venerdì 29 gennaio 2010

L'ascolto della musica

Quali aspetti hanno importanza nell'ascolto di un brano musicale?

Giorni fa mentre lavavo i piatti ascoltavo alcuni brani dell'oratorio "Il Messiah" di G.F.Haendel. Arriva il famoso "Halleluja", riconoscibilissimo sin dalla prima frase cantata a pieno volume da tutte le voci del coro. Non so perchè mi colpisce un particolare esecutivo apparentemente secondario: mi risulta difficile descriverlo, non ho neppure il linguaggio appropriato per farlo, ma in sostanza si tratta di due frammenti melodici cantati dal coro, uno di seguito all'altro, il primo comincia forte (continua il forte precedente) e si abbassa rapidamente di volume, il secondo torna ad essere improvvisamente forte. La dinamica li mette in relazione tra loro in modo impressionante. Il diminuendo del primo prepara il sopraggiungere del secondo, che prende così un grande slancio. L'effetto è notevole.

La cosa che più mi ha colpito è che appare evidente come la melodia, che è pure l'elemento più appariscente, che rimane più facilmente in memoria e che per questo sembra di per sè sufficiente all'ascolto, sia ben poca cosa rispetto all'efficacia espressiva ottenuta principalmente dalla dinamica con cui viene eseguita. L'ascolto (spesso inconsapevole, ma meglio se consapevole) di questi particolari espressivi è di fondamentale importanza nell'apprezzare un brano musicale.

Tra le cose migliori che mi è capitato di comprare ultimamente in edicola, c'è una raccolta di DVD che mostrano le prove di alcuni concerti tenuti da Riccardo Muti con orchestre giovanili. E' interessantissimo osservare il lavoro di concertazione che il direttore fa insieme all'orchestra, e anche in questo caso la cosa che più colpisce è il grande lavoro su aspetti dell'esecuzione quali dinamiche, volumi, accenti, ritardi, tempi, "intenzioni" di esecuzione, che trasformano letteralmente il "senso" di un brano musicale. In tali registrazioni l'importanza di questo lavoro è incredibilmente chiara, anche ad un profano.

Ma a proposito di "senso" del brano musicale. Una cosa curiosa di queste prove orchestrali è che spesso Riccardo Muti per esprimere le proprie intenzioni sull'esecuzione di un passaggio non prova neanche più a spiegarlo in italiano, lo canta direttamente, non potendo fare di meglio. Tutto quello di cui si parla in queste prove d'orchestra sono crescendi, diminuendi, forte, piano, pianissimo, ecc. Tutto lì. Al massimo viene usata qualche espressione vaga tipo: suonate questo passaggio in modo "più nobile", "più contenuto", o cose di questo genere.

La musica è un'arte autoconsistente, non ha senso, o meglio, trova senso solo in se stessa, in come organizza gli eventi nel tempo di ascolto. Non racconta nulla, al limite descrive o accompagna qualcosa, ma solo quando si unisce ad una qualche altra forma di comunicazione. Altrimenti non è nulla. Il massimo della potenza espressiva.

sabato 23 gennaio 2010

Leggerezza

Nella comunicazione della cultura (una conoscenza qualsiasi) la leggerezza è un aspetto estremamente importante. Non intendo comunicare in maniera facile, questo spesso non è neppure possibile a meno di banalizzare gli argomenti. Intendo comunicare evitando di essere barbosi, sacrali, altisonanti, pedanti, eccessivi. Nelle parole e anche più in generale nei modi e nei metodi.

Questo vale in tutti i campi, nelle scienze quanto nelle arti. Capisco che spesso si è certi di parlare di cose molto importanti (anche se l'importanza di un argomento è una percezione e dunque è sempre relativa al singolo individuo e alla sua sensibilità) ma non si può, nel nome di questa presunta importanza, rompere i coglioni al prossimo. In nessun caso si è giustificati.

mercoledì 20 gennaio 2010

Sullo scudo fiscale

In una trasmissione televisiva un politico dell'opposizione critica il provvedimento chiamato scudo fiscale (*), uno dei punti di forza dell'ultima finanziaria, dicendo che in questo modo un semplice impiegato (lavoratore dipendente) paga al fisco il 38% della sua retribuzione mentre un ricco se la cava pagando solo il 5%. L'attuale governo in carica è di destra, dunque il politico che sta muovendo la critica mette l'accento sul carattere inegualitario del provvedimento.

Il politico di maggioranza risponde alla critica dicendo che se non si fosse fatto lo scudo fiscale quel ricco non avrebbe pagato al fisco neanche quel 5%. Questa osservazione che a prima vista può sembrare persino ragionevole è secondo me del tutto allucinante, non potrei considerarla altrimenti, in quanto mette molto tranquillamente in secondo piano il fatto che in tal modo quel cittadino ricco passa da una situazione di fuori-legge ad una situazione di cittadino in regola. Ed è qui che si definisce una questione di profonda ingiustizia sociale. Due cittadini puliti di fronte al fisco, ma quello ricco ha evaso per molto tempo e alla fine salda un conto con pochi spiccioli.

Questo scudo fiscale mostra un doppio aspetto: quello di un provvedimento tipicamente di destra, che non si cura molto del problema di mettere tutti i cittadini su un piano di egualianza, o almeno decide disinvoltamente di sacrificarlo o di subordinarlo alla soluzione di un problema di conti dello Stato, e quello di un provvedimento con uno specifico carattere di immoralità la cui gravità degrada pericolosamente la convivenza civile.

Nonostante questa sua evidente gravità nessuno dei due politici dialoganti coglie il secondo aspetto.

(*) Si tratta di una regolarizzazione di quelle attività finanziarie che vengono svolte all’estero che, così facendo, violano le vigenti norme tributarie e di controllo valutario. Il relativo emendamento presentato alla camera, prevede la possibilità di sanare tali situazioni attraverso il pagamento di un’imposta straordinaria pari al 5% del patrimonio posseduto all’estero. La definizione tecnica dello Scudo fiscale (che ho trovato in rete) è "un'imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali, detenute fuori dal territorio dello Stato a condizione che le stesse vengano rimpatriate in Italia da paesi extra Ue, nonché regolarizzate, ovvero rimpatriate, purché in essere in paese dell'Unione europea"

domenica 10 gennaio 2010

L'introduzione dei numeri complessi

Poichè appartiene ad una di quelle cose non insegnate nella scuola (per vari motivi, in parte giustificati in parte no) le circostanze storiche più significative che hanno portato all'introduzione dei numeri complessi è una cosa che ho ignorato per molto tempo. Dopo averla appresa l'ho anche dimenticata. Una bella lettura recente mi ha rinfrescato la memoria.

L'introduzione dei numeri irrazionali (o la loro scoperta), e quindi l'estensione dei razionali ai reali, è un evento della storia molto più noto e probabilmente anche molto più facile da comprendere essendo legato a misure geometriche semplici. Se ho un quadrato di lato unitario la sua diagonale è pari alla radice quadrata di due, che è appunto un numero irrazionale. Per capirci il lato del quadrato e la sua diagonale risultano essere due grandezze incommensurabili, non esiste un sottomultiplo comune, cioè un segmento più piccolo che li misuri esattamente entrambi. Questa scoperta risale all'antica civiltà Greca e le grandezze irrazionali sono indispensabili per poter "misurare" qualsiasi lunghezza, cioè per mettere in corrispondenza biunivoca i punti della retta con i numeri reali.

Per i numeri complessi l'episodio cruciale che porterà in seguito al loro studio sistematico è forse meno spettacolare (e sicuramente meno noto), nondimeno importante per la storia della matematica: si tratta dello studio e risoluzione delle equazioni di terzo grado ad opera di alcuni matematici rinascimentali (Dal Ferro, Tartaglia, Cardano). L'episodio mi piace anche perchè fa capire che il Rinascimento italiano non è solo quello delle arti figurative o dell'architettura.

La prima volta che ho visto i numeri complessi è stato studiando le equazioni algebriche di secondo grado. La loro formula risolutiva è nota dai tempi dei Babilonesi. Il problema è il seguente: perchè in un caso del genere dovrei introdurre i numeri complessi? Se il radicando (discriminante) della formula risolutiva è negativo credo sia naturale non considerare sensata la formula stessa, dunque semplicemente non avere soluzioni dell'equazione, non due soluzioni complesse coniugate. L'interpretazione geometrica delle soluzioni in termini di intersezioni di una parabola con l'asse delle x (fornita però molto tempo dopo) corrobora queste considerazioni. Dunque l'equazione di secondo grado non può aver stimolato l'introduzione e lo studio dei numeri complessi, in quanto in questo caso non sono realmente necessari e non risolvono nessun problema.

Ben diverso lo scenario che si è presentato ai primi risolutori delle equazioni di terzo grado. In questo caso la soluzione viene espressa tramite la somma di due radici cubiche, entrambe aventi come radicando una somma di due termini, uno dei quali è una radice quadrata il cui radicando può ovviamente essere sia positivo che negativo. Questo dà luogo, come d'altra parte succede nella formula delle soluzioni delle equazioni di secondo grado, alla possibilità di introdurre l'unità immaginaria, e quindi i numeri complessi, per ottenere un'espressione sensata in tutti i casi possibili. Ma anche in questo caso si tratterebbe solo di una possibilità e non di una reale esigenza se non fosse per un particolare significativo: se il discriminante presente due volte nell'espressione delle soluzioni è negativo (quindi non interpretabile nei reali) si hanno tre soluzioni reali e distinte dell'equazione di terzo grado, facilmente verificabile in alcuni semplici esempi ben noti anche all'epoca.

Quindi nello studio delle equazioni di terzo grado compaiono casi in cui ci sono radici reali ma la formula generale risolutiva porta a radicandi negativi, ovvero a numeri complessi. Questo è possibile in quanto alla fine delle elaborazioni sulla formula i termini immaginari scompaiono per dare soluzioni puramente reali. Ma a questo punto l'introduzione e la trattazione dei numeri complessi diventa realmente necessaria poichè è cruciale per l'elaborazione di tutti i passaggi intermedi per arrivare alla soluzione. Dal punto di vista storico è anche interessante notare che il caso con radicando negativo veniva chiamato caso irriducibile, e inizialmente era un caso ritenuto intrattabile. Anche accettando le radici quadrate con radicandi negativi nella formula risolutiva questi rientravano nella trattazione non come numeri veri e propri ma come artifici, venivano cioè ritenuti dei meri trucchi utilizzati per arrivare alla soluzione, dove magicamente sparivano dai risultati.

Gli autori posteriori (primo fra tutti Rafael Bombelli) riprenderanno questi risultati giungendo alla introduzione dei numeri complessi, entità indispensabili per disporre di un procedimento generale per la risoluzione delle equazioni di terzo grado a coefficienti reali. Come si sa i numeri complessi si sono poi rivelati fondamentali per moltissimi altri sviluppi matematici (ad opera di grandi personalità quali Eulero e Gauss), in particolare per il teorema fondamentale dell'algebra.

martedì 5 gennaio 2010

Decrescita

Ho conosciuto Maurizio Pallante (come autore) molti anni fa leggendo il suo libro Le tecnologie di armonia (1994), in cui criticava i paradigmi tecnologici ed economici della nostra società, e invitava a ripensare il concetto di progresso tecnologico e di relazione produzione/consumo (nel senso di invertire il processo storico che ha portato le nostre società attuali "dalla produzione per il consumo al consumo per la produzione"). Lo scritto contrapponeva al "conoscere per dominare" (le "tecnologie di potenza") il "conoscere per armonizzare" (le "tecnologie di armonia"). Da ciò "può e deve trarre impulso uno slancio progettuale che abbia come obiettivo non più la crescita della produttività/produzione sulla base di una logica di potenza, bensì la riduzione dell'impatto ambientale dei cicli produttivi e, insieme, un ritrovato equilibrio tra il tempo di lavoro e il tempo disponibile per altre attività".

A distanza di una quindicina d'anni ritrovo molti di questi stessi concetti sintetizzati in un suo efficacie documento multimediale intitolato Discorso sulla decrescita - manifesto per una felice sobrietà dal quale cerco di estrarre in forma ulteriormente sintetizzata (dieci punti) i concetti essenziali.

1. L'indicatore che si utilizza per misurare la crescita, il prodotto interno lordo, si limita a calcolare il valore monetario delle merci, cioè dei prodotti e servizi scambiati con denaro.
2. Il concetto di bene e il concetto di merce non sono equivalenti. Non tutti i beni sono merci e non tutte le merci sono beni. I prodotti dell'orto familiare per autoconsumo sono beni. Ma non passano attraverso una intermediazione mercantile (non vengono comprate o vendute) per cui non sono merci. La maggior quantità di benzina consumata negli intasamenti automobilistici è una merce, e contribuisce all'aumento del prodotto interno lordo, ma non è un bene.
3. Il prodotto interno lordo misura il valore monetario delle merci e non prende in considerazione i beni.
4. La decrescita indica una diminuzione della produzione di merci. La decrescita può essere indotta da una crescita di beni autoprodotti in sostituzione di merci equivalenti.
5. La decrescita può diventare il fulcro di un nuovo paradigma culturale e un obiettivo politico se si realizza come una diminuzione della produzione di merci che non sono beni e un incremento della produzione di beni che non sono merci.
6. L'annullamento della distinzione tra il concetto di bene e il concetto di merce è il fondamento su cui si basa il paradigma culturale della crescita. Il passaggio preliminare da compiere per costruire il paradigma culturale della decrescita è ripristinare questa distinzione.
7. Nel paradigma culturale della decrescita l'indicatore della ricchezza non è il reddito monetario, cioè la quantità delle merci che si possono acquistare, ma la disponibilità dei beni necessari a soddisfare i bisogni esistenziali.
8. Un sistema economico fondato sulla crescita del prodotto interno lordo ha bisogno di sostituire progressivamente i beni (che non lo fanno crescere) con le merci (che lo fanno crescere), inducendo a credere che queste sostituzioni costituiscono miglioramenti della qualità della vita (progresso).
9. La crescita della produzione di merci consuma quantità crescenti di materie prime e di energia. La crescita del consumo di merci produce quantità crescenti di rifiuti. In un sistema economico fondato sulla crescita, la produzione è un'attività finalizzata a trasformare le risorse in rifiuti attraverso un passaggio intermedio, sempre più breve, allo stato di merci.
10. In un sistema economico e produttivo finalizzato alla decrescita, le innovazioni tecnologiche sono finalizzate alla riduzione del consumo di risorse e di energia, della produzione di rifiuti e dell'impatto ambientale per unità di bene prodotto. La decrescita non richiede meno tecnologia della crescita, ma uno sviluppo tecnologico diversamente orientato.

In conclusione per Maurizio Pallante:
La decrescita è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi gli uomini dal ruolo di strumenti della crescita economica e ricollochi l'economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio.