giovedì 16 febbraio 2012

Passeggiata in libreria

Avevamo un appuntamento al centro quel pomeriggio, siamo arrivati un po' prima e con la mia famiglia siamo entrati in una grande libreria. Veramente io ricordavo che molti anni prima quel negozio era occupato dalla Ricordi, e io ci andavo per comprare edizioni musicali (libri di musica). Ora c'è una Feltrinelli e le edizioni musicali sono scomparse. Quando la Feltrinelli acquistò Ricordi era molto probabilmente interessata alla catena di negozi e non alle edizioni musicali. Fatto sta che ero un po' contrariato, un negozio in meno in cui poter trovare spartiti. Poco male, adesso si compra tutto su Internet e addirittura molte edizioni del repertorio classico essendo fuori dal copyright sono liberamente scaricabili.

Decido quindi di farmi un giro, sbircio qua e là, non cerco nulla di preciso. Ovviamente, come sempre mi capita quando sono in una nuova libreria, vado a curiosare negli scaffali del settore scientifico e tecnologico ... ma non lo trovo! Caspita, non c'è, proprio non c'è! La libreria è molto grande, si articola su due piani, e più o meno come tutte le altre librerie Feltrinelli ha settori di musica, cinema, videogiochi (il multimedia) e una parte di libreria tradizionale. Una grossa parte del settore libri è sotto la dicitura generale "Scienze Umane", in cui c'è di tutto: storia, politica, diritto, economia, religioni, esoterismo, ecc. Tra gli scaffali scorgo anche mezzo metro dedicato all'informatica ma è inguardabile (il solito paio di manuali sul C e su Java, affiancati da quelli sull'ECDL o sull'uso di Windows o dell'iPhone). Niente sulle "Scienze Disumane" (si chiameranno così?).

Perchè una libreria così grande al centro di Roma decide di non avere un settore di pubblicazioni scientifiche? Avrà fatto un'indagine di mercato? E cosa sarà uscito fuori da questa indagine? Sotto c'è il solito problema culturale di sempre? Ma è mai possibile in una società come la nostra? Non ci posso pensare ...

La reazione a questa cosa me la immaginerei così: la scienza e la tecnologia sono settori per specialisti, loro stesse sono piene di sottobranche ormai altamente specializzate, dunque la loro naturale collocazione sono le librerie specializzate, in una libreria generica non riescono a trovar posto e se lo trovano è misero e poco interessante (vedi scaffale sull'informatica).

Io trovo addirittura pericoloso questo tipo di ragionamento. Dare a qualcuno o a qualcosa una collocazione così precisa e circoscritta, sia pure nobile, significa principalmente toglierselo dalle scatole. Mi viene da pensare alla vecchia frase "la donna è la regina della casa", apparentemente un modo per valorizzare la donna ma di fatto (anzi, proprio per questo) una frase di profondo razzismo, che è servita, e forse in parte serve ancora, ad assicurarsi di non avere le donne tra i piedi in tutti gli altri ambiti sociali. Evidentemente quando ci occupiamo di cultura non vogliamo la scienza e la tecnologia tra i piedi, anche se hanno costruito e costruiscono il mondo in cui viviamo (o forse proprio per questo?).

venerdì 10 febbraio 2012

Comma

Le mie prime lezioni di musica le presi tanti anni fa da un conoscente di famiglia. Io volevo studiare pianoforte e lui mi avrebbe dato le prime lezioni di teoria e qualche lezione di strumento, visto che aveva un pianoforte in casa.

Ma lui era un violinista. A parte il suo invito una volta a provare il suo strumento, e la conseguente mia frustrazione nel constatare che non riuscivo in nessun modo a tirar fuori una nota pulita, ricordo che il fatto che fosse un violinista si collegava a qualche sua strana osservazione sulla musica che successivamente, con l'insegnante di pianoforte, non ebbi più modo di sentire. Si tratta di ricordi un po' vaghi in quanto le sue erano osservazioni forse non così importanti per quello che stavamo studiando, e poi perchè onestamente non mi erano molto chiare. Probabilmente però mi avevano incuriosito perchè da qualche parte nella testa le ho conservate e solo molto tempo più tardi me le sono ritrovate tra i miei interessi personali sulla musica.

Diceva cose del tipo: "le note sul pianoforte sono già stabilite, devi solo premere il tasto corrispondente; sul violino invece vanno costruite, non c'è scritto dove stanno, le devi cercare tu con l'orecchio". Poi aggiungeva: "lo sai per esempio che RE# e MIb in realtà non sono esattamente la stessa nota?", questa frase suona a dir poco strana se hai come riferimento la tastiera del pianoforte, dove le due note, seppur con nome diverso, corrispondono esattamente allo stesso tasto nero. Oppure in un'altra occasione se ne usciva dicendo: "anche se RE-RE# e RE#-MI li chiami entrambi semitoni in realtà sono due intervalli differenti". Infine da lui sentii usare per la prima volta (e per molto tempo l'unica) la parola comma: "l'intervallo RE-Mib (semitono diatonico) è pari a 4 comma, l'intervallo RE#-MI (semitono diatonico) è pari anch'esso a 4 comma. I corrispondenti semitoni cromatici (RE-RE# e MIb-MI) sono pari invece a 5 comma. Dunque tra RE# e MIb c'è un comma di differenza". Quest'ultima frase l'ho ricostruita a posteriori, ma sono sicuro che mi diceva una cosa del genere. Tra l'altro si tratta di un'affermazione imprecisa (perchè il comma ha una definizione diversa), anche se rende bene l'idea.

Effettivamente dietro queste oscure considerazioni c'è un pezzo di storia della musica. E' una questione troppo lunga da raccontare in un post e ha alimentato un vasto elenco di pubblicazioni di carattere sia tecnico che storico. Proprio la recente lettura di una di queste pubblicazioni mi ha riportato sull'argomento. Voglio provare a dare l'idea con poche osservazioni (un tentativo di sintesi, come mio solito).

Si può cominciare con una domanda: "come sono state scelte le note della tastiera?", o anche, "come si costruisce la scala musicale?". Ovviamente la cosa interessante di una scala musicale sono gli intervalli, non le note in sè. L'intervallo più intuitivo è sicuramente l'ottava. E' talmente "naturale" che spesso non lo si avverte nemmeno; cantare un'ottava sopra o sotto anzichè all'unisono è estremamente spontaneo, se si vogliono mettere insieme voci maschili con voci femminili o infantili. Per di più è anche molto semplice definirla in modo operativo: due suoni ad intervallo di ottava li ottengo facendo vibrare due corde dello stesso materiale ma con lunghezze che stanno tra loro nel rapporto 1/2.

Come si può andare avanti a determinare altri gradi della scala? Ad esempio usando corde con lunghezze che stanno tra loro come rapporti di numeri interi piccoli (considerazioni del genere risalgono alla scuola pitagorica). Due rapporti importanti sono 2/3 e 3/4, che corrispondono all'intervallo di quinta (DO-SOL) e di quarta (DO-FA). Poichè la frequenza del suono prodotto con corde di materiale identico è inversamente proporzionale alla lunghezza delle corde stesse possiamo dire che partendo dal DO (cioè da una frequenza qualsiasi) si ottiene il FA (la quarta della scala) moltiplicando la frequenza per 4/3, il SOL (la quinta della scala) per 3/2 e il DO superiore (l'ottava) per 2. Inoltre ci accorgiamo che il SOL divide l'ottava in una quinta (DO-SOL) e una quarta (SOL-DO), infatti 3/2*4/3=2. Analogamente il FA divide l'ottava in una quarta e una quinta.

Un modo per proseguire (non l'unico ma storicamente il primo e forse il più importante) è quello di sommare quinte su quinte riportando quello che si ottiene sulla singola ottava. Ad esempio se sommo una quinta al DO ottengo il SOL, se sommo una quinta al SOL ottengo il RE dell'ottava successiva che posso riportare sull'ottava iniziale semplicemente dividendo per due (abbassando di un'ottava la nota ottenuta): 3/2*3/2*1/2 = 9/8. Andando avanti con questo schema di calcolo si possono ottenere tutte le note della scala: DO (1) - RE (9/8) - MI (81/64) - FA (4/3) - SOL (3/2) - LA (27/16) - SI (243/128) - DO (2). Si ottengono anche i diesis e i bemolli (i tasti neri del pianoforte) che per semplicità non scrivo.

Questa procedura è piuttosto semplice e sembra risolvere il problema del calcolo della scala, inoltre fornisce implicitamente anche un metodo per accordare il pianoforte attraverso l'iterazione di quinte e di ottave. Ma non funziona! Per vederlo è sufficiente osservare che andando avanti con il cosiddetto "ciclo delle quinte" si ottengono tutte e dodici i gradi della scala del pianoforte (tasti bianchi e neri) fino a ritornare sul DO, sette ottave più in alto, che è proprio quello che ci ha permesso di calcolare tutte le frequenze. Ma è proprio vero che riottengo esattamente un DO alla fine del ciclo? Purtroppo no, come è facile vedere con il calcolo seguente: la frequenza di dodici quinte sovrapposte è pari a (3/2)^12, mentre il DO che raggiungo dovrebbe avere frequenza 2^7. Il loro rapporto non è 1 come sarebbe auspicabile, bensì 531441/524288, un po' più di 1. Tecnicamente questa discrepanza si chiama comma (pitagorico).

Mi fermo qui, ma questa piccola discrepanza (e altre simili, in parte contenute nelle considerazioni del mio insegnate di violino) è stata nel corso della storia fonte di parecchi problemi, sia teorici (come si può definire la scala?) sia pratici (come posso accordare uno strumento a tastiera senza avere "note stonate"?). Le soluzioni sono state tante, tutte chiamate genericamente "temperamenti". Su tutte ha infine prevalso la soluzione di compromesso più elegante dal punto di vista matematico e più efficacie del punto di vista pratico, costituita dal cosiddetto "temperamento equabile", con cui è stata prodotta la quasi totalità dell'immensa letteratura musicale occidentale fino ad oggi.

giovedì 2 febbraio 2012

Verifica o scoperta?

Ieri mio figlio torna a casa con un compito scolastico da svolgere: deve fare l'esperimento della candela che piano piano si spenge sotto una campana di vetro. Tutto è descritto in una pagina del suo libro di scuola, con figure chiare e ben fatte. La candela è posta in una bacinella d'acqua, mano mano che la combustione va avanti il livello dell'acqua dentro la campana di vetro sale, fino ad un certo punto, quando la candela si spenge. Ci divertiamo a fare l'esperimento, che riesce brillantemente. Tutti contenti.

Si tratta poi di interpretare quello che abbiamo visto. Mi accorgo che nella pagina precedente viene descritta con una certa precisione la composizione dell'aria: azoto, ossigeno, anidride carbonica, vapore acqueo, nelle proporzioni illustrate da un diagramma a torta. In fondo alla pagina successiva, quella che illustra l'esperimento, c'è scritto più o meno che la combustione della candela brucia l'ossigeno dell'aria e l'acqua, salendo nella campana, prende il suo posto.

Ma non era meglio metterla diversamente? Il diagramma a torta dà un'informazione troppo precisa, assolutamente al di là delle possibilità di indagine fornite dall'esperimento, e la fornisce prima dell'esperimento. Viene data prima anche l'informazione che l'ossigeno è l'unico elemento coinvolto nella combustione. Tutto l'esperimento diventa così una specie di verifica di quanto si è già spiegato. Praticamente il libro mi ha già detto tutto prima, e con un livello di dettaglio che non potendo uscir fuori dal semplice esperimento che sto facendo, chissà da dove viene fuori! In questo modo la fase (creativa) dell'interpretazione di quanto è successo diventa una storiella da imparare a memoria.

Secondo me la cosa funzionava meglio in questi termini: io non so come è fatta l'aria, so solo che esiste. Scopro però che l'aria è necessaria alla candela che brucia, un po' come per noi che la respiriamo. Basta infatti coprire la candela con un bicchiere per vedere la candela spengersi in breve tempo. Perchè succede? Evidentemente consuma aria. La candela sotto il bicchiere dopo un po' "soffoca". Se adesso metto tutto in una bacinella vedo meglio quello che succede, l'acqua sale fino ad un certo punto. Sembrerebbe che la candela abbia consumato solo una parte dell'aria, eppure si è spenta lo stesso. Cosa possiamo immaginare? Forse che l'aria è fatta di tanti elementi diversi, e la combustione ne ha usato solo uno. Come quando si passa a setaccio una sostanza che ad occhio appare omogenea, il setaccio ci mostra che invece è composta da sostanze con consistenze diverse, e seleziona quella che non passa, quella più densa. Bene, quella sostanza dell'aria che è servita alla candela per la combustione decidiamo di chiamarla Ossigeno. Inoltre guardando l'altezza a cui è arrivata l'acqua e confrontandola con il volume totale possiamo capire in che percentuale l'ossigeno è presente nell'aria. Il diagramma a torta possiamo disegnarlo noi!

L'esperienza descritta è comunque "guidata", peraltro la trattazione risulta essere sicuramente più imprecisa, meno dettagliata e meno fedele alla realtà di quella riportata sul libro. Ma secondo me ha il merito di sforzarsi di comunicare il "senso della scoperta", decisamente più stimolante dal punto di vista intellettuale, e decisamente più efficacie nel trasmettere la cultura scientifica che c'è sotto. Faccio notare che è anche più simile, magari solo nell'atteggiamento generale, a quello che è successo storicamente.

Ho provato con mio figlio a ribaltare la questione secondo il mio modo di vedere ma non mi è sembrato che la cosa abbia funzionato granchè, aveva già in parte imparato la spiegazione del libro e forse sono arrivato troppo tardi.