lunedì 30 novembre 2015

Cura dell'ambiente digitale

"Plinn ...". Un messaggio su un gruppo di whatsapp. Uno di quei gruppi creati per veicolare informazioni di servizio tra persone accomunate da una stessa circostanza ma che in buona parte non si conoscono o si conoscono poco. Apro e leggo una delle solite frasi che ti avvisano che certi cattivi (ormai solitamente degli extracomunitari) usano una tecnologia subdola per fregare la gente. Questa volta però si tratta di una cazzata talmente palese che mi chiedo come facciano le persone a rilanciare certe zozzerie. Mitiga un po' questa mia stizza il ricevere dopo un po' (dopo vari ringraziamenti, sorrisini e pollici alzati di altri "astuti" contatti del gruppo) una ragionevole risposta che recita più o meno così: "tranquilli, ho fatto un po' di ricerche in rete e sembra essere una bufala".

Ho già scritto in un altro post che internet e' una tecnologia che si accompagna ad una nuova forma di inquinamento e questo episodio, sebbene di piccolissime conseguenze, mi sembra che lo confermi molto chiaramente. La rete è prevalentemente uno spazio pubblico e in questo senso andrebbe trattato nel rispetto di tutte le persone che lo frequentano. Non si gettano cartacce in mezzo alla strada o in una piazza, così come  non si dovrebbero mandare cazzate in giro per la rete senza averci pensato bene prima. Se non si ha tempo per pensarci meglio lasciar perdere. È proprio una questione di cura dell'ambiente, un fatto ecologico.

venerdì 13 novembre 2015

Confondono le idee?

Non è la prima volta che mi capita di sentire che la frequentazione di persone omosessuali o semplicemente l'osservazione dei loro comportamenti "confonderebbe le idee" ai bambini. Questo implica che i bambini dovrebbero farsi le stesse idee sul mondo che presumibilmente si sono fatte i loro genitori.

Capisco. Un genitore non vuole solo trasferire i suoi geni ai figli ma anche le sue conoscenze, le sue convinzioni, la sua morale, in poche parole la sua visione del mondo. Mi sembra giusto.

Però sappiamo bene che è importante poter cambiare questa visione, è di fatto il nostro più grande punto di forza. Quindi quando un genitore trasferisce una propria conoscenza o convinzione dovrebbe sempre contemporaneamente poter dare ai propri figli la possibilità di metterla in discussione, confrontandola con la realtà.

Dire che il bambino non è preparato ed è troppo piccolo per elaborare l'informazione che gli si vuole nascondere è troppo spesso un'ipocrisia, come credo si possa dire in questo caso. Un genitore che nasconde una parte della realtà al figlio con la scusa che è troppo piccolo per poter capire poi finirà per evitare sempre l'argomento, finché sarà possibile.

E poi nascondere esplicitamente una realtà al figlio non significa quasi mai omettergli una cosa (che in molti casi potrebbe anche essere una buona strada, o almeno la più facile in quel momento) bensì comunicargli una cosa. La censura esplicita è a tutti gli effetti un insegnamento di per sè. E non credo sia mai un buon insegnamento.

sabato 7 novembre 2015

Due volte stupido

"Quanto viene il lavoro?"
"Sono 1200 euro ... ma facciamo la fattura? No, perchè così arriviamo quasi a 1500. Che facciamo?"
"No, guardi, mi faccia la fattura, altrimenti la dovrei pagare in contanti ... giusto?"
"Eh beh ..."
"Allora preferisco farle un bonifico, per me è più facile, mi faccia la fattura"
"Certo che è un peccato, magari le fatturo solo 200 euro ..."
"No, guardi, vale lo stesso discorso, preferisco il bonifico che faccio prima"
"Vabbè, io lo dicevo per lei ....".

Lo dicevi per me? LO DICEVI PER ME?!?!

Ieri mattina alla radio un giornalista faceva un discorso molto semplice. Immaginiamo un lavoratore dipendente, che paga obbligatoriamente tutte le sue tasse allo Stato. Supponiamo che si senta uno stupido nel farlo, e per questo motivo preferisca far fare i lavori in nero, almeno si risparmia l'iva e per quel che può lo Stato per quelle volte riesce a fregarlo.

Consideriamo adesso il professionista che esegue il lavoro in nero, e che fa questo regolarmente. Costui riesce ad evadere interamente le sue tasse, intasca tutti i suoi soldi e non contribuisce a finanziare nessun servizio pubblico. Ma molto probabilmente quei servizi pubblici che non finanzia saranno disponibili (per quel poco che valgono) molto più per lui che per il lavoratore che invece le tasse le paga.

Riuscirà a piazzarsi prima nelle graduatorie per l'assegnazione dei posti all'asilo nido. Riuscirà a non pagare o pagare di meno le mense scolastiche. Riuscirà a sfruttare di più il servizio sanitario nazionale, riceverà cure, analisi, farmaci. Riuscirà più facilmente a farsi assegnare una casa popolare se ne avesse bisogno. Quel poco che un servizio pubblico, scarso anche per colpa sua, può offrire al cittadino, lo offrirà di più a lui. Quando un giorno andrà in pensione, risultando nullatenente, e senza aver mai sostenuto il sistema pensionistico, riceverà una pensione sociale finanziata da chi paga le tasse, dunque dal lavoratore dipendente e con buona probabilità anche da suo figlio.

In conclusione quel lavoratore che paga le tasse e che preferisce pagare i lavori in nero è due volte stupido, perchè paga le tasse e perchè permette a chi gli fa dei lavori di non pagarle, dicendo pure che gli sta facendo un piacere. Il primo "stupido" fa rabbia, perchè è un'inciviltà definire stupido un cittadino che paga le tasse. Il secondo "stupido" è giusto, ma suggella definitivamente questa inciviltà.

domenica 1 novembre 2015

Un punto di vista, non tutta la realtà

Mi ha sempre colpito leggere in contesti scientifici frasi del tipo: "in natura non è possibile che possa succedere questo, o quest'altro". Frasi del genere sono ragionevolissime e in genere anche del tutto giustificate. Il senso è sempre che un certo fatto in natura è impossibile che si verifichi in relazione a quanto ne sappiamo del suo funzionamento fino a questo momento. La precisazione può sembrare del tutto inutile, si tratta però di ribadire che una cosa è la natura e una cosa è l'immagine che ce ne siamo fatti.

E' vero che molte volte il grado di conoscenza raggiunto è talmente consolidato che sembra superfluo distinguere ciò che conosciamo da ciò che è. Qualche anno fa venne fuori la notizia che ci fosse un'evidenza sperimentale di neutrini superluminali. La gran parte della comunità scientifica reagì con un certo scetticismo e, sebbene la prova sperimentale è sempre l'ultima parola, era anche vero che una cosa del genere metteva praticamente in crisi tutto l'edificio della Relatività. Piuttosto improbabile, visto il secolo di successi sperimentali di questa teoria. Non che la meccanica di Newton non abbia subito lo stesso destino ma in quel caso il quadro sperimentale che la metteva in crisi era certamente più complesso, non una semplice misura in aperta contraddizione con la teoria.

Sta di fatto che nell'episodio specifico il gruppo di ricerca ha in seguito evidenziato degli errori nelle misure e la bolla si è sgonfiata. Certo, episodi del genere fanno sempre pensare un po' a questioni di epistemologia. Chi indaga la natura (sia in modo sperimentale che teorico) cosa si aspetta di trovare? Cosa non si aspetta? Cosa è pronto ad accettare immediatamente e cosa no? Quanto influisce questo atteggiamento "parziale" sull'avanzamento delle conoscenze? In relazione a questo ho sempre pensato un paio di cose abbastanza ovvie: prima di tutto che il procedere delle conscenze non è così lineare come magari tende ad essere raccontato a posteriori, e poi che spesso questo procedere è determinato da mille fatti contingenti di natura completamente diversa. Materiale interessante per gli storici.

L'ultima volta che ho letto una frase che tende a confondere la realtà con come la conosciamo è stato qualche giorno fa e riguardava il principio di conservazione dell'energia. Stranamente la frase nel momento in cui l'ho letta mi è suonata tanto più dissonante in quanto si riferiva ad una asserzione ad oggi veramente indiscutibile (o a cui sarebbe veramente difficile rinunciare), che è appunto la conservazione dell'energia: "L'ambizione di questo enunciato è enorme: esso si propone come una legge universale ed eterna, valida in ogni luogo, in ogni tempo, sempre e dovunque. Come una vera legge, questo principio ci dice cosa non deve e non potrà mai succedere". In relazione a quello che stava raccontando la frase era particolarmente efficacie ma a me è subito tornata in mente una bella frase di Stephen J. Gould, che tempo fa mi ero appuntato e che casca proprio a proposito: "L'impossibile generalmente è un frutto delle nostre teorie e non una realtà della natura". Credo che l'atteggiamento che sta dietro a quest'affermazione possa sempre risultare fecondo per uno scienziato.