giovedì 26 marzo 2009

Musica scritta, musica improvvisata

Un modo per fare musica è quella di scriverla, cioè inventarsi un sistema più o meno dettagliato di notazione musicale su carta ed esercitare l'invenzione musicale a tavolino, magari con l'ausilio di uno strumento a fianco, trasferendo sul foglio tutto quello che si può trasferire. Questo determina in modo spontaneo una separazione tra chi scrive la musica e chi la esegue. Il primo è detto compositore, il secondo interprete. L'ambito creativo di chi esegue la musica scritta, cioè dell'interprete (ed anche il motivo per cui viene chiamato così), è la sua personale lettura della partitura, dove i gradi di libertà sono determinati dalle intrinseche (o anche volute) indeterminatezze della scrittura musicale.
La tradizione occidentale ha portato nel corso di alcuni secoli questo modo di far musica al suo massimo grado. La separazione tra compositore e interprete è ad oggi praticamente completa, in particolare con la specializzazione professionale dell'attività di interprete, spinta probabilmente sia dall'immensa letteratura musicale a cui possiamo attingere sia dalla pratica dell'incisione discografica.

Esiste però un altro modo di fare musica, che è quello di suonarla direttamente, senza passare per una complessa fase di elaborazione e progettazione preliminare. Più esattamente in questo tipo di musica si tende ad unificare la parte compositiva con quella esecutiva in un unico momento, che è quello appunto in cui si suona. Ovviamente i gradi di libertà dell'esecutore in questo caso sono estremamente superiori a quelli della musica scritta, e l'esecutore diventa a pieno titolo anche compositore. La prassi cambia radicalmente e si parla in genere di musica improvvisata. E' chiaro che è molto difficile se non impossibile improvvisare partendo dal nulla, specialmente nella musica d'insieme. E infatti in questo tipo di musica si parte comunque da uno spunto iniziale, in genere sia tematico che armonico, ritmico e strutturale. Il rapporto tra obbligato e improvvisato può variare moltissimo da un brano all'altro e in genere non è chiaramente definito neppure all'interno dello stesso brano. In pratica tutti i parametri musicali del pezzo che si sta suonando possono subire una rielaborazione contingente, che dipende cioè da quello che avviene durante l'esecuzione stessa. L'esecuzione è unica, non ripetibile per definizione, eventualmente è registrabile. L'improvvisazione è dunque proprio un modo di fare musica.
Nella storia musicale europea si è fatto uso dell'improvvisazione, ma col tempo è stata relegata a pratiche musicali considerate minori, probabilmente perchè la musica scritta ha il vantaggio di permettere una più complessa costruzione architettonica e anche di poter essere fedelmente tramandata ai posteri (non essendo disponibili tecniche di registrazione).

L'uso dell'improvvisazione è rientrata nelle pratiche musicali dell'occidente con il jazz, a partire dall'inizio del novecento. Il jazz ha origini piuttosto complesse ma nettamente distinte dalla tradizione classica, con la quale è poi ovviamente entrata subito in contatto. Si tratta cioè di una cultura musicale differente, con le sue specificità, che sin dall'inizio non ha fatto distinzione tra esecuzione e composizione e che non ha mai utilizzato tecniche di scrittura musicale particolarmente raffinate, quali si incontrano nella musica classica. Il suo sviluppo, la sua storia e la sua memoria culturale sono intimamente collegate al concomitante sviluppo delle tecniche di registrazione e conservazione dei documenti musicali.

Nel corso del suo sviluppo il jazz si è progressivamente avvicinato alla musica scritta e alla sua tradizione e ormai sono abbastanza frequenti i musicisti, inizialmente di estrazione jazzistica, che si cimentano con la musica classica eseguendola, rielaborandola in improvvisazioni o più in generale utilizzandola come background culturale e come fonte di ispirazione del proprio lavoro. Lo stesso non mi pare si possa dire dei musicisti di estrazione classica, che in questo hanno dimostrato e dimostrano una maggiore rigidità e un'eccessiva "purezza" culturale.

martedì 24 marzo 2009

Divulgazione scientifica

Il progresso nelle conoscenze scientifiche avviene ad opera del lavoro di una comunità altamente specializzata. Tale progresso è però importante per tutta la società in quanto ne determina molte delle sue caratteristiche fondamentali. I cittadini di questa società, che svolgono le attività più disparate, devono poter accedere se lo vogliono a questo corpus di conoscenze senza trovarsi davanti ad un muro insormontabile di formalismi e tecnicismi. Intendiamoci, formalismi e tecnicismi sono strumenti essenziali per chiunque voglia in qualche misura partecipare attivamente alla costruzione di queste conoscenze ma non sono mai il nocciolo della questione per chi ha come obiettivo un livello di conoscenza che gli permetta al contempo di apprezzare il fascino di certi argomenti e di costruirsi una sua consapevolezza del mondo in cui vive.

La questione non è poi molto diversa da altri settori della conoscenza. Si prenda ad esempio la politica. Spesso anche questa può essere affetta da questioni tecniche difficili e noiose ancorchè assolutamente necessarie per gli addetti ai lavori (si pensi alla stesura di una legge), inoltre gli argomenti e le questioni che ruotano attorno alle decisioni politiche sono spesso molto complessi (diritto, finanza, economia, giurisprudenza, ecc.). Ma è vitale che il cittadino che lo vuole abbia la possibilità di orientarsi nelle questioni politiche del suo paese e del mondo in generale e per questo devono esistere fonti di informazione adeguate, nel linguaggio e nei contenuti, a cui accedere. E' il giornalismo politico a svolgere principalmente questo ruolo, utilizzando mezzi diversi e comunicando a vari livelli: quotidiani, settimanali, opere saggistiche, notiziari televisivi, trasmissioni televisive di approfondimento, inchieste, ecc.
Non si fa fatica a capire che questo elemento di mediazione tra il cittadino e la classe dirigente politica è cruciale per la maturazione di una società democratica. E' anche per questo che la questione italiana del monopolio dell'informazione è così importante.

La divulgazione scientifica, seppur con molte comprensibili differenze, pone la stessa questione di fondo: nella società democratica il cittadino consapevole e attivo deve poter avere informazione/formazione scientifica, a tutti i livelli possibili. A mio avviso è un aspetto cruciale almeno tanto quanto quello dell'informazione/formazione politica. La presenza di un'attività culturale specifica quale quella della divulgazione scientifica, che media tra la cittadinanza colta e volenterosa e gli scienziati è uno degli aspetti fondanti di una democrazia avanzata.
Devo dire che in questi ultimi anni l'offerta divulgativa mi sembra cresciuta, almeno nel settore dell'editoria, anche se la mia è solo un'impressione personale. Altrettanto personale (ma non proprio peregrina) è anche la convinzione che la scienza sia abbondantemente ignorata da tutte le fasce della popolazione italiana, anche le più colte. Credo sia un brutto segno, almeno quanto quello della generale disaffezione per i temi politici.

Per la verità credo che in Italia si sia manifestato in più occasioni anche un altro grave problema: quello del rapporto tra la classe politica e gli scienziati, un rapporto di fatto inesistente. Il politico per formulare leggi deve necessariamente avvalersi di esperti di varia natura nei campi in cui interviene. Attualmente nelle nostre società tecnologicamente avanzate molto spesso l'attività del legislatore finisce in campi dove la consulenza scientifica e tecnologica diventa essenziale. Si pensi ad esempio al nucleare o in generale al problema energetico, alle biotecnologie e ai temi ecologici. Queste occasioni per quello che vedo rimangono in gran parte disattese, in alcune addirittura accuratamente evitate.

Ho la sensazione che i due problemi suddetti, quello della mancanza di cultura scientifica che caratterizza in generale la nostra società, e quello dello scarso rapporto tra classe politica e scienziati, siano strettamente connessi.

mercoledì 18 marzo 2009

Le domande della Scienza

Nello studio della fisica durante gli anni dell'università mi è capitato abbastanza spesso di riuscire a capire bene un argomento solo una volta preso per il verso giusto, che in genere significava farsi le giuste domande su quell'argomento, nel modo giusto. Modo giusto in questo caso significa il modo più adatto per cogliere il nocciolo di un problema ed ottenere un decisivo avanzamento delle proprie conoscenze, e ovviamente nel far questo gioca un ruolo fondamentale l'intuito, l'immaginazione e l'atteggiamento creativo in genere.

Credo che questo si possa generalizzare. Probabilmente le conoscenze dell'uomo avanzano soprattutto in virtù della capacità di farsi le giuste domande sul mondo. In tal senso la nascita della scienza moderna ha segnato un passaggio fondamentale proprio in questa capacità, come sottolinea il premio Nobel François Jacob: "L'inizio della scienza moderna può essere datato a quando domande generali quali 'come fu creato l'universo?', 'qual'è l'essenza della vita?' furono sostituite da domande più modeste tipo 'come cade una pietra?', 'come scorre l'acqua in un tubo?'. Se da una parte formulare domande generali portava a risposte molto limitate, formulare domande limitate si dimostrò efficacie per ottenere domande sempre più generali."

venerdì 13 marzo 2009

Astronomia - Prima parte

Sono passati 400 anni dalla nascita dell'astronomia moderna. Vorrei "festeggiare" scrivendo qualcosa su questa affascinante disciplina. Lo faccio in un post diviso in più parti, chè altrimenti sarebbe troppo noioso.

Introduzione

L'astronomia è una scienza basata sull'osservazione. Si può cominciare ad osservare il cielo ad occhio nudo, se la serata lo permette (e se l'inquinamento luminoso del posto di osservazione non è eccessivo), e si può arrivare ad utilizzare le tecniche più sofisticate su tutto lo spettro elettromagnetico. Ma sempre di osservazione si tratta, poichè l'oggetto di questa osservazione non permette tipicamente nessuna forma di intervento attivo.
Il fascino dell'astronomia risiede in buona parte proprio in questa sua caratteristica. E' estremamente istruttivo capire come l'osservazione metodica, paziente e ragionata di fenomeni celesti riesca a restituirci un'immagine del mondo così profonda, complessa e coerente. L'osservazione del cielo è stata nella storia dell'uomo un formidabile banco di prova della sua capacità di indagare il mondo che lo circonda. Riuscire a farsi un'idea della struttura dell'universo abbastanza precisa a partire da un punto di osservazione in fondo così parziale e limitante è stata senz'altro (ed è tuttora) una grande impresa intellettuale.
A ben vedere molti grandi successi dell'astronomia del passato sono il risultato dell'accoppiamento della capacità di osservare e della capacità di immaginare. L'immaginazione permette di fare ipotesi e quindi di guidare ulteriori osservazioni. Permette di intuire meglio cose che si intravedono appena e infine di azzardare la formulazione di un quadro coerente di tutto ciò che si vede.
Attenzione: per "osservazione" non intendo solo quella che può essere fatta indipendentemente da ciascun uomo, ma quella che l'Uomo ha fatto durante tutta la sua storia. E lo stesso discorso vale per il termine "immaginazione". L'astronomia, come tutta la Scienza, è un'attività culturale, dunque ha una Storia, e questo connotato è fondamentale per comprenderla.

Gli aspetti che voglio trattare riguardano esclusivamente la geografia astronomica. In massima parte sono quelli che hanno fornito gli elementi per costruire i primi sistemi del mondo, la visione tolemaica e in seguito quella copernicana. E' solo un piccolo stralcio di questa scienza affascinante, il più semplice da affrontare, da cui si intuisce la potenza dell'osservazione razionale del mondo, che è quello che mi interessa mettere in evidenza.

(leggi la seconda parte ..... ).