martedì 1 novembre 2011

Neutrini superluminali

Il 23 settembre di quest'anno viene annunciato un risultato sperimentale molto particolare nell'ambito del progetto denominato OPERA (Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus), una collaborazione tra il CERN di Ginevra e i Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Si tratta di una misura di velocità eseguita su un fascio di neutrini, prodotto al CERN da SPS (Super Proton Synchrotron) e focalizzato verso il rivelatore di OPERA, a circa 730 chilometri di distanza. La particolarità del risultato consiste nel fatto che il tempo di volo misurato è inferiore a quello che ci si aspetterebbe da un fascio di luce che percorra la medesima distanza nel vuoto. I dati dell'esperimento sono di per sè impressionanti, come tutti quelli che riguardano la fisica delle particelle elementari: l'anticipo misurato rispetto ai fotoni è di 60 nanosecondi, ben al di sopra dell'errore sperimentale di misura dichiarato dagli sperimentatori che è di circa un nanosecondo.

C'è un comprensibile scetticismo in merito a questo risultato. Al momento ci sono critiche sia sul piano sperimentale che su quello teorico. Le prime puntano soprattutto su possibili errori nella misura del tempo di volo, dovuto alla difficoltà di stabilire una perfetta sincronizzazione tra gli orologi del CERN e dei Laboratori del Gran Sasso (ci potrebbero essere effetti di relatività generale non presi correttamente in considerazione). Le critiche teoriche più importanti sembrano invece quelle portate da Cohen e Glashow, i quali sostengono che gran parte dei neutrini superluminali dovrebbero perdere energia in maniera consistente per un'intensa emissione di coppie elettrone-positrone. Questo non è stato misurato dall'esperimento di OPERA.

La notizia ha fatto scalpore per la sua portata rivoluzionaria ed è uscita rapidamente dal circuito degli addetti ai lavori per approdare più o meno su tutti i giornali. A me personalmente ha ispirato un paio di domande e di relative letture o riletture. In questo post mi limiterò a riportare solo la prima domanda, rimandando la seconda ad un'altra occasione.

Perchè questo risultato, ovvero il fatto che qualcosa (in questo caso i neutrini) superino la velocità della luce mette in crisi totale la relatività di Einstein? E' stato divertente tornare a leggere qualche vecchio testo di fisica, soprattutto perchè in questo caso non si tratta di imbarcarsi nei formalismi della teoria ma di fermarsi semplicemente alle questioni di principio da cui la teoria muove i suoi primi passi.

Ecco i principi da cui discende la teoria della relatività (ristretta):
1. Tutte le leggi della fisica devono essere le stesse in tutti i possibili sistemi di riferimento inerziale.
2. Il valore costante della velocità della luce nel vuoto è una legge fisica.
Il primo punto viene chiamato principio di relatività e ribadisce quanto noto già ai tempi di Galileo. Se si passa da un sistema di riferimento inerziale ad un qualunque altro la forma delle leggi fisiche non cambia. Dal momento che c'è di mezzo una trasformazione di coordinate significa sostenere che tutte le leggi della fisica per essere tali devono poter essere scritte in una forma invariante per trasformazioni di coordinate che fanno passare da un sistema di riferimento inerziale ad un altro. Il vero problema posto dalla relatività di Einstein è: "quali sono queste trasformazioni di coordinate?"
Il secondo punto è un'assunzione coraggiosa di Einstein, supportata da risultati sperimentali, secondo la quale la velocità della luce nel vuoto ha sempre lo stesso valore qualunque sia la velocità relativa della sorgente e dell'osservatore e qualunque sia la regione spaziale e la direzione in cui viene eseguita la misura.

La cosa veramente fondamentale è l'aver riconosciuto che tra il principio di relatività e la legge di propagazione della luce, nonostante le apparenze, non esiste la minima incompatibilità e che attenendosi sistematicamente ad essi si può pervenire ad una teoria logicamente ineccepibile.

Quello che risulta subito chiaro però è che le usuali trasformazioni di coordinate per sistemi di riferimento inerziali utilizzate fino a quel momento dalla meccanica Galileiana e Newtoniana non sono più accettabili e ne vanno formulate di nuove. La domanda che si fa Einstein è la seguente: "in che modo possiamo trovare il tempo e il luogo di un evento rispetto ad un riferimento K' quando ne conosciamo il tempo e il luogo rispetto al riferimento K? Si può pensare di dare una risposta a questa domanda tale che, tenuto conto di questa risposta, la legge di propagazione della luce nel vuoto non contraddica il principio di relatività?" La risposta sono le famose trasformazioni di Lorentz. Queste ci dicono però in modo evidente due cose: 1. l'apparente contraddizione tra velocità della luce assoluta e principio di relatività viene sostituita dalla reale contraddizione tra quest'ultimo e il concetto di tempo assoluto; 2. per come compare in queste trasformazioni di coordinate, il valore della velocità della luce (che assume il significato di costante universale) è un limite superiore, al di sopra del quale le trasformazioni non hanno più senso.

Come se non bastasse gli sviluppi appena successivi della teoria mettono in evidenza una relazione tra massa e velocità, sconosciuta alla meccanica classica, che porta la massa all'infinito in corrispondenza della velocità della luce nel vuoto. Questo non solo rende insensate, all'interno della teoria, le velocità superiori a quelle della luce ma anche solo le velocità pari ad essa per corpi massivi (infatti il fotone, quanto di luce, ha massa nulla).

Alcuni testi formulano in maniera più generale il secondo principio da cui parte la relatività ristretta postulando l'esistenza di una velocità limite di propagazione delle interazioni, mostrando poi che questa velocità è anche la velocità di propagazione della luce nel vuoto, e sottolineandolo come l'elemento cruciale di distinzione con la meccanica classica, la quale presuppone di fatto l'ipotesi che le interazioni si propaghino istantaneamente. I risultati della meccanica classica si ottengono da quelli della meccanica relativistica nel limite di interazioni istantanee.

Dopo questa rinfrescata di teoria il risultato sperimentale che rivela l'esistenza di corpi massivi superluminali appare veramente inconciliabile con la teoria della relatività, e non con un suo qualche aspetto più o meno importante, bensì con i suoi fondamenti.