domenica 29 ottobre 2023

Quello che mi colpisce della fantascienza

La fantascienza non è un genere che mi abbia mai affascinato moltissimo, e l'ho sempre seguita, sia nei romanzi che nel cinema, in modo piuttosto saltuario. Insomma non è che se un film o un romanzo vengono classificati come genere di fantascienza mi ci avvicino automaticamente. Anzi, a volte ho atteggiamenti sospettosi e poco convinti. Probabilmente perché penso che quando si racconta la fantascienza occorre sempre restare sul filo delle cose che lo spettatore deve percepire come plausibili anche se totalmente fuori dalle usuali dimensioni terrestri. E bisogna essere bravi per stare su questo filo. 

In genere quello che mi colpisce di più della fantascienza sono certe sue "dimensioni extraterrestri" che spesso emergono da elementi secondari della narrazione. Alcuni esempi.

Ricordo bene l'impressione che mi fece la scena del film 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick in cui il protagonista, estromesso dall'astronave dal computer di bordo, ci rientra con una manovra azzardata. La scena è impressionante. Il protagonista, all'interno della capsula rimasta fuori dall'astronave principale, riesce ad aprire un portellone e a farsi sparare all'interno, in una camera dove ovviamente c'è assenza di gravità e di atmosfera. Per questo motivo la scena è completamente priva di sonoro, il corpo dell'astronauta rimbalza tra le pareti della camera fino a che non riesce fortunosamente a chiudere il portellone dell'astronave e ad azionare il meccanismo che immette aria. Da quell'istante in poi la scena si anima improvvisamente di tutti i rumori ovvi in un ambiente terrestre. Raccontata così non fa grande effetto, lo ammetto, ma la bellezza della scena (mi rendo conto che va vista, è cinema non un racconto) sta proprio in questa dimensione extraterrestre e nella sensazione forte che restituisce allo spettatore (almeno a me).

Una medesima sensazione, anche se su un piano totalmente diverso, ricordo di averla provata nella lettura del romanzo umoristico Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams. Francamente non so se gli appassionati di fantascienza lo annoverano tra i romanzi del genere. Il signor Arthur Dent si ritrova da un giorno all'altro a protestare per la costruzione di una nuova autostrada che per essere costruita implica la demolizione della sua casa. Alle sue proteste gli addetti ai lavori rispondono che i piani del progetto erano disponibili al pubblico, nel locale ufficio Viabilità e Traffico, da ben nove mesi. Tutte le eventuali rimostranze sarebbero dovute esser fatte prima, per tempo, non adesso, all'ultimo momento. Nel giro di poche pagine il racconto scala su una dimensione extraterrestre quando l'umanità scopre improvvisamente da un annuncio fatto tramite "il più colossale sistema di altoparlanti che si fosse mai visto" (messo in piedi dagli "addetti ai lavori" di origine non terrestre, ovviamente) che "i piani per lo sviluppo delle zone più remote della Galassia richiedono la costruzione di un'autostrada iperspaziale che attraversa il vostro sistema solare, e purtroppo il vostro pianeta è uno di quelli che è necessario demolire .... Tutti i piani del progetto e gli ordini di demolizione erano disponibili al pubblico da cinquanta dei vostri anni terrestri, nel locale Dipartimento di Viabilità di Alpha Centauri. Per cui avevate tutto il tempo per presentare gli aventuali reclami. E' troppo tardi, ora, per mettersi a protestare". La scena è comica ma, secondo me, è anche un grande pezzo di fantascienza.

Recentemente ho riletto il Ciclo della Fondazione di Isaac Asimov, e tra le tante cose mi ha colpito un passaggio in cui l'autore parla della misurazione del tempo nella Galassia attuale. E' breve e certamente ben poco essenziale per la storia ma su di me esercita un grande fascino per le ragioni che sto cercando di spiegare. Un passaggio minore che però, insieme a tanti altri, caratterizza il romanzo di Asimov come un grande romanzo di fantascienza.

Riporto il brano per intero: "Per una o più ragioni ignote alla gente della Galassia, al tempo di cui parliamo, il Tempo Standard Intergalattico aveva stabilito come unità di tempo il secondo, in quanto tempo impiegato dalla luce a percorrere 299.776 chilometri. Fu deciso arbitrariamente che 86.400 secondi formassero un Giorno Intergalattico Standard, e che 365 di questi giorni costituissero un Anno Intergalattico Standard. Perché 299.776?... Od 86.400? o 365? Per tradizione, dicono gli storici. Per particolari e misteriose relazioni numeriche, dicono i misticisti, i numeralogisti, i metafisici. Perché il pianeta originario dell’umanità, dicono alcuni, aveva un certo periodo di rotazione e rivoluzione da cui potrebbero essere derivate tali relazioni. Nessuno lo sa con certezza. Quando l’incrociatore “Hober Mallow” della Fondazione incontrò lo squadrone kalganiano guidato dall’“Indomita”, rifiutò di accogliere a bordo una pattuglia per un’ispezione, e venne di conseguenza distrutto, era il 185 dell’11.692 E.G., cioè il centottantacinquesimo giorno dell’anno 11.692 dell’Era Galattica che iniziava dall’ascesa al trono del Primo Imperatore della dinastia dei Kamble. Era anche il 185 del 419 D.S., data dell’anno di nascita di Seldon, o il 185 del 348 E.F., data di nascita della Fondazione. Su Kalgan era il 185 del 56 P.C., data dell’inizio del regno del Primo Cittadino ovvero il Mulo. In ognuno dei casi, per convenienza, era stabilito che l’anno fosse composto dall’identico numero di giorni, senza contare il vero e proprio giorno d’inizio dell’èra. Per giunta, tutti i milioni di mondi della Galassia possedevano milioni di tempi locali, basati sul movimento degli astri a loro vicini".

Questa dimensione extraterrestre del calendario, unitamente alle vaghe ipotesi sull'origine delle unità di misura del tempo, probabilmente risalenti a convenzioni stabilite in tempi remotissimi sull'ormai sconosciuto pianeta originario dell'umanità, è di un fascino particolare, e per me un elemento essenziale del racconto di fantascienza.