giovedì 31 agosto 2023

La tecnologia degli animali domestici

Come ho già scritto in un altro post con la tecnologia l'uomo risolve i suoi problemi di sopravvivenza, problemi che tutti gli altri animali risolvono quasi esclusivamente con le modifiche genetiche selezionate attraverso le generazioni, cioè con l'evoluzione biologica. Gli strumenti tecnologici aiutano gli uomini a vivere, soddisfano i loro bisogni, agevolano la loro vita, la rendono più facile e in generale migliore.

In questo senso si può dire che gli animali domestici sono nella sostanza degli oggetti tecnologici, sia quelli che ci hanno aiutato nel lavoro in tempi oramai quasi del tutto passati, sia quelli che oggi ci fanno compagnia e che soddisfano il nostro bisogno di prendersi cura di un essere vivente che dipende interamente da noi (spesso in età adulta succede una volta che l'abbiamo fatto con i nostri figli, o perché non siamo riusciti a farlo).

La differenza più significativa tra un animale domestico e un qualsiasi altro artefatto tecnologico è che quest'ultimo è sempre progettato per svolgere un compito ben preciso senza intelligenza e per questo l'artefatto tecnologico è perfettamente controllabile, mentre l'animale domestico è sempre un individuo dotato di un certo grado di intelligenza, di autonomia di decisione, in parte imprevedibile, dunque non perfettamente controllabile nelle sue azioni.

A pensarci bene questi sembrano essere esattamente quegli aspetti che vengono visti come rischi, più o meno fondati, insiti nei prodotti di intelligenza artificiale. Nei nostri animali domestici questo non ci preoccupa perché sappiamo bene che sono stupidi, cioè esprimono una intelligenza che siamo assolutamente in grado di mantenere sotto il nostro controllo. Con loro siamo sempre in grado di tenere un atteggiamento dominante, quando necessario. Quello che ci fa paura nei prodotti di intelligenza artificiale è che non sappiamo bene fin dove possono arrivare. Una paura più immaginata che reale, al momento. Ma non sappiamo come questa cosa evolverà in futuro, e con che tipo di dispositivi dovremo avere a che fare. La scarsa intelligenza degli animali che ci circondano invece è rassicurante, ammettiamolo.


martedì 22 agosto 2023

Sulla natura delle pseudoconoscenze

Tempo fa un mio vecchio amico mi manda un filmato di sua figlia, una bellissima bimba in età prescolare. Nel filmato è seduta per terra e ha in mano una grossa palla, di quelle a spicchi colorati. Il papà le domanda dove si trova il polo nord e lei gli indica il punto della palla dove convergono gli spicchi, poi le chiede dove si trova il polo sud e lei gira la palla e gli indica il vertice opposto. Poi fanno insieme commenti sul gran freddo che c'è ai poli, ecc.

Il filmato è molto bello e a me, che sono stato papà di un bimbo altrettanto bello (ora cresciuto ma sempre bello), risveglia dei bei ricordi. Poi però mi viene in mente una cosa strana. La bimba alla sua età sa già perfettamente che la terra è una palla, e gioca tranquillamente con le posizioni dei poli senza farsi apparentemente nessun problema. E' ovvio che questa informazione le è stata passata dagli adulti, non può essere certo una sua osservazione o addirittura deduzione. Tra l'altro mi domando come la bimba abbia elaborato un'informazione così complessa, è una cosa a cui gli adulti in genere non pensano.

Il punto è proprio questo, la bimba (come tutti i bambini) si prende questa informazione incredibilmente complessa con grande naturalezza e senza avere al momento nessuno strumento critico per elaborarla. E probabilmente questa nozione in futuro non verrà mai più rielaborata, tantomeno a scuola (mai sentito un insegnante che fa una lezione sulla forma della Terra?). Forse la cosa più grave è che questa nozione non genererà mai stupore, cioè non si accompagnerà mai ad una reazione emotiva, che pure per una cosa del genere ci dovrebbe essere. Ai tempi dei Greci che per primi hanno osservato e dedotto la forma sferica della terra questa reazione emotiva ci sarà sicuramente stata. Ma nell'insegnamento attuale è scomparsa. Si conserva (o si cerca di conservare) lo stupore davanti al Partenone o alle innumerevoli opere artistiche greche ma non davanti alle loro stupefacenti conoscenze, ormai date tutte per assodate e per niente stimolanti.

Nel post precedente sostengo che per capire qualcosa è necessaria una elaborazione razionale e anche emotiva, ma in questo caso è probabile che manchino entrambe. E' in queste situazioni che si generano delle pseudoconoscenze. Una pseudoconoscenza può essere sostituita facilmente da qualunque altra cosa in qualsiasi momento, indipendentemente dal suo grado di attendibilità, plausibilità o ragionevolezza.


sabato 5 agosto 2023

I lati razionale, morale ed emotivo della conoscenza

In relazione ad un paio di post precedenti (uno piuttosto vecchio, questo, l'altro più recente, questo) voglio appuntarmi questa precisazione. Nel post recente avevo accennato al fatto che lo studio è una delle pochissime cose verso cui io penso di avere un senso del sacro. Questo essenzialmente perché per me lo studio è una scelta consapevole (quindi anche un atteggiamento morale) con cui costruiamo i nostri percorsi di ricerca per la conoscenza del mondo. Ma devo precisare che le attività che concorrono a questa ricerca sono due, e sono in parte distinte. Una è appunto quella di studiare, l'altra è quella di capire. E la loro relazione non è biunivoca, per capire si deve quasi sempre studiare ma non è vero il viceversa, nel senso che studiare non implica necessariamente capire (magari implica solamente imparare, vedi post vecchio). Per capire bisogna studiare e scegliere di studiare con il preciso obiettivo di capire, un obiettivo che non è affatto scontato. E' una scelta.

Credo inoltre che per far diventare lo studio un modo per capire e non solo per imparare occorra aggiungere alle componenti razionale e morale anche quella emotiva. La parte emotiva è quella cosa che fa la differenza tra l'incamerare un'informazione che stai leggendo con lo scopo principale di ricordarla e fermarti invece di fronte a una cosa che intuisci di non aver capito (o di non aver capito bene), cominciare a ragionarci sopra fregandotene del tempo che ci metti e di tutto il resto che ti eri proposto di fare, e alla fine provare l'emozione di venirne a capo (lo definirei addirittura un momento creativo, perché lo sforzo di capire è sempre uno sforzo immaginativo), e avere poi la netta sensazione che vale più quello che hai appena fatto di tutte le pagine che ti rimangono per finire la scaletta di studio che razionalmente ti eri programmato.

La famosa frase "La cultura è quello che rimane quando si è scordato tutto quello che si è studiato" si spiega proprio in questo senso. Ciò che si è studiato con l'esplicito e consapevole scopo di capire (e con un giusto coinvolgimento emotivo), lascia nel proprio bagaglio di conoscenze qualcosa di significativo anche quando si è scordato tutto. Diversamente può capitare che non rimanga più niente.