domenica 30 ottobre 2022

Su certe cose sono un puritano

Non mi ricordo di aver mai fatto un regalo a mio figlio a valle di un suo buon risultato a scuola. Quello che mi sorprende è che sentirlo da altri mi procura un certo fastidio. Tutto sommato la cosa costituisce un'usanza abbastanza diffusa e dietro c'è un meccanismo che scatta abbastanza spontaneo in un genitore. Ma è proprio quel meccanismo che mi disturba. 

Forse i meccanismi sono addirittura due. Entrambi secondo me fuori luogo rispetto a quello che il ragazzo sta effettivamente facendo. Il primo è il "premio della gara", cioè a scuola hai ottenuto un certo punteggio, "ti sei piazzato bene" o anche "sei arrivato primo", ti meriti un trofeo, un segno tangibile della vittoria. Il secondo è forse ancora peggio, hai fatto bene quello che ti è stato chiesto quindi meriti un premio.

Entrambi questi meccanismi secondo il mio (strano) modo di vedere tolgono valore allo studio. Il primo gli dà un valore agonistico inappropriato (la vera meta da premiare è il piazzamento all'interno del contesto umano in cui ti trovi casualmente), il secondo addirittura puzza di addestramento (ti è stato assegnato un compito, l'hai svolto bene, ottieni un premio).

Mi rendo conto che tutto ciò non è niente di particolarmente grave, possono pure essere meccanismi che rientrano in possibili incentivi a studiare (forse non per tutti) o in riconoscimenti che addirittura possono aiutare i ragazzi dal punto di vista psicologico e della formazione del carattere (forse non tutti). Ma nel mio (strano) caso credo che questi atteggiamenti "tocchino" un qualche mio senso del sacro. Se c'è qualcosa che mi stimola in qualche misura un senso del sacro certamente una di queste cose è lo studio, inteso come costruzione personale e collettiva della conoscenza. E una cosa sacra non ha secondi fini, secondi obiettivi, mete precise da raggiungere al di fuori di essa, come lo sono i premi e le ricompense. Una cosa sacra è fine a sé stessa, basta da sola, altrimenti finisce per essere uno strumento di qualcosa o per qualcosa.

Questa visione è proprio da rompicoglioni e tremendamente pesante, ma ci ricasco ad ogni occasione, deve essere proprio un mio modo di vedere la cosa. Quindi non mi rimane che rivendicarla in questo mio diario di osservazioni personali. E come ciliegina sulla torta cito un episodio al limite del possibile, quasi incomprensibile, che può far scattare addirittura reazioni derisorie ma che secondo me rivela una grande nobiltà nel rifiutare drasticamente dei possibili (anche se non così gravi) secondi fini alla costruzione della conoscenza, conseguenza di un atteggiamento direi proprio sacrale nei suoi confronti, un atteggiamento quasi religioso.

Grigorij Jakovlevič Perel'man, un matematico di San Pietroburgo, dimostra la famosa Congettura di Poincaré, dopo un centinaio di anni dalla sua prima formulazione e dopo altrettanti anni di tentativi di dimostrazione da parte di schiere di matematici. Nonostante la risonanza del risultato che lo rende immediatamente famoso in tutto il mondo Perel'man rifiuta i premi più prestigiosi che gli vengono assegnati qualche anno dopo (il tempo necessario per le verifiche della dimostrazione da parte di specialisti nel campo). A seguito del rifiuto del premio da un milione di dollari assegnato dal Clay Mathematics Institute per aver risolto uno dei Millennium Problems pare che abbia commentato: "Se la dimostrazione è corretta, allora non c’è bisogno di altri riconoscimenti".


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