lunedì 28 maggio 2018

Una bella analogia

Le analogie sono spesso divertenti e istruttive. Servono per capire meglio le cose. Oddio, non sempre. Qualche volta sono un po' troppo sceme. Ad esempio si usa dire che l'attività intellettuale e la capacità e lo sforzo di imparare cose nuove mantiene allenato il nostro cervello, così come avviene per un muscolo del corpo quando viene utilizzato, e lo preserva da patologie dell'invecchiamento, la più grave delle quali, l'alzheimer, è ormai percepita come una vera piaga sociale.

Questa analogia è appunto un po' scema, non serve per capire meglio il cervello, non ha il potere unificante tipico delle belle analogie, collega in modo poco significativo muscoli e cervello.

Invece il cervello può essere associato ad una rete dove le connessioni tra le varie parti veicolano informazioni. Imparare cose nuove equivale a costruire nuove connessioni per mettere in comunicazione idee fino a quel momento isolate, per arrivare da più punti ad una qualche informazione memorizzata e poterla recuperare ed utilizzare.

Le patologie degenerative del cervello possono essere associate ad una qualche forma di degrado di queste connessioni, ad un qualche agente o processo che le rende inutilizzabili e alla conseguente perdita di capacità di recuperare informazioni memorizzate da qualche parte. Di fronte a questi processi degenerativi un cervello tanto utilizzato, che ha imparato tanto e che ha quindi costruito un gran numero di connessioni si mostrerà molto più resiliente, offrirà tanti percorsi alternativi, tante ridondanze possibili e dunque avrà più chance di sopravvivere come sistema nel suo complesso.

Questa si che è un'analogia!

(La morale sarebbe la seguente: impara il più possibile che nel tempo costruirai un sistema sempre più resiliente alle degenerazioni dell'invecchiamento).

lunedì 21 maggio 2018

La storia delle stelle oscure

C'era una volta il signor Isaac Newton, un filosofo della natura che nel 1687 decise di pubblicare attraverso la Royal Society di Londra quello che oggi è noto come uno dei più importanti scritti nella storia della scienza, i Principia (più esattamente "Philosophiae Naturalis Principia Mathematica"), dopo aver passato un periodo di soggiorno coatto nella tenuta di campagna di famiglia (era di buona famiglia) causato dall'esigenza di tenersi lontano dai focolai di peste che a quell'epoca imperversava a Londra. La tenuta era evidentemente piena di alberi di mele, dunque un luogo di grande ispirazione.

In questo libro Newton scrisse, tra le altre cose, due equazioni. La prima stabilisce che un corpo sottoposto ad una forza riceve un'accelerazione direttamente proporzionale ad essa ed inversamente proporzionale ad un parametro caratteristico del corpo detto massa. La seconda stabilisce che due corpi qualunque, per il solo fatto di possedere ognuno la sua massa, quella che compare nella prima equazione, si attraggono con una forza che è direttamente proporzionale al prodotto delle masse dei due corpi e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Queste due equazioni sono note rispettivamente come legge fondamentale della dinamica e legge di gravitazione universale.

In uno scritto successivo (1704) intitolato "Ottica", Newton avanza l'ipotesi della natura corpuscolare della luce, secondo la quale la luce sarebbe costituita da piccoli corpuscoli dotati di massa e quindi soggetti ad entrambe le equazioni citate sopra. Tra l'altro all'epoca di questa ipotesi un certo signor Ole Rømer, astronomo danese, era già riuscito ad ottenere una prima misura della velocità della luce, cioè la velocità a cui questi ipotetici corpuscoli si muovono (1676).

In breve tempo le due equazioni formulate da Newton diventano strumenti molto potenti di predizione di fenomeni dinamici, sia di natura terrestre che celeste. L'ipotesi della natura corpuscolare e massiva della luce invece rimane sostanzialmente un'ipotesi, senza nessun riscontro sperimentale.

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C'era una volta il signor John Michell, un reverendo e filosofo della natura che nel 1783, combinando le due equazioni di Newton, avanzò una strana ipotesi. Se un qualunque oggetto si trova sulla superficie di un pianeta subirà una forza di attrazione verso il centro di esso da cui deriverà un certo valore della sua accelerazione, se lasciato libero di cadere sotto l'azione della forza. Questa accelerazione non dipende dalla massa del corpo in questione ma solo dalla massa del pianeta. Anche il corpo attirerà a sua volta il pianeta ma ipotizzando il corpo di massa molto piccola questo contributo può essere trascurato.

Se si lancia l'oggetto in verticale verso l'alto con una certa velocità iniziale, l'accelerazione di verso opposto, cioè verso il centro del pianeta, tenderà ad azzerarla, quindi ad invertire il moto e a riportare l'oggetto al suolo. E' chiaro però che esisterà un valore della velocità iniziale talmente elevato che l'accelerazione applicata, via via più debole man mano che il corpo si allontana dal pianeta, non sarà più in grado di riportare il corpo al suolo. Questo valore può essere chiamato velocità di fuga.

E' anche chiaro che il valore della velocità di fuga aumenterà con l'aumentare dell'accelerazione esercitata dal pianeta sul corpo, cioè sarà tanto maggiore quanto maggiore è la massa del pianeta e quanto minore è il suo raggio. Quindi più la massa del pianeta si concentra su un raggio piccolo (alta densità) più sarà difficile per il corpo abbandonare definitivamente il pianeta.

Se a questo punto si immagina una stella al posto del pianeta e i corpuscoli luminosi al posto del corpo si arriva all'ipotesi di Michell: è possibile immaginare l'esistenza di stelle così massicce (dense) che la velocità di fuga dalla loro superficie sia superiore alla velocità della luce. E se neanche la luce può sfuggire da queste stelle allora queste devono essere stelle oscure.

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C'era una volta il signor Thomas Young, uno scienziato britannico, che a seguito di una serie di famosi esperimenti di ottica, come quello della doppia fenditura (1801), stabilì la natura ondulatoria della luce. Ovvero mise chiaramente in evidenza che la luce si propaga come un'onda. Successivamente la luce venne descritta più precisamente come un'onda di natura elettromagnetica. Era chiaro a questo punto che la luce non poteva essere costituita da corpuscoli luminosi dotati di massa e non poteva quindi sottostare a quelle forze che compaiono nelle due equazioni di Newton.

Da quel momento in poi l'affascinante ipotesi del signor Michell venne accantonata. Fine della storia delle stelle oscure (ma si sa che ci sarà una spettacolare rivincita).