il processo di conoscenza) banale, dunque non interessante e su cui non vale la pena di perder tempo. Inoltre l'istruzione acritica genera una forma mentale nociva, e, cosa ancora più grave, l'abito mentale acritico è esso stesso un dato culturale e in quanto tale viene sistematicamente trasmesso. E' opportuno ricordare che le menti acritiche sono sempre funzionali al potere, di qualsiasi tipo e di qualunque forma.

giovedì 26 novembre 2009

Astronomia - Sesta parte

(leggi la quinta parte ...)

Il sistema del mondo di Copernico

Copernico nella sua opera De Revolutionibus Orbium Caelestium fece un'ipotesi (uno sforzo di immaginazione), non avvalorata da alcuna possibile osservazione nè da argomentazioni di carattere fisico (entrambe ancora impossibili ai suoi tempi), che sconvolgeva il sistema del mondo fino ad allora accettato e che si dimostrò ben presto feconda di sviluppi interessanti. Questa ipotesi aveva il pregio di gettare nuova luce sull'interpretazione di molti dati osservativi dell'epoca. Si trattava di abbandonare l'idea di immobilità della Terra e conseguentemente anche della sua centralità. Copernico spostò il punto di riferimento per la descrizione dei moti celesti sul Sole, ovvero considerava quest'ultimo l'oggetto centrale del sistema, attorno al quale ruotavano tutti i pianeti, Terra compresa. Più esattamente attribuì alla Terra due moti distinti principali: la rotazione diurna e la rivoluzione annuale attorno al Sole.


Proviamo a rivedere il tutto alla luce della nuova ipotesi di una Terra in movimento

Il primo dato osservativo che abbiamo descritto è la rotazione diurna della sfera celeste. Questa rotazione delle stelle fisse diventa apparente, risultato della reale rotazione diurna della Terra attorno al suo asse. Un secondo dato osservativo riguardava il percorso annuale del Sole lungo l'eclittica. Anche questo movimento è di fatto apparente, risultato della rivoluzione reale della Terra attorno al Sole nell'arco appunto di un anno. L'eclittica non è altro che il piano dell'orbita terrestre, e la sua inclinazione con l'equatore ci dice semplicemente che l'asse di rotazione terrestre è inclinato rispetto al piano dell'orbita. Dunque il progressivo spostarsi del sole lungo l'eclittica da ovest verso est non è altro che la proiezione sulla sfera celeste del progressivo avanzare della Terra sulla sua orbita (in senso antiorario, se visto dal polo nord celeste). Certo da questa ipotesi discende pure che la Terra si sposta rispetto alle stelle fisse, e di questa affermazione non c'è un'evidenza sperimentale, ma ciò potrebbe essere facilmente spiegato ipotizzando una distanza della sfera delle stelle fisse enormemente più grande rispetto alle dimensioni dell'orbita terrestre, tale da rendere il movimento relativo del tutto impercettibile. Ma il dato osservativo più importante è il moto retrogrado dei cinque pianeti. La cosa veramente notevole è che questo bizzarro comportamento risulta discendere in modo diretto e semplice dalla composizione del moto di rivoluzione terrestre con il moto di rivoluzione del singolo pianeta attorno al sole. L'inversione del moto del pianeta è in realtà dovuto ad un'inversione di moto relativo tra la Terra e il pianeta stesso, entrambi in orbita antioraria attorno al sole. Basta immaginare due cerchi concentrici percorsi dai due corpi celesti con velocità differenti. Probabilmente la spiegazione semplice del problema dei pianeti è stata all'epoca l'argomentazione tecnica più convincente a favore del sistema eliocentrico. E la luna? Beh, abbiamo visto che questa si comporta come il sole anche se fa un giro completo della sfera celeste molto più velocemente, dunque non ha moti retrogradi. Ciò significa che la luna non gira direttamente attorno al sole. L'altra possibilità è che giri attorno alla Terra, che a sua volta gira attorno al sole; il viceversa è da escludere in quanto altrimenti il moto apparente del sole risulterebbe molto più complicato.

(leggi la settima parte ...)

venerdì 20 novembre 2009

Il cubo di Rubik

Facevo la seconda liceo (anno scolastico 1981-82) quando io e alcuni compagni di classe maneggiavamo praticamente tutti i giorni, anche in classe, quell'oggetto bellissimo che è il cubo di Rubik. Ero arrivato da solo a fare i primi due strati del cubo, ed ero già molto contento di questo. Anche tra gli altri miei compagni non mi pare di ricordare qualcuno che riusciva a risolverlo senza ricorrere a delle istruzioni che in quell'anno venivano pubblicate in vari manualetti, spesso allegati al gioco. Io avevo un cubo di non grandissima qualità (ma neanche troppo scarsa visto che ce l'ho ancora, e funzionante) e ad esso non era allegato nessun foglietto di istruzioni. Rimediai un manuale fotocopiato attraverso il padre di un amico di mio fratello, se non ricordo male, e cominciai a studiarmelo. Con i compagni di classe poi cercavamo di risolverlo nel minor tempo possibile, ma non ricordo esattamente i tempi.

A distanza di circa 28 anni ricordo ancora la soluzione. La cosa carina è che il manualetto che ho avuto per le mani quell'anno sottolineava che la soluzione proposta era "minimale" dal punto di vista della memoria, ovvero sfruttava poche sequenze di mosse, tutte piuttosto facili da ricordare. Probabilmente non ricordo tutte le sequenze e le varianti che venivano riportate ma certamente ricordo quelle essenziali visto che lo risolvo.

Ciascuna sequenza di mosse sul cubo produce un certo effetto che occorre osservare bene ed eventualmente sfruttare per ottenere un particolare risultato, magari applicando quella sequenza più volte o la sua simmetrica rispetto ad un qualche piano del cubo, cominciando da configurazioni diverse di partenza. Le sequenze applicate ripetutamente un certo numero di volte risultano essere delle simmetrie per il cubo, cioè lo riportano alla configurazione di partenza.

In fondo a questo post riporto le tre sequenze di mosse che ricordo, con qualche nota a margine. Aiutandosi con le indicazioni che fornisco e ragionandoci un po' su si dovrebbe poter arrivare alla soluzione del cubo. Recentemente ho fatto una serie di prove determinando un numero medio di mosse per la soluzione che si aggira intorno alle 120 e che io personalmente riesco a fare, con un po' di allenamento, in una media di un paio di minuti. Sono arrivato anche ad un minuto e mezzo in qualche caso particolarmente fortunato. Non è una tecnica buona per il cosiddetto speedcubing, per il quale esistono invece dei metodi che sono tutt'altro che minimali dal punto di vista delle sequenze che ti costringono a ricordare.

Probabilmente ho scritto questo post solo per esorcizzare questa smania un po' feticista di risolvere il cubo. Quando non ricorderò più a memoria questo metodo lo prenderò come un brutto segno di vecchiaia, peggio della calvizie, del calo della vista, del mal di schiena o di qualunque altro acciacco.

Sequenza A
utilizzata per completare il secondo strato ed ordinare i vertici del terzo

Ar = Ri-Di-R-D-F-D-Fi

Al = L-D-Li-Di-Fi-Di-F

Nota - Ar e Al sono le stesse ma l'una è simmetrica dell'altra rispetto ad un piano verticale passante per lo strato intermedio del cubo.
Nota - Iterazioni della stessa sequenza utilizzate per risolvere il cubo: A, A^2
Nota - Iterazioni interessanti ma non utili per risolvere il cubo: A^4, A^12 (l'ultima è la simmetria)

Sequenza B
utilizzata per orientare i vertici del terzo strato e per ordinare gli spigoli del terzo strato

Br = Ri-Di-R-Di-Ri-D-D-R

Bl = L-D-Li-D-L-Di-Di-Li

Nota - Br e Bl sono le stesse ma l'una è simmetrica dell'altra rispetto ad un piano verticale passante per lo strato intermedio del cubo.
Nota - Iterazioni e combinazioni della stessa sequenza utilizzate per risolvere il cubo: B, Br-X-Bl, Bl-Xi-Br
Nota - Simmetria: B^6

Sequenza C
utilizzata per orientare gli spigoli opposti del terzo strato

M-D-M-D-M-D-D-Mi-D-Mi-D-Mi-D-D

Nota - Simmetria: C^2

Per leggere correttamente le sequenze occorre tener presente la seguente:

Legenda

R = Right (rotazione oraria dello strato verticale alla destra del solutore)
Ri = Right (rotazione antioraria dello strato verticale alla destra del solutore)
L = Left (rotazione oraria dello strato verticale alla sinistra del solutore)
Li = Left (rotazione antioraria dello strato verticale alla sinistra del solutore)
M = Middle (rotazione oraria dello strato verticale tra R e L, guardando lo strato L)
Mi = Middle (rotazione antioraria dello strato verticale tra R e L, guardando lo strato L)
F = Front (rotazione oraria dello strato verticale di fronte al solutore)
Fi = Front (rotazione antioraria dello strato verticale di fronte al solutore)
B = Back (rotazione oraria dello strato verticale opposto a F)
Bi = Back (rotazione antioraria dello strato verticale opposto a F)
U = Up (rotazione oraria dello strato orizzontale superiore)
Ui = Up (rotazione antioraria dello strato orizzontale superiore)
D = Down (rotazione oraria dello strato orizzontale inferiore)
Di = Down (rotazione antioraria dello strato orizzontale inferiore)
X = Rotazione del cubo intero in senso orario (guardandolo dall'alto)
Xi = Rotazione del cubo intero in senso antiorario (guardandolo dall'alto)

Nota: orario e antiorario si intendono rispetto ad uno che osserva di fronte lo strato in rotazione

domenica 15 novembre 2009

L'educazione dei figli

Molti genitori si chiedono come educare i figli, quale sia il miglior modo per dare loro un'educazione, come fornirgliela, con quali mezzi e con quali strategie. Non so se ha senso porsi questi problemi. Ovviamente me li son posti pure io, me li pongo spesso tuttora, ma la vera domanda è se ha senso.

Credo che educazione sia sinonimo di esperienza, da cui trarre una visione personale del mondo e da cui far derivare uno stile di vita, dei modi di comportamento. Quindi per un genitore che vede crescere suo figlio il concetto di educazione si identifica con l'applicazione di due strategie principali: aiutare ad elaborare le esperienze e dare l'esempio. La prima strategia si attua sostanzialmente parlando delle esperienze e facendole assieme, la seconda strategia si attua banalmente vivendo e mostrando la propria vita o lasciandola osservare.

Queste due strategie sono schiaccianti rispetto a qualsiasi altra e sono semplicemente il risultato di una buona convivenza, senza troppi sforzi. Qualsiasi "tecnica educativa" studiata a tavolino che contrasti anche solo in parte con l'esempio che involontariamente si dà quotidianamente non ha nessuna speranza di successo e non sortisce nessun risultato se non quello di instillare un filo di ipocrisia tra genitori e figli, e quest'ultima cosa può avere purtroppo un grande valore educativo.

Ha senso arrovellarsi troppo per pensare a come educare al meglio i propri figli?

martedì 10 novembre 2009

Ancora sul crocifisso nelle scuole pubbliche

Mi tocca tornare a parlare della questione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane. Lo avevo già fatto in un post precedente e mi sembrava di aver già detto fin troppo. Ci ritorno perchè non posso fare a meno di fare un'ulteriore osservazione: quale dovrebbe essere l'atteggiamento che un vero cristiano dovrebbe avere in merito a questo problema?

Leggendo quà e là i vari commenti degli "scandalizzati" della recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (La presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni» e una violazione alla «libertà di religione degli alunni») mi ha colpito principalmente la tesi prevalente che il crocifisso va difeso in quanto è un simbolo della nostra tradizione culturale e della nostra storia. La Cei dichiara: “risulta ignorato o trascurato il molteplice significato del crocifisso, non è solo simbolo religioso ma anche segno culturale. Non si tiene conto del fatto che l’esposizione nei luoghi pubblici è in linea con il riconoscimento dei principi del cattolicesimo come ‘parte del patrimonio storico del popolo italiano’, ribadito dal Concordato del 1984".

Ma un cristiano (o un'istituzione cristiana come la chiesa cattolica) dovrebbe puntare su questo? Il crocifisso visto come un simbolo della nostra storia? Come simbolo che fa parte del nostro patrimonio culturale? Questo è quello che può dire un qualunque non credente, non può caratterizzare un cristiano. Mi sembra addirittura che ci sia una certa volontà di incasellare il messaggio cristiano come semplice elemento della nostra tradizione, metabolizzato e scontato, in definitiva dato per buono solo perchè esiste da duemila anni. E proprio per questo ampiamente ignorato nei suoi valori essenziali.

Insomma i commenti che ho letto erano quelli di una società conservatrice, non di una società cristiana. Un vero cristiano se ne dovrebbe accorgere e dovrebbe radicalmente rifiutare questo tipo di discorso. Paradossalmente dovrebbe essere fortemente contrario all'esposizione "d'ufficio" dei simboli religiosi, ridotti in tal modo a semplici simboli della tradizione. Rendere ufficiale una religione non l'aiuta ad entrare nel sistema dei valori di una comunità.

venerdì 6 novembre 2009

L'alto gradimento di Berlusconi

Ha senso chiedersi per quale motivo Berlusconi ha un così alto gradimento tra gli italiani (e deve essere certamente così visto che lo hanno votato in tanti). Mi vengono in mente le seguenti motivazioni:

1. Berlusconi è un vero e proprio personaggio televisivo, molto più di ogni altro suo collega, promuove la sua immagine con tecniche simili a quelle della pubblicità. Principalmente per questo motivo molti italiani lo vedono come il politico più vicino, più leggibile, più facile da capire, più familiare, con un linguaggio più simile a quello di tutti i giorni (quello televisivo, appunto). Il suo appeal è essenzialmente legato a un fatto di linguaggio.

2. Buona parte degli italiani non si interessano realmente di politica, meglio ancora, non hanno valori politici, non considerano la politica un valore, la ignorano totalmente se non per i sui aspetti legati al potere. Quindi un personaggio forte, ricco e potente, diventa l'ideale, la figura giusta e naturale per governare. Non una serie di idee politiche che prendono corpo e forza attraverso un leader determinato ma, viceversa, un uomo forte che esercita il potere e risolve problemi indipendentemente da progetti politici (quelli alla fine non servono, anzi, intralciano).

3. Credo che molti pensino che in fondo se una persona molto ricca e molto potente governa il paese pensando essenzialmente ai propri interessi, ha più chances di governare bene. Cioè pensare ai propri interessi e a quelli delle sue numerose aziende rende molto efficacie la sua azione di governo e genera inevitabilmente ricadute positive in tutto il paese: se i forti pensano a se stessi trascinano nel loro benessere tutta la nazione.

Quest'ultimo punto mi sembra un tipico pensiero di destra.

sabato 31 ottobre 2009

Produttività e pubblico impiego

Nel mio lavoro di insegnante vengo a contatto con molte persone, utenti finali della formazione tecnologica che svolgo, le quali provengono da moltissime società diverse, nei più disparati settori del privato. Lavoro poco con il pubblico ma ogni volta che mi capita è un'occasione di riflessione.

I dipendenti del pubblico impiego vivono letteralmente in un altro mondo, o almeno in un altro mondo del lavoro, cioè con logiche tutte sue, ma questo spesso si riflette talmente tanto anche nella loro vita privata che si può ben dire in una certa misura che vivono in un altro mondo tout court. Due aspetti, legati tra loro, mi sembrano essenziali per caratterizzare il loro ambiente di lavoro: assenza totale di meccanismi di merito, mortificato dall'uso eccessivo della raccomandazione o da dinamiche esclusivamente politiche, e assenza totale di meccanismi di controllo della qualità e dell'efficienza. Sono certamente due aspetti negativi anche per chi ci lavora e non solo per il cittadino che subisce spesso i disservizi di un settore pubblico inefficiente. Ma c'è un terzo aspetto estremamente rilevante ed è il seguente: il posto pubblico quando lo ottieni ti viene assegnato per la vita, non c'è modo di perderlo per quanto pessime possano essere le tue prestazioni, fino ai limiti scandalosi di un parziale assenteismo dal posto di lavoro.

Tutto ciò traspare in modo a volte clamoroso dal comportamento di queste persone: una buona parte di loro ha perso completamente il senso del dovere, la serietà professionale, perfino la curiosità di fare o imparare cose nuove. E non è difficile da capire: se nessuno controlla il mio lavoro, se la carriera o i benefits sono legati alla raccomandazione, se la mia situazione non cambia sia se lavoro bene sia se lavoro male, sia se faccio 10 sia se faccio 100, se l'ambiente in cui lavoro non mi stimola in nessun modo anzi, al contrario mi induce a evitare le attività in quanto "non mi conviene farle", io per quale motivo dovrei impegnarmi? Difficile dare una risposta.

Certo, queste pesanti critiche non sono valide allo stesso modo per qualsiasi ambiente di lavoro pubblico (meno male). Ad esempio è presumibile che in molti uffici di provincia la situazione sia diversa, le realtà piccole sono di sicuro più facilmente gestibili e controllabili. Credo inoltre che molti ambienti stiano in piedi fondamentalmente perchè molte delle persone che ci lavorano sono arrivate a ricoprire quel posto con forti motivazioni personali (si pensi agli ambienti di ricerca, o quelli accademici in genere). D'altra parte le stesse critiche possono essere spesso estese anche a molte realtà private di grandi dimensioni, con la differenza che lì però, in conseguenza di crisi, sono sempre possibili pesanti "ristrutturazioni" che tirano via anche centinaia di persone in un colpo solo.

La cosa più triste nei racconti delle persone che lavorano in questi ambienti è capire che il grosso del problema proviene proprio dal management, dalla dirigenza. In fin dei conti non è poi così strano, il meccanismo meritocratico di un qualsiasi ambiente di lavoro, nonchè i meccanismi di misura della produttività e dell'efficienza, dovrebbero cominciare proprio da loro, anzi, o cominciano da loro o non cominciano affatto. Il contributo negativo della dirigenza è determinante, la loro incapacità di usare bene le risorse è clamorosa, la loro disattenzione totale verso le persone, le loro capacità, le loro competenze e i loro meriti è vergognosa. I dirigenti sono i primi responsabili nel comunicare la visione dell'ambiente di lavoro. E quindi ci rimani veramente male, e capisci molte cose, quando un impiegato di un'azienda che dovrebbe essere privata (è una S.p.a.) ma che di privato non ha veramente nulla (lavora con un unico cliente, un ministero, e dunque non è certo inserita in un vero mercato) se ne esce fuori in modo del tutto innocente dicendoti: "Beh, ma la nostra azienda non ha come obiettivo la produttività". Orrore!

Probabilmente non avrei mai scritto questo post se non fossimo ormai da diversi anni in un periodo di crisi economica e di crisi del mondo del lavoro. Se nella società c'è un buon livello di ricchezza e un mercato del lavoro che fornisce reali opportunità a chiunque voglia lavorare e abbia un po' di talento non ci si preoccupa poi molto delle sacche di inefficienza e di scarsa produttività che possono eventualmente esistere: tu mangi a ufo e rubi lo stipendio che ti danno ma in fin dei conti anche io vivo bene, lavoro con soddisfazione e tranquillità e posso anche sopportarti. Ma se nella società si fatica sempre di più ad avere un lavoro stabile, con le giuste garanzie, se chi lavora deve sempre "stare preoccupato" senza avere margini per migliorare o cambiare la propria situazione, e se nel contempo tutte quelle sacche di inefficienza e improduttività rimangono sostanzialmente immutate facendo diventare quegli ambienti lavorativi degeneri delle vere e proprie "isole di tranquillità" e di sicurezza lavorativa, si rischia di oltrepassare il livello massimo di tollerabilità ed incazzarsi come bestie ogni qualvolta ci si scontra con la situazione.

venerdì 23 ottobre 2009

Destra e Sinistra

A me sembra che la situazione attuale della politica italiana sia di un tale degrado culturale ed etico che la distinzione tra politici di destra (conservatori) e politici di sinistra (progressisti) è una cosa non tanto superata, come ormai dicono in molti, ma più che altro una cosa che non ci possiamo permettere, perchè al momento non abbiamo una classe politica che sia capace di esprimere idee sufficientemente definite su alcunchè. E' difficile osservare comportamenti e dichiarazioni che vadano molto al di là del puro opportunismo politico. Destra e sinistra esprimono visioni generali della società, all'interno delle quali costruire movimenti politici di grande respiro, ma sono proprio queste visioni della società a mancare dalla scena politica italiana (a meno che non si voglia fare riferimento al vecchio ma in buona parte realizzato programma politico della P2 ....).

Mi sembra il tempo quindi di riprendere i vecchi concetti di destra e sinistra, magari aiutandomi con il famoso libretto di Norberto Bobbio ("Destra e Sinistra, ragioni e significati di una distinzione politica"), tanto per fare una cosa desueta, dal sapore del tutto teorico (nel senso spregiativo del termine), o semplicemente per fare un esercizio di memoria, che a una certa età non guasta.

Sinistra significa attenzione verso le politiche di uguaglianza. Destra significa accettazione delle disuguaglianze, e sfruttamento delle stesse come volano per l'intera società. Quasi tutte le politiche significative della destra e della sinistra sono riconducibili a questi due principi generali. Anche le loro eventuali degenerazioni (estremismi). Tutto ciò può essere un po' troppo poco per caratterizzare questi due orientamenti politici ma in certi casi le semplificazioni e le classificazioni (specie se così generali) possono aiutare. Credo che il libro di Bobbio vada proprio inteso in questo senso.

Le frasi che ho scelto del libro di Bobbio sono le due seguenti (non proprio riportate alla lettera):

Il criterio più frequentemente adottato per distinguere la destra dalla sinistra è il diverso atteggiamento che gli uomini viventi in società assumono di fronte all'ideale dell'eguaglianza, che è, insieme a quello della libertà e a quello della pace, uno dei fini ultimi che si propongono di raggiungere e per i quali sono disposti a battersi. (Norberto Bobbio)

Gli uomini sono tra loro tanto uguali che disuguali. Sono uguali se si considerano come genere, sono disuguali se si considerano come singoli. Si possono chiamare egualitari (sinistra) coloro che ritengono più importante per una buona convivenza ciò che accomuna gli uomini; inegualitari (destra), coloro che, al contrario, ritengono più importante per attuare una buona convivenza, la loro diversità. L'egualitario parte dalla convinzione che la maggior parte delle diseguaglianze sono sociali, e in quanto tali, eliminabili. L'inegualitario invece parte dalla convinzione opposta, che siano naturali e, in quanto tali, ineliminabili. (Norberto Bobbio)

Il mio proposito è quello di continuare questo (futile) esercizio individuando delle "applicazioni" dei concetti di destra e sinistra nei temi della società attuale. Nei prossimi post.

domenica 11 ottobre 2009

Il tramonto

Cammino per il centro di Firenze, da solo. Vado un po' a caso. Passo davanti alla Galleria degli Uffizi, non raggiungo il fiume ma giro a destra. Un ulivo, posizionato all'angolo di un incrocio, come fosse un monumento, circondato da targhe in tutte le lingue, mi ricorda l'episodio che rende famoso questo posto: sono in via dei Georgofili.

La targa parla di 5 morti e 41 feriti. I cinque morti sono un'intera famiglia, papà, mamma e due bimbe, e un giovane studente. Nadia Nencioni, la più grande delle due bimbe vittime dell'attentato (9 anni), scrive dei semplici versi tre giorni prima, a scuola. Sul muro restaurato dell'Accademia dei Georgofili c'è affissa la fotocopia della pagina di quaderno di Nadia. Leggo:

Il tramonto

Il pomeriggio
se ne va
il tramonto si avvicina
un momento stupendo
il sole sta andando via (a letto)
è già sera tutto è finito.

Nadia Nencioni (1993)

venerdì 25 settembre 2009

Astronomia - Quinta parte

(leggi la quarta parte ...)

Aguzziamo la vista: non tutte le stelle fisse sono veramente fisse

Non è molto facile accorgersene, le osservazioni devono essere proprio molto metodiche e attente, ma quello che si può osservare è che esistono nel cielo stelle "non fisse", ovvero stelle che non si muovono solidali con tutta la sfera celeste e che hanno invece un moto proprio di natura molto simile a quella del sole e della luna. Di simile hanno il fatto che questi oggetti si trovano tutti in prossimità dell'eclittica. Di diverso hanno invece il fatto che il loro moto sulla sfera celeste non avviene sempre nello stesso verso, da ovest verso est, ma ogni tanto cambia direzione (e viene chiamato retrogrado). Per questo motivo sin dalla loro scoperta sono stati chiamati pianeti. Pianeta è un termine derivato dal greco, che significa errante, proprio in riferimento a questi movimenti poco prevedibili descritti nel cielo. I pianeti visibili ad occhio nudo (e quindi conosciuti sin dai tempi antichi) sono cinque: mercurio, venere, marte, giove e saturno. Per le qualità del loro moto si dividono in due gruppi: i pianeti inferiori (mercurio e venere) e i pianeti superiori (marte, giove e saturno). I pianeti inferiori rimangono sempre piuttosto vicini al sole e realizzano una specie di oscillazione intorno ad esso, sono quindi visibili tipicamente bassi sull'orizzonte poco dopo il tramonto o poco prima dell'alba. I pianeti superiori invece riescono ad allontanarsi dal sole fino a mettersi in opposizione ad esso, ma nel fare questo prima hanno un moto diretto più lento del sole, e il sole si allontana, poi lo invertono, poi torna ad essere diretto ma sempre più lento del sole, e quindi il sole li raggiunge e li supera.

Il sistema del mondo di Tolomeo

Il sistema coerente che abbiamo appena costruito tramite la capacità di osservare e immaginare è praticamente identico nelle sue linee essenziali a quello che nella storia è noto come sistema Tolemaico, conosciuto in parte già ai tempi di Aristotele, definito con grande precisione e ricchezza di particolari da Tolomeo e Ipparco nel secondo secolo dopo Cristo e sopravvissuto fino alla seconda metà del cinquecento. Sottolineo che questa concezione del mondo è albergata nella mente di innumerevoli generazioni pressochè intatta per quasi 1500 anni. Le caratteristiche principali di questa concezione sono: la Terra è un corpo sferico immobile; una seconda sfera concentrica alla Terra ma molto più grande ha un moto diurno da est a ovest e sulla sua superficie contiene tutte le stelle fisse; tra queste due sfere principali ve ne sono altre intermedie, sempre concentriche, che ospitano il sole, la luna e i cinque pianeti. Queste sfere partecipano del moto diurno della sfera più esterna (sono "trascinate" da essa) ma hanno un moto relativo in senso contrario, da ovest verso est (in un certo senso "perdono terreno" rispetto alla sfera delle stelle fisse). Questa grandiosa costruzione mentale nel corso dei secoli si è dovuta adattare al progresso delle osservazioni, e la sua semplicità è venuta meno, lasciando il posto ad una selva di sfere secondarie, chiamate epicicli e deferenti, che adattavano il modello alle misurazioni sempre più precise. In particolare a complicare decisamente tutto il sistema contribuisce il tentativo di spiegazione del moto retrogrado dei pianeti, per il quale vennero storicamente introdotti per la prima volta gli epicicli e i deferenti. Il libro di Tolomeo, l'Almagesto, è un po' la summa di tutto questo.

Proviamo a far andare l'immaginazione in direzioni diverse

Nel sistema di Tolomeo (che, sia ben chiaro, descrive bene le nostre osservazioni) ci sono due elementi importanti che derivano puramente dall'immaginazione. Uno è sicuramente il concetto di sfera celeste. E' da notare infatti che la sfera delle stelle fisse così come quelle del sole, della luna e dei pianeti, nonchè tutte le sfere secondarie, non sono osservabili, sono solo il frutto dell'immaginazione e del bisogno di utilizzare concetti unificanti, come quello appunto della sfera. Di fatto noi osserviamo solo spostamenti angolari, a cui forse è intuitivo associare la rotazione di una sfera, ma non certo necessario. Un altro elemento è quello della Terra immobile. Nessuna osservazione del cielo ci suggerisce in modo inequivocabile che la Terra è immobile. Anche questo ovviamente è intuitivo, e per secoli è stato anche corroborato da una fisica, quella aristotelica, fondamentalmente sbagliata. D'altra parte se non c'è nessun dato osservativo che ci dice che la Terra è immobile non ne esiste neanche nessuno che ci dica che la Terra è in movimento (almeno non osservazioni semplici). L'immaginazione è uno strumento potentissimo di conoscenza ma occorre essere consapevoli che a volte può portare a deduzioni sbagliate, oppure può portare a concetti inutili, non necessari, addirittura inutilmente vincolanti per il ragionamento. Quindi spesso serve altra immaginazione per andare avanti, o in altre parole può essere utile far andare l'immaginazione in direzioni completamente diverse rispetto a quelle seguite fino a quel momento.

(leggi la sesta parte...)

domenica 20 settembre 2009

I limiti della crescita

Ho letto ultimamente un articolo comparso su Le Scienze sulla questione dei limiti della crescita, ovvero sul rapporto tra crescita demografica e consumo delle risorse, in particolare il petrolio. E' un problema che secondo gli autori di questo articolo (Charles A.S. Hall e John W. Day, Jr.) è stato già ben individuato negli anni sessanta ma sottovalutato per molto tempo, e che sta riemergendo in questi ultimi anni in cui sembra che la produzione di molte materie prime e in particolare del petrolio, fondamentale per l'apporto energetico, avrebbe già raggiunto il massimo e inizierebbe a declinare.

La vera questione riguardo al petrolio non è quanto ne rimanga da estrarre, ma quanto sia estraibile con un significativo vantaggio energetico. E' evidente infatti che ciò che conta è il costo da sostenere per sfruttare una risorsa; uno degli obiettivi è ricavare molto di più di quanto si è investito. Lo studio degli autori mostra che questo rapporto si sta progressivamente abbassando. Ciò significa che si dovranno impiegare quantità sempre maggiori di energia per ricavare l'energia necessaria al normale funzionamento dell'economia.

La conseguenza più pericolosa della progressiva mancanza di disponibilità di greggio a buon mercato viene individuata dagli autori nella produzione alimentare che ad oggi, essendo altamente tecnologizzata, necessita di enormi quantità di energia ("ci vogliono dieci calorie di petrolio per produrre una caloria del cibo che mangiamo", "circa il 19% dell'energia usata negli Stati Uniti finisce nel sistema alimentare").

L'articolo lamenta anche una sottovalutazione dei problemi connessi con la crescita della popolazione in relazione alla intrinseca limitazione delle risorse: "l'idea di un collasso di una parte consistente della civiltà è tanto estranea alla mentalità dei nostri leader che siamo quasi del tutto impreparati".

Infine l'articolo non vede soluzioni a breve termine tramite il ricorso alla tecnologia, all'economia di mercato o alle fonti di energia alternative. Fa invece un discorso più ampio, e forse più radicale, indicando la strada del dibattito, portandolo anche a livello universitario, che (mi sembra di capire) coinvolge anche la possibilità di rivedere interamente il nostro modello di crescita e forse il nostro modello di società sviluppata ("Se vogliamo risolvere questi problemi ... è necessario riportarli al centro della formazione universitaria ... Sarà poi necessario insegnare l'economia non solo da una prospettiva sociale, ma anche biofisica. Solo allora avremo qualche possibilità di capire e risolvere questi problemi.").

Questa lettura mi ha fatto ripensare a Maurizio Pallante e alla sua tesi sulla decrescita, che mi ripropongo di descrivere in un prossimo post.

domenica 13 settembre 2009

Il giornalismo in Italia

L'indipendenza dell'informazione è sicuramente uno degli indicatori essenziali del buon funzionamento di una democrazia. Il regime democratico è sempre molto difficile da mantenere, e non è mai garantito solamente dalla semplice presenza di strumenti essenziali quanto formali che lo caratterizzano, come ad esempio le libere elezioni a suffragio universale, o la presenza di una carta costituzionale. La capacità di far circolare le informazioni, che alza il livello di consapevolezza dei cittadini e rende la democrazia più reale (nel senso che fornisce le chances per una reale partecipazione), è in buona parte sulle spalle della categoria dei giornalisti. Questi ultimi hanno il compito di esercitare la loro professione essenzialmente in autonomia (per quanto possibile) da qualsiasi potere, pena la produzione inevitabile di un'informazione al servizio di quest'ultimo. L'informazione dovrebbe essere uno strumento di conoscenza della società fornito al cittadino attraverso tutti i media possibili.

Purtroppo la classe dei giornalisti in Italia dà l'idea di essere in buona parte largamente compromessa con il potere tanto da rendere il sistema di informazione complessivamente molto scarso (il suo carattere di contropotere, così essenziale, viene meno). Ovviamente tra le file di quelli che appaiono compromessi si nota un largo spettro di qualità e capacità professionali, dallo scalzacani all'ottimo giornalista. E questo non sarebbe sorprendente. Quello che sorprende e che preoccupa è che più o meno indipendentemente dalle loro qualità questi giornalisti stanno tutti ugualmente in vista, su posizioni di carriera spesso invidiabili (è il motivo per cui sono compromessi).

Ovviamente i più "pericolosi" sono quelli in gamba, anche se pure gli scalzacani, messi opportunamente in posizioni strategiche, svolgono la loro "importante funzione".

Ultimamente un importante giornalista "di razza" è passato a dirigere un giornale di proprietà della famiglia del presidente del consiglio, che come si sa, in virtù di scandalosi (per una democrazia) vuoti legislativi in tema di conflitto di interessi, si trova nella condizione di poter controllare, direttamente o indirettamente, gran parte dei media nazionali.

Non ci sono ambiguità o interpretazioni possibili: questo giornalista ha deliberatamente scelto di assumere il ruolo di "picconatore giornalistico" del premier, ed è andato nell'unico posto dove ha la piena libertà di farlo. Si tratta di un giornalista capace, aggressivo, incisivo nei suoi editoriali ed estremamente astuto. Un giornalista che ha un suo pubblico, un suo bacino di lettori. Il suo ruolo di picconatore è giustificato dall'esigenza di gestire sempre più efficacemente i critici del governo, da qualunque parte provengano.

Costui ha già cominciato brillantemente il suo lavoro ed utilizza una tecnica da sempre efficace, quella di screditare chi punta il dito contro il capo (chiunque può essere screditato). Ovviamente il capo si prende il lusso di mantenere le distanze dal picconatore che lavora per lui, un gioco delle parti che consente da una parte di gettare fango sugli avversari senza assumersi dirette responsabilità e dall'altra di fare un uso politico e ricattatorio delle affermazioni pubblicate. Tutto molto chiaro.

Purtroppo questo non è un episodio isolato del giornalismo italiano e anzi mi sembra emblematico di quello che sta succedendo negli ultimi anni.

giovedì 10 settembre 2009

Povere vittime

Prendiamo ad esempio la moda ormai molto diffusa di portare i pantaloni ben al di sotto della vita, mostrando automaticamente l'elastico delle mutande, e non solo. La scomodità di questo modo di vestire è evidente, basta guardare questi ragazzi mentre camminano. Questo in fin dei conti non ha nulla di strano, vestirsi "bene" o comunque in un modo particolare spesso comporta delle scomodità.

Quello che invece colpisce negativamente è che ti accorgi che in questo modo viene mostrato un indumento (la mutanda) che altrimenti rimarrebbe nascosto. Un indumento nascosto non rientra nel "look" e quindi su di esso c'è piena libertà di scelta. Al contrario così vestendo noti che tutte le mutande esibite sono rigorosamente firmate (sui grossi elastici, in modo ben evidente). Sembrano degli sponsor, in cui però è chi li porta che paga e non il viceversa. Insomma è un esempio di come queste mode apparentemente "alternative" e "spontanee" sono in realtà dettate dai media, oppure da essi colte al volo e subito rilanciate, funzionali alla società dei consumi di cui i nostri adolescenti portano inconsapevolmente il vessillo.

Questa cosa (e molte altre dello stesso tipo) mi ricorda un paio di articoli scritti da Pasolini e pubblicati nella raccolta "Scritti Corsari". Uno è quello famoso sui capelloni, l'altro è quello sull'acculturazione (entrambi del 1973). Pasolini analizza il significato dei capelli lunghi, quelli che nascono negli anni della contestazione. Secondo lui ciò che esprimono con il loro linguaggio non verbale questi capelli lunghi è esattamente il contrario di ciò che dicono a parole (solo a parole) i ragazzi contestatori che li portano. Il loro aspetto, molto più che le loro parole, rivela chi sono:

"Le maschere ripugnanti che i giovani si mettono sulla faccia, rendendosi laidi come le vecchie puttane di una ingiusta iconografia, ricreano oggettivamente sulle loro fisionomie ciò che essi solo verbalmente hanno condannato per sempre....Essi sono in realtà andati più indietro dei loro padri, risuscitando nella loro anima terrori e conformismi, e, nel loro aspetto fisico, convenzionalità e miserie che parevano superate per sempre".

Oggi la differenza tra quello che molti giovani esprimono a parole e quello che esprimono visivamente sembra colmata. L'appiattimento sui modelli televisivi, e dei media in genere, quando c'è è totale.

"...i capelli lunghi dicono...le 'cose' della televisione o delle réclames dei prodotti".

Questi comportamenti rivelano un'assoluta mancanza di libertà, di capacità di scelta al di fuori di ciò che i media propongono.

"La loro libertà di portare i capelli come vogliono, non è più difendibile, perchè non è più libertà".

L'omologazione è totale, i modelli non prevedono alternative, non prevedono particolarismi culturali, vengono imposti dai media in modo autoritario e assoluto, contro cui nessuna istituzione culturale (meno che mai la scuola) può competere.

"(la televisione) Ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di 'un uomo che consuma', ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo".

Molti giovani, così pronti per loro natura ad assorbire i modelli sociali di comportamento, sono vere e proprie vittime delle forze omologanti della nostra società.

venerdì 28 agosto 2009

Brutte frasi

Arrivati ad una certà età capita prima o poi di sentire dai tuoi coetanei frasi del genere:

"Fare questa cosa mi fa sentire giovane"

"Io sono una persona matura, arrivata", nei casi peggiori addirittura "...un professionista".

Entrambe denotano secondo me una mancanza di saggezza che (data anche l'età, appunto) mi sembra veramente imperdonabile.

La prima significa semplicemente che non si sa accettare la propria condizione. Non si è giovani tutta la vita, questa cosa non ha neppure senso. Si è giovani quando si è vissuto poco (banalità). Ad una certa età sentirsi giovani e ostentarlo mi pare un chiaro segno di immaturità (una cosa che appunto ai giovani ancora si perdona).

La seconda significa che non si è ancora capito (o non si vuole capire) che non siamo fatti per arrivare da qualche parte. Dire di essere arrivati è un palliativo che dà sicurezza proprio in un momento della vita in cui ti accorgi chiaramente che la tua ricerca non ha termini precisi, e il bello è che cominci a sentire che ti potresti anche rompere i coglioni.

Forse quest'ultima cosa è il motivo principale per cui si dice di essere arrivati.....

mercoledì 26 agosto 2009

Il salto ontologico

Come fa il papa a dire che in natura l'uomo costituisce un salto ontologico? Per un uomo di fede cattolica ovviamente la risposta può essere semplicemente "ce lo dice Gesù nel suo Vangelo".

A parte il fatto che la natura trascendente dell'uomo è dichiarata da un uomo a cui chi ha fede attribuisce una natura trascendente (l'argomento appare un po' circolare, ma forse sono stato un po' sbrigativo) tutto ciò è appunto valido per i credenti. Però da quanto ho capito la considerazione del papa è rivolta a tutti, ed è questo che rende l'affermazione interessante. Questo salto ontologico dovrebbe essere evidente a tutti, credenti e laici. L'uomo avrebbe, come essere vivente, un posto particolare (privilegiato) nella natura.

Questo aspetto filosofico, centrale nella visione cattolica (e forse in qualunque religione), è in diretto contrasto con quello che emerge dalle attuali conoscenze scientifiche sul vivente, tutte incentrate sul paradigma dell'evoluzione biologica di tipo Darwiniano. Ed è forse per questo che tra Chiesa Cattolica e Darwinismo non corre affatto buon sangue.

Il Darwinismo, spesso largamente frainteso nei suoi aspetti scientifici quanto nei suoi riflessi filosofici, non nega affatto la specificità della specie umana (il posto particolare) quanto invece l'atteggiamento antropocentrico che abbiamo nei confronti di questa specificità (il posto privilegiato). La nostra è una specificità che deriva direttamente dalla contingenza storica (siamo unici e non ripetibili) ma che proprio per questo non ha nessun carattere di eccezionalità e di privilegio, almeno non ce l'ha rispetto alla specificità di qualsiasi altra specie vivente presente o passata. Noi abbiamo un posto particolare (non privilegiato) nel mondo nè più nè meno di quanto non ne abbia qualsiasi altro essere vivente. Questa è una visione che emerge in modo quasi naturale dallo stato attuale delle nostre conoscenze.

Un pensiero laico non può prescindere da queste considerazioni.

martedì 25 agosto 2009

Rocco Petrone

Il 16 luglio di 40 anni fa il gigantesco razzo vettore Saturno V, 111 metri di altezza, partiva dalla rampa 39 del Kennedy Space Center di Cape Canaveral per portare i primi uomini sulla luna. L'evento (e soprattutto il suo relativo esito, lo sbarco sulla luna, avvenuto 4 giorni dopo, il 20 luglio 1969) nello scorso mese di luglio è stato commemorato in vari modi, alcuni più interessanti altri meno. Per parte mia ho "festeggiato" l'anniversario scoprendo una figura veramente emblematica di questa vicenda: Rocco Petrone.

Tempo fa mi è capitato per le mani gironzolando tra gli scaffali di una libreria di Firenze, e l'ho subito acquistato, un piccolo libro scritto da Renato Cantore dal titolo "La tigre e la luna. Rocco Petrone. Storia di un italiano che non voleva passare alla Storia". E' il racconto dell'incredibile (per quei tempi) impresa dell'allunaggio attraverso l'altrettanto incredibile impresa di uno dei suoi principali artefici.

La storia ha inizio a Sasso di Castalda, piccolo paese lucano in provincia di Potenza, con la decisione dei coniugi Petrone di lasciare definitivamente la loro poverissima terra e tentare la fortuna negli Stati Uniti, come avevano già fatto in molti da quelle parti in quegli anni. Entrambi giovanissimi, entrambi sprovveduti, senza nè arte nè parte (la donna addirittura analfabeta). La storia termina circa quaranta anni dopo con la partenza della missione Apollo 11, una spaventosa macchina organizzativa messa in piedi e fatta funzionare alla perfezione dal suo primo responsabile, Rocco Petrone, uno dei figli di quella giovane coppia di emigranti! In mezzo il racconto di come un ragazzo di talento sia arrivato, cominciando a vendere ghiaccio per pagarsi gli studi, a diventare il direttore dei lanci del programma Apollo.

Le cose che più mi hanno colpito di questo bel racconto sono due tratti della società americana che ne costituiscono altrettanti punti di forza e che purtroppo secondo me sono entrambi pressochè inesistenti nella società italiana. Cercherò di descriverli brevemente.

1. Nell'impresa dell'Apollo 11 non è solo l'aspetto tecnico che impressiona, è anche quello puramente organizzativo ad avere caratteristiche fuori dal comune. Ad esempio la checklist di controllo per il lancio del Saturno V, che veniva controllata e ricontrollata durante il conto alla rovescia dalle decine di tecnici (sotto il coordinamento di Rocco Petrone) che affollavano la fire room fino all'ultimo secondo dal lancio, era costituita da trentamila pagine! Il Saturno V era il risultato dell'assemblaggio di circa sei milioni di pezzi, forniti da una moltitudine di società sparse negli Stati Uniti! Nel periodo di massima attività del progetto, pochi mesi prima del lancio dell'Apollo 11, sulla rampa di lancio era pronto il razzo dell'Apollo 9, quello dell'Apollo 10 era in fase di check-out, e quello dell'Apollo 11 entrava in fase di assemblaggio! Gestire un progetto di così alta complessità tecnologica con il grado di affidabilità richiesto e con i tempi imposti da quelle esigenze politiche di carattere strategico che ben conosciamo è una cosa che richiede uno sforzo organizzativo veramente inverosimile (questo è anche uno degli argomenti utilizzati da chi sostiene che lo sbarco sulla luna in realtà non c'è mai stato).
In Italia una capacità organizzativa del genere, per un progetto simile o per un qualsiasi altro progetto, non riesco neppure ad immaginarla, nè in quegli anni nè attualmente.

2. Rocco Petrone è l'esempio di un cittadino americano che parte alla nascita in condizioni di estrema povertà e oggettivo svantaggio sociale, e nel corso della sua vita riesce a raggiungere posizioni estremamente rilevanti nella società. Una cosa del genere, il cosiddetto "sogno americano", è possibile solo in virtù della grande capacità della società americana di riconoscere e valorizzare il merito e il talento di chiunque lo manifesti.
Nella società italiana questa è stata ed è tuttora una cosa impossibile, non tanto perchè la società italiana non sappia riconoscere il merito e il talento ma quanto per il fatto che non li sa (o non li vuole) valorizzare. Di esempi che confermano questo fatto se ne potrebbero fare a volontà, la cosiddetta "fuga dei cervelli" è solo la classe di esempi più in vista.

giovedì 6 agosto 2009

6 agosto

Il 6 agosto che voglio commemorare in questo post non è quello tristemente famoso del 1945, giorno in cui l'uso di una sofisticatissima quanto tragica tecnologia ha dato un sapore macabro ad una tappa fondamentale della storia della conoscenza umana sulla struttura della materia.

Il 6 agosto da ricordare con più ottimismo oggi è quello del 1991, in cui Tim Berners-Lee pubblica on-line il suo primo sito web. Berners-Lee lavorava a quello che poi è diventato il WWW da ormai più di 2 anni, dal momento in cui (13 marzo 1989) aveva fatto ai suoi superiori al CERN di Ginevra la sua prima proposta di organizzazione delle informazioni tramite ipertesto. Le tecnologie web rimasero per altri due anni appannaggio della sola comunità scientifica. Il 30 aprile 1993 il CERN decise di metterle a disposizione del pubblico rinunciando ad ogni diritto d'autore. Ancora 3 anni dopo Berners-Lee sottopone all'ente normatore dei protocolli internet (IETF) il documento RFC 1945 che contiene le prime specifiche ufficiali del protocollo HTTP/1.0 per la standardizzazione.

A tutt'oggi l'idea della navigazione in uno spazio di informazioni ipertestuale è alla base della rete Internet. Tra le grandi idee tecnologiche che hanno dato forma (e accessibilità) a Internet questa mi pare ancora tra le più significative, insieme a quelle fondamentali implementate nei protocolli tcp/ip e a quella dei motori di ricerca.

martedì 30 giugno 2009

Astronomia - Quarta Parte

(leggi la terza parte ...)

E la luna?

Un altro oggetto celeste facilmente osservabile è la luna. Ha un suo moto relativamente alla sfera celeste? L'osservazione metodica ci dice di si. Giorno per giorno anche la luna si sposta in senso contrario al movimento della sfera celeste, proprio come fa il sole, ma lo fa molto più velocemente. Il giro completo viene effettuato in circa un mese, poco meno. Infatti la posizione relativa della luna e del sole cambia continuamente. In alcuni casi la luna è vicina al sole sulla sinistra (più ad est), è visibile durante il giorno e tramonta poco dopo il sole. In altri casi è vicina al sole ma sulla destra (più ad ovest) e tramonta prima del sole. In altri casi ancora è molto lontana dal sole (dalla parte opposta) e allora è ben visibile durante tutta la notte. Questa differenza di posizione relativa è anche accompagnata dalle cosiddette fasi lunari. La luna in quadratura con il sole (a 90 gradi da una parte o dall'altra) è illuminata per un quarto (gobba a levante o gobba a ponente). La luna in opposizione al sole (a 180 gradi) è piena. La luna in congiunzione con il sole è nuova (e quindi invisibile), in quest'ultimo caso è possibile che si verifichi addirittura un occultamento del sole (eclissi), ma poichè lo spostamento della luna non avviene esattamente sull'eclittica questo fenomeno risulta essere piuttosto raro.

Tutti i punti di osservazione sono uguali?

Molte delle osservazioni che facciamo, anche quelle abituali, che caratterizzano la nostra vita e ne scandiscono i ritmi, sono in realtà relative al luogo di osservazione. La cosa essenziale, da cui discendono molte importanti conseguenze, è che cambiando il punto di osservazione spostandoci per grandi distanze sulla terra, può cambiare l'inclinazione dell'asse celeste. Questo com'è facilmente comprensibile influisce sulle regioni di cielo visibili, sull'altezza del sole e della luna all'orizzonte, sulla durata del giorno e della notte, sulle differenze stagionali. In alcuni punti si può arrivare ad avere il sole allo zenit (fascia tropicale), in altri si può vederlo non tramontare per mesi e mesi, perennemente basso sull'orizzonte (circoli polari). Ma perchè cambia l'inclinazione dell'asse celeste? In realtà si osserva questo cambiamento solo spostandoci per grandi distanze verso sud o verso nord, se gli stessi spostamenti vengono fatti verso est o verso ovest questa inclinazione non cambia affatto. Andando verso nord l'asse di rotazione si alza fino ad assumere la posizione verticale, e la volta celeste (la semisfera nord, l'emisfero boreale) ruota intorno allo zenit. Andando verso sud l'asse di rotazione si abbassa fino ad assumere la posizione orizzontale e la sfera celeste ci gira sopra esattamente da est verso ovest, andando oltre si alza di nuovo ma da sud fino ad assumere la posizione verticale. Quella che si vede ruotare intorno allo zenit è però l'altra metà della sfera celeste (la semisfera sud, l'emisfero australe).

Ancora uno sforzo di immaginazione

Come ci stiamo muovendo sulla terra rispetto al cielo per ottenere questo effetto? Certo non in orizzontale, muovendoci in orizzontale non può cambiare l'inclinazione dell'asse di rotazione celeste. Dunque la terra non può essere piatta. La cosa più semplice da immaginare è quella di muoverci su una sfera concentrica con la sfera celeste, in questo caso il piano di osservazione cambia il suo orientamento rispetto all'asse di rotazione, passando da perpendicolare a parallelo e di nuovo perpendicolare in uno spostamento che va dal polo nord al polo sud. Se invece ci si sposta da est a ovest o viceversa il piano di osservazione non cambia mai la sua inclinazione con l'asse.

Ricapitoliamo

Dunque la terra è una sfera, noi viviamo sulla sua superficie e da qui facciamo tutte le nostre osservazioni del cielo. Quest'ultimo è costituito da due corpi celesti molto grandi, sole e luna, e da una miriade di stelle puntiformi. Il tutto può essere pensato come un'immensa sfera concentrica con la nostra terra. Tale sfera non è ferma ma ruota sopra le nostre teste con un periodo di rotazione di circa un giorno. Tutte le stelle sono solidali con questa sfera, e si dicono per questo motivo "stelle fisse". Il sole e la luna invece si spostano sulla sfera celeste, compiendo un giro completo in un anno per il sole e in circa un mese per la luna. Lo spostamento di questi due corpi celesti avviene lungo un cerchio massimo inclinato rispetto all'equatore celeste chiamato eclittica (la luna si discosta dall'eclittica anche se di poco). Questa visione è anche molto rassicurante in quanto sembra posizionarci esattamente al centro dell'universo: tutto ruota attorno a noi!

(leggi la quinta parte ...)

venerdì 19 giugno 2009

In Taxi verso Palermo

Sono in taxi tra l'areoporto Falcone-Borsellino e l'albergo. Non trovo la cintura di sicurezza. Il tassista nota dallo specchietto i miei gesti goffi nel cercarla e mi spiega tranquillamente che l'ha tolta. "Se vuole gliela rimetto". "Si, grazie". Poi altrettanto tranquillamente aggiunge: "Sa com'è, l'ho tolta perchè da noi non si usa".

Da noi non si usa??!!

Perchè dici "da noi"? Noi chi? Siete per caso una razza a parte? Devo pensare che voi siete diversi dal resto degli italiani? Peggio ancora: sei tu che lo pensi?

Che significa "non si usa"? Stiamo parlando di un'usanza? Di un costume regionale? Da noi si usa così, da voi si usa cosà? Non stiamo forse parlando di una regola, introdotta da una precisa normativa nazionale? Che dovrebbe prescindere da qualsiasi "usanza"?

Ringrazio, metto la cintura, raggiungiamo in silenzio l'albergo.

martedì 16 giugno 2009

La natura dell'istinto religioso

Ho sempre pensato che l'istinto religioso nell'uomo sia un elemento ancestrale, un atteggiamento con radici profonde, un elemento costitutivo della sua natura, tanto reale e concreto come avere un braccio o una gamba. Quando parlo di istinto religioso o di religiosità intendo il bisogno generale dell'uomo di avere spiegazioni del mondo, un bisogno che può sfociare tipicamente in sistemi di credenze, in religioni, ma che può anche costituire il motore dell'attività filosofica o scientifica. Ho ritrovato considerazioni analoghe a queste in una lettura che feci la prima volta molti anni fa di un famoso saggio di Jaques Monod che ho già citato più volte in questo blog. Il suo ragionamento era interessantissimo per me in quanto non solo sottolineava l'universalità dell'istinto religioso nella specie umana ma tentava di dargli una spiegazione evoluzionistica, cioè di interpretarlo come un prodotto dell'evoluzione umana (appunto come potrebbero esserlo un braccio o una gamba).

Questi sono un paio di stralci da questa lettura:

Per tantissimo tempo il destino di un singolo essere umano si confuse con quello del suo gruppo, della sua tribù, al di fuori della quale gli era impossibile vivere. La tribù, d'altra parte, poteva sopravvivere e difendersi solamente grazie alla sua coesione. La forza soggettiva delle leggi tribali che assicuravano tale coesione assunse nel lungo periodo importanza selettiva e hanno presumibilmente influito sulla evoluzione genetica delle categorie innate del cervello umano. Questa evoluzione non solo doveva agevolare l'accettazione della legge tribale, ma creare anche il bisogno della spiegazione mistica che ne è il fondamento e che le conferisce la sovranità. Noi siamo i discendenti di questi uomini. E' da loro che abbiamo ereditato probabilmente l'esigenza di una spiegazione, l'angoscia che ci costringe a cercare il significato dell'esistenza. Angoscia creatrice di tutti i miti, di tutte le religioni, di tutte le filosofie e della scienza stessa. (Jaques Monod)

L'invenzione dei miti e delle religioni, la costruzione di vasti sistemi filosofici sono il prezzo che l'uomo ha dovuto pagare per sopravvivere in quanto animale sociale senza piegarsi ad un mero automatismo. (Jaques Monod)

Recentemente ho avuto per le mani un saggio, scritto a più mani (Girotto, Pievani, Vallortigara), che riprende proprio questa idea. La religiosità viene vista come una forma di adattamento, più esattamente come un effetto secondario dei processi di adattamento dell'uomo. Per questi autori "il meccanismo evolutivo ha fatto sì che credere nel sovrannaturale sia diventato una parte integrante dei nostri normali processi cognitivi".

martedì 2 giugno 2009

Una mostra su Galileo

La mostra di Palazzo Strozzi a Firenze ha come titolo: "Galileo, immagini dell'universo dall'antichità al telescopio". Avrei preferito un maggiore dettaglio nelle descrizioni delle interpretazioni del cielo nell'antichità (in particolare l'epoca pre-ellenistica). Forse non ci sono così tante fonti. I reperti della mostra sono comunque tanti ed alcuni veramente eccezionali: gli acquarelli di Galileo sulle fasi lunari, i suoi disegni sulle macchie solari ottenuti proiettando su uno schermo il disco solare raccolto dal telescopio, un'incredibile mappa lunare di Giovanni Cassini (risultato di nove anni di studi), una vasta collezione di strumenti meccanici, alcuni di impressionante complessità (sestanti, astrolabi, globi celesti, sfere armillari, planetari, orologi con fasi lunari moti dei pianeti e durate del giorno, ecc.).

Una mostra oltre a dare una serie di informazioni di dettaglio deve dare una sensazione generale, comunicare un messaggio di sintesi. Nel caso di questa mostra in poche parole è il seguente: il cielo è sempre stato per l'Uomo un oggetto familiare, costantemente presente, ma estremamente misterioso, diverso da tutto ciò che sperimentava quotidianamente. Per questo motivo il cielo è stato teatro naturale di tutti i grandi miti dell'Uomo, di tutte le sue religioni, di molte delle sue superstizioni. E al contempo è stato anche l'oggetto delle sue più importanti speculazioni, delle sue ricerche più straordinariamente pazienti, dei suoi sforzi titanici nel trovare spiegazioni, meccanismi, geometrie.

Il cielo in un primo momento è stata la casa di una pletora di divinità, sede di un'infinità di miti e leggende. Da un certo punto in poi è stato letteralmente ripulito per diventare luogo del monoteismo cristiano, creato e messo in movimento dall'unico dio per la sua creatura più importante: l'Uomo. Questo schema di pensiero si è istituzionalizzato nel corpo della chiesa cattolica e per molti secoli è stato una forma di potere culturale su tutto l'occidente, un potere che a tempo debito si è scagliato pesantemente contro il libero pensiero.

Durante tutta la sua storia l'Uomo ha costantemente rivestito il cielo di misticismo, anche nei periodi di massimo trionfo della scienza. E' interessante constatare come in tutte le epoche gli eventi del cielo siano messi sempre in qualche modo in comunicazione con gli eventi della terra, quasi come se l'Uomo cerchi da sempre di avere un contatto con l'unico elemento della natura apparentemente del tutto al di fuori della sua portata.

A partire dal Rinascimento la mostra documenta un lungo e paziente cammino di costruzione delle conoscenze: l'uso di strumenti sempre più perfezionati per osservare e per calcolare, la scelta sempre più consapevole dell'osservazione diretta della realtà come primo e più importante strumento di indagine, l'uso sempre più sofisticato del ragionamento matematico. Questi ingredienti maturano progressivamente fino a convergere nella sintesi di Newton, che raggiunge risultati di portata veramente eccezionale nella storia del pensiero umano (forse il fascino di questo vertice del pensiero non è reso sufficientemente nella mostra, che punta principalmente alla figura di Galileo). Newton mette letteralmente insieme per la prima volta cielo e terra. Il terreno era già stato abbondantemente preparato da vari predecessori, Galileo soprattutto, ma Newton riconduce il moto degli oggetti del cielo e il moto di qualsiasi oggetto terrestre (la famosa mela) alla stessa identica causa. In che senso la luna "cade" verso la terra? Se un proiettile lanciato orizzontalmente al terreno ha sufficiente velocità iniziale, allora quando sarà caduto di 4,9 metri (ovvero dopo il primo secondo di viaggio) potrebbe trovarsi alla stessa altezza dal suolo. Come è possibile? Per cadere cade, ma la superficie della terra è curva, e quindi cade "attorno" alla terra. Esattamente come fa la luna tracciando la sua orbita.

La mostra, ben fatta, ha comunque il vantaggio di trattare (almeno secondo me) un argomento incredibilmente affascinante: la storia del rapporto tra l'Uomo e il cielo misterioso che gli sta da sempre sopra la testa.

venerdì 29 maggio 2009

Astronomia - Terza parte

(leggi la seconda parte ....)

Armiamoci di grande pazienza

In astronomia ha senso fare delle osservazioni su tempi molto lunghi in quanto sono rivelatrici di movimenti relativi molto lenti ma estremamente significativi. Nel nostro caso possiamo cercare di fare osservazioni del cielo sempre alla stessa ora per parecchi giorni consecutivi. Per quanto abbiamo detto dovremmo vedere sempre esattamente la stessa cosa, visto che la sfera celeste ruota con periodo pari a un giorno. In realtà non è così, giorno per giorno osserviamo, sempre alla stessa ora, una configurazione delle stelle in cielo che si sposta nello stesso senso della rotazione diurna. Osservando per pochi giorni probabilmente questo movimento non si apprezza ma da un mese all'altro o addirittura da una stagione all'altra questa differenza del cielo ad una stessa ora appare evidente. Il cielo di aprile alle dieci di sera è completamente spostato rispetto al cielo di settembre alla stessa ora: tanto per fare un esempio il grande carro, la parte più visibile della costellazione dell'orsa maggiore, è più basso o più alto nell'orizzonte a seconda della stagione in cui lo si osserva (a parità di orario), e addirittura alcune costellazioni che in certe stagioni sono ben visibili, in altre lo sono molto meno o non lo sono affatto.

Affiniamo l'immaginazione

Dunque i movimenti della sfera celeste sono due: un moto diurno di 360 gradi da est verso ovest a cui si sovrappone un moto molto più lento nello stesso senso. Ma ovviamente è più semplice dirla in questo modo: il moto diurno della sfera celeste non è pari ad un angolo giro completo nell'arco delle 24 ore, bensì leggermente di più. Lo scarto giornaliero che ne deriva e che si somma giorno per giorno è quello che determina un cielo sempre diverso, mese dopo mese, stagione dopo stagione. Ma che significa dire "nell'arco delle 24 ore"? Io intendevo dire "nell'arco di un giorno". Ma che cos'è un giorno? La cosa più ovvia è quello di misurare un giorno come l'intervallo di tempo in cui ho due passaggi del sole nello stesso punto, ad esempio il meridiano (in poche e imprecise parole la verticale al polo sud geografico del punto di osservazione). Quindi di fatto quello che stiamo osservando è che mentre il sole compie un giro esatto il resto del cielo stellato compie qualcosa di più di un giro. Oppure viceversa, quando la sfera celeste ha terminato il suo giro attorno alla Terra il sole ha ancora un piccolo tratto da coprire. Da ciò segue inevitabilmente che il sole ha un moto proprio sulla sfera celeste, d'altra parte se passando da aprile a settembre vedo a mezzanotte un cielo diverso è ovvio che da aprile a settembre a mezzogiorno il sole sarà in una regione di cielo diversa (sebbene questo non è direttamente osservabile visto che la grande luminosità del sole oscura completamente tutte le stelle del giorno).

Torniamo all'osservazione

Dunque il sole si sposta sulla sfera celeste. Ma in che modo? Eravamo partiti con l'osservare che la sfera celeste percorre in un giorno più di un angolo giro, questo di fatto significa che il sole si sposta sulla sfera celeste nel senso opposto alla sua rotazione, ovvero da ovest verso est (in tal modo ritarda la conclusione del giorno). Questo spostamento è effettivamente molto lento ma progressivo, quindi lascia pensare che in un certo tempo il sole riuscirà a compiere un intero giro della sfera celeste e tornare alla fine nello stesso punto. L'osservazione ci conferma questa cosa e ci fornisce anche l'intervallo di tempo in cui questo avviene. Il cielo notturno ad una certa data dell'anno e ad una certa ora è sempre lo stesso, dunque il sole compie un giro completo della sfera celeste nell'arco di un anno. Ma l'osservazione ci dice anche qualche cosa di più: durante l'anno il sole nel suo passaggio al meridiano cambia la sua altezza sull'orizzonte, in particolare si alza progressivamente nel passaggio dall'inverno all'estate e si riabbassa nei sei mesi successivi. A pensarci bene questo significa semplicemente che il moto del sole durante l'anno non avviene lungo l'equatore celeste (il cerchio massimo che separa in due la sfera celeste ortogonalmente all'asse polare di rotazione) ma su un cerchio inclinato rispetto ad esso, a cui si dà il nome di eclittica. Durante l'estate il sole transita sulla metà dell'eclittica che si trova al di sopra dell'equatore, e dunque risulta alto sull'orizzonte, durante l'inverno succede esattamente il contrario. Questa cosa ovviamente determina anche una diversa durata del giorno, intesa come ore di luce a disposizione, e uno spostamento del punto di alba e tramonto: dall'inverno all'estate l'alba si sposta verso est e il tramonto verso ovest, il sole si alza sull'orizzonte, percorre un arco più ampio e le giornate si allungano. Tutto facilmente osservabile e tutto conseguenza del diverso arco percorso nel cielo dal sole in funzione della sua posizione sull'eclittica. Se il movimento del sole giacesse esattamente sull'equatore celeste tutte queste differenze durante l'anno non si osserverebbero.

(leggi la quarta parte ...)

mercoledì 27 maggio 2009

Superlavoro o fancazzismo

Da una parte ci sono lavori che devono essere fatti al 110%, diversamente non si riescono a fare. Il rischio che corri facendo una vita del genere è quello di cadere in una sorta di schiavitù intellettuale, dove l'orizzonte culturale è quello dell'ufficio o del profitto della propria azienda. Al di fuori solo spiccioli.

Dall'altra ci sono non-lavori, ci sono "occupazioni" nel senso letterale della parola (occupare fisicamente un posto e basta). Il rischio in questo caso è invece quello di sprecare energie, talento, capacità, conoscenze. Che è un delitto peggiore dello sprecare energia elettrica, cibo, vestiti, denaro.

La nostra società e il nostro mondo del lavoro non sembrano fatti per permettere una sana via di mezzo, dove il lavoro che fai serva essenzialmente per sostenerti economicamente e per dare dignità alla tua vita (e quindi un lavoro da svolgere con qualità e responsabilità), senza però invaderla completamente e condizionarne tutti gli aspetti. Trovare questa via di mezzo, costruirsela piano piano è spesso molto difficoltoso se non impossibile.

sabato 23 maggio 2009

Le attività dilettantistiche

Da qualche parte ho letto una frase che mi sono subito appuntato: "Un paio di generazioni fa, prima della televisione, molte famiglie si intrattenevano cantando e suonando. Oggi si dà grande importanza alla tecnica e alla abilità, e al fatto che un musicista sia 'bravo abbastanza' da suonare per gli altri. Nella nostra cultura fare musica è diventata una specie di attività riservata, e il resto di noi ascolta."

E' una frase che mi ha colpito perchè ho sempre pensato che viviamo attualmente in una società dove la pratica musicale non professionale è scarsamente diffusa, dove lo studio della musica non ha mai fatto parte di nessun percorso scolastico che non fosse specializzato (vedi i conservatori). Il risultato è che al di là di una ristretta fascia di specialisti la cultura musicale media è piuttosto bassa e anche il semplice ascolto della musica risulta fortemente condizionato dall'industria discografica e quindi in balìa di meccanismi di puro consumo.

Sebbene il discorso della musica mi appaia particolare forse queste osservazioni possono essere trasposte a quasi tutte le attività culturali. L'approccio non professionale, dilettantistico, a gran parte dei settori della cultura (arte, letteratura, teatro, scienze) è raro da incontrare e forse soffre pure di una bassa considerazione.

Dovremmo praticare di più le attività culturali, sotto forma di hobby, di passatempo, di impegno intellettuale al di fuori del lavoro e alternativo ad esso. E invece tendiamo sempre più spesso a demandare queste attività a degli specialisti, a dei professionisti che lo fanno per lavoro, e noi ci limitiamo a fare da spettatori passivi, davanti alla televisione, a teatro, al cinema, ai concerti, davanti ad un libro o ai quadri di una mostra.....

.... e già sarebbe tanto. La verità è che facciamo sempre più raramente anche gli spettatori. L'unica cosa che continuiamo a fare regolarmente è quello di riunirci a tavola e parlare/mangiare.

mercoledì 13 maggio 2009

Il romanticismo delle donne

Perchè si dice che le donne sono mediamente più romantiche degli uomini? Certamente si tratta spesso di un modo di dire, nulla di più. Ma io ultimamente ho avuto modo di rimanere un po' infastidito da questo luogo comune. Credo che questa sia una forma di maschilismo, usato più dalle donne che dagli uomini (dunque una prova che il maschilismo ha avuto successo). Storicamente la parte più romantica degli uomini (maschi) ha avuto sempre come oggetto la donna, ovvero quest'ultima è il soggetto che incarna e interpreta il romanticismo dell'uomo (maschio). Il risultato è che spesso si attribuisce a molte donne (e loro stesse se lo attribuiscono) un romanticismo che di fatto non hanno.

mercoledì 6 maggio 2009

Il postulato di oggettività

Il saggio di Jacques Monod "Il caso e la necessità: saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea" è un testo pieno di riflessioni interessantissime. Tra queste c'è quella sulla scienza e sugli aspetti che la definiscono. Monod individua un principio fondamentale, una scelta etica di fondo che permette di fare scienza, e di distinguere l'attività scientifica da altre quali la riflessione filosofica o religiosa. Questo principio, calato nella biologia, è ben rispettato dalla teoria dell'evoluzione di Darwin, prima forma di conoscenza sul vivente nella storia dell'uomo ad avere questa importante caratteristica.

Ho letto e riletto più volte queste considerazioni e adesso mi piace riportarle in questo blog:

"La pietra angolare del metodo scientifico è il postulato dell'oggettività della natura, vale a dire il rifiuto sistematico a considerare la possibilità di pervenire ad una conoscenza vera mediante qualsiasi interpretazione dei fenomemi in termini di cause finali, cioè di progetto. Il postulato di oggettività è consostanziale alla scienza e da tre secoli ne guida il prestigioso sviluppo. E' impossibile disfarsene, anche provvisoriamente, o in un settore limitato, senza uscire dall'ambito della scienza stessa."

"Porre il postulato di oggettività come condizione della scienza vera rappresenta una scelta etica e non un giudizio di conoscenza in quanto, secondo il postulato stesso, non può esservi conoscenza vera prima di tale scelta arbitraria."

"La teoria di Darwin è finora l'unica, tra quelle proposte, che sia compatibile con il postulato di oggettività in quanto riduce la teleonomia ad una proprietà secondaria derivata dall'invarianza, la sola proprietà considerata primaria."

"Tutte le concezioni non scientifiche sul vivente, che derivino da ideologie religiose o da sistemi filosofici, presuppongono di fatto l'esistenza di un principio teleonomico iniziale, ovvero implicano tutte l'abbandono parziale o totale del postulato di oggettività."

lunedì 20 aprile 2009

L'ipotesi atomica

All'età di circa 9 anni ricevetti un regalo dalla mia maestra elementare in occasione (se non ricordo male) della mia prima comunione. Erano due libri di una collana per ragazzi, copertina rigida con sovracopertina di carta rossa. Parlavano di scoperte scientifiche e invenzioni tecnologiche, due pagine per ogni argomento, sulla pagina di sinistra il testo scritto, in quella di destra le illustrazioni. All'interno c'erano molte cose affascinanti e io ci persi un bel po' del mio tempo (a quell'età fortunatamente ne hai tanto, o almeno così ti sembra). In uno di quei volumi trovai una delle prime descrizioni dell'ipotesi atomica. Altre ne trovai in quegli stessi anni in un'enciclopedia di scienze di mio zio.

Quello che potevo capire da quelle letture era ovviamente pochissimo, ma forse più essenziale di quanto non sembri: tutta la materia esistente (tutta) è fatta di aggregazioni di corpuscoli enormemente piccoli in numeri enormemente grandi, chiamati atomi; queste aggregazioni sono garantite da una combinazione di forze attrattive (i corpi mantengono quasi tutti una loro forma precisa e una loro compattezza) e di forze repulsive (i corpi non possono essere compressi indefinitamente).

Effettivamente l'ipotesi atomica può essere descritta in maniera abbastanza scarna e comunicata con semplicità anche ad un bambino di 9 anni. Si tratta però di un punto di vista suscettibile di sviluppi incredibilmente complessi, di un'idea di base estremamente potente, a partire dalla quale si può (e di fatto così è successo) costruire una conoscenza molto profonda e dettagliata del mondo fisico. Ma può un'ipotesi così semplice dar luogo alla complessità e varietà di caratteristiche che osserviamo in natura? Certamente il passaggio dai principi della fisica di base alla complessità del mondo è uno degli sforzi di immaginazione più incredibili che l'uomo è chiamato a fare. E su questi sforzi c'è una quantità immensa di lavoro scientifico.

Sull'ipotesi atomica ho raccolto un paio di frasi di Richard Feynman (Fisico, premio Nobel 1965) che mi sembrano molto efficaci:

Se un pezzo di acciaio o di sale, fatti di tanti atomi uguali disposti uno accanto all'altro, possono avere proprietà tanto interessanti, cos'altro sarà mai possibile? Se invece di sistemare gli atomi in qualche configurazione ripetuta in continuazione, creassimo una disposizione sempre diversa da una zona all'altra, continuamanete mutevole, mai ripetuta, in quale altro modo meraviglioso potrà mai combinarsi questa "cosa"?
Quando dico che siamo un ammasso di atomi, non voglio dire che siamo solo un ammasso di atomi: perchè un ammasso di atomi che non sia in una configurazione ripetuta in modo identico potrebbe benissimo avere la possibilità che vedete davanti a voi nello specchio.

Se, in qualche cataclisma, tutta la conoscenza scientifica fosse distrutta e solo una frase venisse trasmessa alle seguenti generazioni di creature, quale affermazione conterrebbe il maggior numero di informazioni in meno parole possibili?
Io credo che sia l'ipotesi atomica, cioè che tutte le cose sono fatte di atomi, piccole particelle che si muovono in moti perpetui, attraendosi le une alle altre quando sono poco distanti tra loro, ma respingendosi quando vengono compresse l'una all'altra.
In ques'unica frase, chiaramente, c'è un'enorme quantità di informazione sul mondo, se solo ci si applica con un po' di immaginazione e di riflessione.

venerdì 17 aprile 2009

I pericoli di un'ideologia

Un'ideologia è un sistema di idee su come deve essere fatta una società, su come deve funzionare. E' un progetto sulla società perseguito solitamente da un settore della società stessa. Il pericolo più grande di una qualsiasi ideologia, confermato storicamente molte volte, è quello di sovrapporsi alla realtà sociale ignorando o non riuscendo più ad interpretare molti dei suoi aspetti. Nel far questo e nel perseguire tenacemente il suo progetto a lungo termine, chi punta ad obiettivi ideologici rischia di passare sopra qualsiasi cosa, qualsiasi conseguenza anche grave sulle persone e sulle popolazioni intere.

Credo che questa sia esattamente la situazione della Chiesa Cattolica quando si esprime su cose come i patti di convivenza, la fecondazione assistita, i temi del fine vita e l'uso del preservativo.

mercoledì 15 aprile 2009

Educazione irrazionale

Ripensavo alla dimostrazione che la radice di due è un numero irrazionale. Ho impiegato un po' di tempo a ricostruirla. D'altra parte è una dimostrazione semplice ma non banale. Utilizza passaggi e osservazioni elementari, ed è un esempio di procedimento per assurdo. Credo che il ragionamento e gli strumenti che usa siano tranquillamente alla portata di un ragazzo di scuola media superiore. Magari potrei sbagliarmi ma si potrebbe tentare di raccontarla anche ad un ragazzo di scuola media inferiore. E varrebbe almeno la pena di tentare per diversi motivi: perché è una dimostrazione (non se ne vede quasi mai una fatta per bene, nei vari gradi di scuola), perchè parla di proprietà generali (a scuola spesso si fanno solo conti), perchè ha un grande valore storico (la storia della matematica a scuola non esiste, sembra di avere a che fare con una disciplina senza tempo, costruita tutta insieme da chissà chi).

Io invece, se non ricordo male, ho incontrato questa dimostrazione solo durante gli anni dell'università, insieme a molte altre cose che sicuramente avrei potuto cominciare a conoscere ed apprezzare qualche anno prima. Sarà per questi motivi che la matematica è veramente affascinante solo quando si arriva a studiarla all'università. Prima la potresti facilmente scambiare per un'accozzaglia indistinta di formulette e di procedimenti meccanici da imparare perlopiù a memoria, in cui non c'è nulla da capire e soprattutto nulla di divertente. E certamente per molti alla fine è stato proprio così.

Non credo che questa sia solo la mia particolare e sfortunata esperienza, credo di averla condivisa con tanti altri della mia generazione e credo purtroppo di condividerla anche con molti ragazzi che frequentano la scuola oggi. Un vero peccato.

La questione ovviamente è generalizzabile. Parlo della matematica perchè mi piace e perchè la conosco. Per la storia, la filosofia, la letteratura, l'arte, probabilmente valgono considerazioni analoghe. Forse la generalizzazione è questa: una qualunque struttura scolastica, di qualsiasi tipo e di qualsiasi grado, può impartire delle competenze senza trasferire valori, ma le competenze senza valori non costituiscono una vera conoscenza.
L'insegnante, qualunque sia l'oggetto del suo insegnamento, dovrebbe avere come obiettivo principale quello di trasmettere il fascino, l'importanza, la passione per gli argomenti che insegna insieme agli argomenti stessi. E' importante, per costruire una vera conoscenza e quindi una vera cultura, percepire costantemente il valore di quello che si sta studiando, che è il solo motore in grado di giustificare lo sforzo necessario per un reale apprendimento.

martedì 14 aprile 2009

Astronomia - Seconda parte

(leggi la prima parte ....)

Il cielo stellato

Se proviamo a guardare il cielo stellato una sera per pochi minuti probabilmente la migliore descrizione che potremmo farne è quella di un numero imprecisato di puntini luminosi (che chiamiamo stelle) disposti grosso modo a caso. L'osservazione ripetuta sera per sera, anche occasionalmente e sempre per pochi minuti (che è quello che si fa di solito), ci permette già di riconoscere facilmente configurazioni di stelle, che per questo motivo ci diventano nel tempo molto familiari e a cui diamo il nome di costellazioni. A questo punto basta un'osservazione un po' più insistente e più meticolosa per renderci conto che effettivamente tutte queste stelle che popolano il cielo hanno posizioni relative fisse, immutabili.

Se l'osservazione del cielo in una sera favorevole si protrae per un tempo abbastanza lungo ci accorgiamo anche di un'altra cosa notevole: l'intera configurazione del cielo stellato si sposta. Lo spostamento è tale da determinare addirittura il tramonto di stelle (fino a quel momento visibili) verso ovest e il sorgere di altre stelle (fino a quel momento invisibili) da est.

Primi collegamenti

A questo punto possono venire in mente dei collegamenti con quanto si osserva molto facilmente tutti i giorni: il sorgere a est e il tramontare a ovest del sole, e altrettanto della luna (per quest'ultima occorre prestare più attenzione). Le stelle hanno un moto che di fatto somiglia molto a quello di questi due oggetti che per altri aspetti (dimensioni, luminosità, importanza per la nostra vita) appaiono molto diversi da loro. E' chiaro che viene subito d'immaginare che sole e luna sono due oggetti anch'essi solidali con tutte le altre stelle del cielo. E questo coincide con quanto si osserva: le stelle di notte si muovono con la stessa velocità con cui il sole si muove di giorno, da un mezzogiorno all'altro ritrovo il sole nello stesso punto così come da una mezzanotte all'altra ritrovo una certa stella sempre nello stesso punto. Ovviamente anche in questo caso ci facciamo aiutare un po' dall'immaginazione. Che fanno il sole o la stella quando non riesco più a vederli? Il giro, visto che poi mi ricompaiono dall'altra parte.

Un'ulteriore osservazione: non tutte le stelle sorgono e tramontano, alcune rimangono sempre visibili. Sono quelle verso nord. La cosa veramente particolare è che queste stelle descrivono durante la notte degli archi di cerchio, e se se ne osservano molte si riesce a capire che questi cerchi sono concentrici. Indicano quindi con il loro moto notturno un punto fisso del cielo. Guidando l'osservazione verso quel punto si trovano stelle praticamente fisse.

Mettiamo insieme le cose

Facciamo uno sforzo di immaginazione: sembra che tutte le stelle, la luna e il sole siano oggetti fissati ad una enorme sfera che ruota sopra di noi. Non solo, questa sfera sembra avere un asse di rotazione fisso di cui noi riusciamo a vedere un polo. E l'altro? Beh, l'altro non possiamo vederlo perchè in realtà noi siamo dentro questa enorme sfera che ruota, anzi, probabilmente siamo proprio nel suo centro, quindi l'altro polo si trova dalla parte opposta a quello visibile, e poichè quest'ultimo si trova a circa 45 gradi sopra il nord, l'altro si troverà a circa 45 gradi sotto il sud, ovvero in una regione del cielo a noi invisibile (quella percorsa dal sole durante la notte). Qual'è il periodo di rotazione di questa sfera? Lo stesso di quello determinato con molta facilità osservando il sole: un giorno.

(leggi la terza parte ....)

lunedì 13 aprile 2009

I compiti del giornalismo

Qualche giorno fa è passata in televisione una puntata della trasmissione giornalistica di Michele Santoro sulla tragedia del terremoto in Abruzzo (09/04/2009). Le critiche allo stile della trasmissione sono state pesantissime, durante la trasmissione stessa e successivamente, soprattutto da parte di numerosi politici, scandalizzati per gli attacchi fatti alla grande opera dei soccorsi della Protezione Civile in un momento in cui il Paese si deve compattare negli aiuti ai terremotati.

La trasmissione ha voluto mettere in discussione l'efficienza dell'intervento della Protezione Civile e delle autorità locali sul piano della prevenzione e della pianificazione, non tanto su quello della gestione dell'emergenza.

Ma che deve fare una trasmissione giornalistica in questi casi (e in molti altri simili)? Toccare le corde della commozione (magari anche sfruttarle abbondantemente) e insieme osannare incondizionatamente gli aiuti con tutti i loro lodevoli episodi di grande solidarietà, oppure indagare su quello che succede senza guardare in faccia a nessuno a rischio di rompere le uove nel paniere a qualcuno e a rischio di risultare antipatici perchè fuori dal coro rassicurante della solidarietà?

La voce di Wikipedia sulla Protezione Civile recita così:

"Si pensa spesso che la Protezione Civile si limiti ad intervenire in caso di disastri e calamità per portare soccorso. Non è così: infatti buona parte delle attività è destinata alle attività di previsione e prevenzione. La Legge 225/92 prevede infatti espressamente che le competenze della Protezione Civile si articolino in maniera complessa: non solo nella semplice 'gestione del post-emergenza', ma in una serie integrata di attività che coprono tutte le fasi del 'prima e del dopo', secondo i quattro versanti della Previsione - Prevenzione - Soccorso - Ripristino."

La zona dell'Aquila era sotto sciame sismico da diversi mesi senza che nessuna autorità prendesse qualche tipo di contromisura preventiva. Il fatto che i terremoti non si possono prevedere non autorizza a dire costantemente alla popolazione preoccupata per le scosse che tutto è sotto controllo e non ci si deve allarmare. Proprio perchè i terremoti non si possono prevedere.

Purtroppo il nostro è un paese dove si accetta la logica della gestione immediata delle emergenze e non quella della pianificazione. Un po' per atteggiamento culturale, un po' perchè qualunque attività di pianificazione ha un costo.

La trasmissione di Michele Santoro era del tutto legittima, faceva delle analisi interessanti, poneva dubbi e perplessità del tutto ragionevoli, e voleva aprire un dibattito sicuramente molto utile, anche per migliorare le nostre capacità di prevenzione, pianificazione e intervento in episodi futuri (purtroppo credo inevitabili, vista la criticità del nostro territorio). Quello che dovrebbe fare il giornalismo in situazioni come questa.