giovedì 31 dicembre 2020

No-Vax e individualismo

"Il vaccino non può essere obbligatorio, ma vogliono far passare il messaggio che chi non si vaccina è un pericolo per la collettività. Ma se uno si vaccina dovrebbe essere protetto di fronte a uno che non si vaccina. Quindi qual è il pericolo per la società?"

Leggo questa frase su un social. Non è la prima parte che mi interessa, credo che sia meglio che il vaccino anti-covid rimanga non obbligatorio e non chiamerei uno che non si vaccina un pericolo per la collettività. E' la seconda parte a farmi pensare, quella che ho riportato in corsivo. C'è dentro un cazzo di individualismo che faccio fatica a sopportare. E' un pensiero che tradotto suona così: "Chi si vuole vaccinare lo faccia così si protegge di fronte a chi non si vaccina, e non rompa i coglioni agli altri". Ognun per sè, la società è fatta di individui che scelgono per quello che gli conviene secondo le proprie personalissime convinzioni. Se poi i vaccinati sono 10 o 10 milioni non è un elemento significativo e quindi non viene neanche discusso. Perchè evidentemente non è significativo qualcosa che ha un impatto sulla società nel suo insieme. In effetti posso anche essere l'unico che si vaccina, ottengo comunque il mio risultato personale, perchè devo rompere le scatole agli altri?

Questa cosa che la società non sia altro che una massa di coglioni eterodiretta e che un comportamento sociale sia solo un appecoronamento è un atteggiamento che ogni volta che lo osservo mi inquieta. Peraltro, anche se apparentemente sembrerebbe un argomento scollegato, io trovo che questo atteggiamento possa produrre comportamenti antiscientifici o addirittura contrari alla costruzione di qualunque sapere razionale. La conoscenza, e in particolare la conoscenza scientifica, è una costruzione sociale basata sulle competenze di una minoranza di specialisti che dibattono sui problemi e convergono sui risultati e sulla fiducia in loro riposta da una maggioranza di persone in grado di avere un sufficiente grado di comprensione del mondo in cui vivono.

Criticare la società in cui si vive è essenziale ed è prerogativa di qualunque cittadino libero. Ma dare valore solo ai propri obiettivi personali è antisociale. E' come se la storia della nostra conoscenza, togliendoci progressivamente il gusto dell'antropocentrismo, ci abbia lasciato solo quello dell'egocentrismo. Ma questo secondo me porta ad un eccesso di individualismo che favorisce agglomerati umani sempre più ignoranti, antidemocratici e antiscientifici.


martedì 29 dicembre 2020

Negazionismo e individualismo

Mi domando se per caso il negazionismo, inteso in senso generale, nelle sue varie forme così come si incontra ai tempi nostri, sia in qualche modo legato all'individualismo.

Il negazionismo è in genere la tendenza a distanziarsi dalle opinioni correnti espresse tipicamente da componenti ufficiali della società, per abbracciare teorie più o meno improbabili raccolte da pochi individui (che si presentano come outsider) e amplificate oggi dai social, mezzi di comunicazione di massa in cui si può esprimere direttamente il singolo.

Secondo me questa tendenza esprime (tra le altre cose) il desiderio di distinguersi da ciò che la società ci dice, attraverso le sue varie istituzioni, da quelle scientifiche a quelle politiche, e di avere una voce più personale. Un atteggiamento, anche solo psicologico, con cui il singolo emerge dalla comunità e trova una sua individualità. Abbandonare un pensiero comune (definito solitamente come mainstream) significa quasi sempre "aprire gli occhi", "ragionare di testa propria", non farsi abbindolare, in poche parole essere indipendente.

In questa logica la società è vista sempre come un sistema di potere manipolante, mai come una comunità a cui si può appartenere, condividendone il pensiero e la costruzione delle conoscenze. Questo ovviamente crea a volte delle situazioni contraddittorie, conseguenza del fatto che in realtà l'individuo nella società ci sta eccome.

L'individualismo si può esprimere in modo passivo come indifferenza alle questioni del tuo gruppo sociale, ma anche forse in modo attivo, come contrapposizione e distanziamento dalla maggioranza passiva e "condiscendente" a quello che la società imporrebbe loro.

venerdì 25 dicembre 2020

Natale in casa Cupiello

Un paio di settimane fa con l'avvicinarsi del Natale mi è tornata in mente la bellissima commedia di Eduardo che tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta la Rai mandava in onda sistematicamente ogni anno. Si trattava di una registrazione fatta proprio dalla Rai nel 1977, interpretata da un cast eccezionale (Eduardo De Filippo, Pupella Maggio, Luca De Filippo, Gino Maringola, Lina Sastri, Marina Confalone), e che appartiene ai ricordi della mia infanzia. In quegli anni era talmente scontata la messa in onda di questa commedia che da allora praticamente ad ogni Natale mi torna in mente.

Quest'anno però, con l'aiuto del servizio di streaming on line della Rai me lo sono andato a cercare per rivederlo e tra l'altro ho anche scoperto che di edizioni televisive di questa commedia ne esistono addirittura due, quella che ricordo io a colori e una precedente, del 1962, in bianco e nero.

Natale in casa Cupiello è un vero capolavoro, sia il testo teatrale in sè che l'interpretazione che ho visto tante volte grazie a questa famosa registrazione. Racconta tutto quello che c'è di buono e di cattivo in una famiglia che si riunisce in quella che da sempre è in un certo senso proprio la sua festa. Un ritratto universale della famiglia, delle sue incomunicabilità, della sua retorica, delle sue verità nascoste, dei suoi dolori e insieme dei suoi grandi legami di affetto viscerali. Un monumento.

Certo, l'interpretazione è talmente caratteristica e con un livello di recitazione così alto che è difficile separarla dal testo teatrale. Non viene neanche da pensare che possa essere reinterpretato in altro modo. Non mi è venuta neanche la curiosità di andare a vedere l'altra interpretazione, sempre di Eduardo, del 1962. Un fenomeno di "cristallizzazione" dell'evento artistico consentito ormai da tempo dalle tecniche di registrazione. Se non avessimo avuto la possibilità di registrare quella e altre commedie di Eduardo avremmo perso un grande patrimonio artistico, che molti altri in futuro potranno apprezzare. Testimonianze artistiche da conservare come si è sempre fatto.

Ma qualche giorno fa su raiplay è comparso (massicciamente pubblicizzato) un nuovo adattamento televisivo della commedia di Eduardo, questa volta non una recitazione in presa diretta ma registrata e montata quasi come un film, con tanto di colonna sonora originale (Enzo Avitabile). La regia è di Edoardo De Angelis e il cast comprende Sergio Castellitto, Marina Confalone, Adriano Pantaleo, Tony Laudadio, Pina Turco, Alessio Lapice, Antonio Milo.

Il fenomeno di cristallizzazione di cui parlavo prima si fa sentire subito alla prima reazione istintiva. L'unico vero "Natale in casa Cupiello" è quello di Eduardo, tentare una diversa interpretazione è quantomeno discutibile, se non peggio. L'effetto "mostro sacro" induce immediatamente il pregiudizio. Ho notato che sui social lo spettro degli atteggiamenti era più o meno sempre condizionato in tal senso. Prevedibile. E banale.

Fatto sta che il nuovo adattamento televisivo è bello, fatto bene, la messa in scena in modo diverso e non inutile di un grande testo teatrale. E questo mi ha fatto riflettere un pochino sull'arte. Almeno su alcune forme d'arte, quelle per cui ha senso il concetto di "interpretazione", di interazione diretta col pubblico, che può sfociare anche in momenti irripetibili di improvvisazione. L'arte che ha un "tempo di esecuzione". Parlo del teatro e della musica (includendo anche la danza). Non credo che il cinema sia da annoverare tra queste forme d'arte, sebbene anche dei film si possano fare i cosiddetti "remake", ma non mi sembra che questa sia una caratteristica così importante dell'arte cinematografica.

Un testo teatrale può e deve essere reinterpretato continuamente, credo che sia nella natura di questa forma d'arte. Andare in scena è la normalità. Tra l'altro è proprio il valore di un testo che lo predispone a tante diverse interpretazioni. Inoltre il testo può essere riadattato, rielaborato, integrato usando anche l'arte dell'improvvisazione. Perchè no? Lo stesso vale per la musica scritta. Credo che le tecnologie di registrazione, sebbene abbiano dato la grande possibilità di produrre documenti artistici duraturi, abbiano anche un po' indebolito questa concezione "viva" e "fisica" delle arti da palcoscenico. Davvero non ha senso fruire il teatro e la musica solo attraverso le registrazioni, per quando famose e di grande valore. Si perdono pezzi essenziali di queste forme d'arte. Si finisce forse per non capirle.