mercoledì 30 marzo 2011

Un post su Postel

Era la fine del 1998 e io entravo come consulente in una società di formazione tecnologica, la stessa in cui lavoro tuttora (dopo svariati cambiamenti di proprietà e di ragioni sociali). Provenivo da studi scientifici e da ben poca esperienza lavorativa nel settore informatico. Come sempre succede ti guardi intorno e osservi i tuoi colleghi, quello che fanno, come lavorano, che carattere hanno, notando anche cose forse secondarie ma curiose. Una di queste cose curiose era il desktop di un collega un po' più anziano. Una persona un po' sulle sue, che si "barricava" spesso dietro alla sua scrivania con un monitor gigantesco di una workstation Unix. Non era facile osservare il suo desktop.
Quell'immagine però era particolarmente strana per me, e non sapevo come classificarla. Si trattava di un signore barbuto, che non avevo mai visto prima e che al momento mi faceva pensare a qualche specie di santone. Ci ho messo un po' per chiedere al collega di chi si trattava e la risposta mi ha messo un po' in soggezione: "Come chi è? E' Jon Postel! Non sai chi è Postel? ....".
Jon Postel (1943 - 1998) è uno dei più importanti pionieri della rete Internet. E' stato per circa trent'anni l'editor delle RFC (Request For Comments), i documenti che discutono tutte le tecnologie utilizzate in Internet e ne definiscono gli standard. Ha fondato e gestito per lungo tempo la Internet Assigned Numbers Authority (IANA), l'organismo che coordina l'assegnazione degli indirizzi IP e degli AS numbers, che gestisce la Root dello spazio dei nomi DNS, l'assegnazione dei Top Level Domains e il database dei protocol names and numbers. Da questa posizione Postel ha sollecitato e coordinato lo sviluppo delle tecnologie alla base di Internet e la sua stessa crescita. Sue sono le RFC che definiscono le caratteristiche standard del TCP/IP (RFC791, "Internet Protocol", 1981; RFC793, "Transmission Control Protocol", 1981). Sue sono le prime idee sulla struttura gerarchica dei nomi a dominio.
Evidentemente i contributi di Postel si misurano anche dai tributi postumi della comunità Internet (proprio a partire da quel 1998): numerose pagine web commemorative, un premio a suo nome e, cosa molto curiosa, una RFC in sua memoria (RFC2468, "I remember IANA", 1998), scritta all'indomani della sua morte da un altro importante pioniere come lui, Vint Cerf. Un estratto famoso di questa RFC è il seguente: "Someone had to keep track of all the protocols, the identifiers, networks and addresses and ultimately the names of all the things in the networked universe. And someone had to keep track of all the information that erupted with volcanic force from the intensity of the debates and discussions and endless invention that had continued unabated for 30 years. That someone was Jonathan B. Postel, our Internet Assigned Numbers Authority, friend, engineer, confidant, leader, icon, and now, first of the giants to depart from our midst".
Credo che (mi piace pensare che) Postel abbia sempre pensato alla rete come ad un grande progetto di ampliamento delle capacità di comunicare dell'uomo, e che questa filosofia, questa "visione" lo abbia guidato per così tanti anni consentendogli di contribuire in modo fondamentale allo sviluppo di un patrimonio tecnologico così importante. Affascinante una sua frase (rilanciata in tanti punti del web, giustamente) di carattere tecnico: "In general, an implementation must be conservative in its sending behavior, and liberal in its receiving behavior", che successivamente diventa una specie di slogan: "Be liberal in what you accept, and conservative in what you send".
Per la gran parte delle persone le icone dell'informatica moderna sono le miriadi di oggetti di consumo che abbiamo continuamente tra le mani. Non per me.

domenica 27 marzo 2011

Crocifisso: la sentenza di Strasburgo

In questo breve post torno sull'argomento della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche italiane (spero per l'ultima volta). Lo faccio perchè ho letto qualche giorno fa che a Strasburgo la Grande Camera della corte europea per i diritti dell'uomo ha sancito con sentenza definitiva che ciò non costituisce una violazione del diritto alla libertà di coscienza dei ragazzi e alla libertà d'educazione dei genitori (la sentenza è più articolata e sembra animata soprattutto da uno spirito di "non ingerenza" in questioni in cui si ritiene che gli Stati debbano godere di un certo margine di discrezionalità).

In particolare mi interessa sottolineare due cose: la prima è che la corte europea nella sua sentenza fa intendere abbastanza chiaramente di non considerare il crocifisso come un simbolo di indottrinamento ("La Corte deve quindi di regola rispettare le scelte degli Stati contraenti in questo campo, compreso lo spazio che questi intendono consacrare alla religione, sempre che tali scelte non conducano a una qualche forma di indottrinamento"). La seconda è la soddisfazione della Santa Sede per questa sentenza ("La Corte dice quindi che l'esposizione del crocifisso non è indottrinamento, ma espressione dell'identità culturale e religiosa dei Paesi di tradizione cristiana").

Direi che la Santa Sede si preoccupa molto di più delle questioni politiche che non di quelle di fede. E' soddisfatta del fatto che l'esposizione del crocifisso non è considerata indottrinamento, quindi non è visto come un simbolo sacro del cristianesimo bensì come semplice simbolo culturale. Ribadisco (l'ho già detto in un post precedente) che un cristiano dovrebbe ribellarsi a questo modo di considerare i simboli più importanti della sua religione in quanto dà loro una dimensione puramente storica, quasi contingente, certamente non sacra.

Non è necessario essere cristiani per rimanere perplessi di fronte a questi atteggiamenti della chiesa ufficiale, basta essere religiosi, come dimostra una frase del rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni: "Dire che il crocifisso è simbolo culturale è, a mio parere, mancargli di rispetto. E non mi ci riconosco come simbolo culturale".

Questa critica all'atteggiamento della Chiesa la ritrovo espressa bene da Sergio Luzzatto nella chiusura di un suo articolo: "Riesce difficile non giudicare inquietante la soddisfazione espressa dalla Santa Sede a proposito di una sentenza come quella di Strasburgo, che negando al crocifisso un potere di indottrinamento gli nega anche - se le parole hanno un senso - un valore di dottrina. A questi punti è arrivata, evidentemente, la Chiesa cattolica di oggi: a una tale ossessione di presenza nella sfera temporale da trascurare ogni scrupolo di presenza nella sfera spirituale. Fino a disconoscere nel simbolo cristiano per eccellenza il suo messaggio sacro e (per chi crede davvero) il suo valore salvifico, pur di passare all'incasso (tutto politico) di un messaggio pelosamente profano".

venerdì 18 marzo 2011

Il Vespro della Beata Vergine

Il Vespro della Beata Vergine è un lavoro di Claudio Monteverdi del 1610. Credo sia una delle opere musicali più ricche e affascinanti di tutta la storia della musica occidentale. Paragonabile a quello che può essere la Cappella Sistina per la storia delle arti figurative. Se non ho esagerato più di tanto nel fare questo paragone va aggiunta una curiosa osservazione, che distingue in maniera sostanziale queste due grandi opere dell'ingegno: la seconda la conoscono tutti, la prima quasi nessuno (almeno per la mia esperienza).

I motivi possono essere diversi. Sicuramente il più importante è il peso incredibile che ha Michelangelo nella storia della nostra cultura e che certamente Monteverdi non ha. Però l'argomento può risultare un po' circolare, nel senso che forse questo "peso culturale" viene determinato in parte proprio sulla base dell'importanza che una società dà a certe forme d'arte. Michelangelo era un grande pittore, scultore, architetto che con la sua opera ha influenzato enormemente la sua epoca e quelle successive. Monteverdi era solo un musicista.

Un'altra ragione è quella del tempo storico che nel caso della musica sembra sempre enormemente più dilatato (benchè oggettivamente molto più corto, vista la mancanza di fonti). Quando si parla di musica antica, quella precedente il periodo cosiddetto classico (Haydn, Mozart), in genere si giustifica la mancanza di frequentazione con il fatto che si tratta di musica troppo lontana dalla nostra sensibilità moderna. Ma è fin troppo chiaro che questo vale anche per le altre arti. Gli affreschi della Cappella Sistina sono vicini alla nostra sensibilità figurativa? Non credo proprio.

Sicuramente la maggior parte delle persone di media cultura sanno che le arti figurative hanno una storia e una evoluzione del linguaggio, che in buona parte conoscono pure, ma non lo sanno altrettanto bene della musica. Possono riuscire a collocare storicamente un certo dipinto anche se non lo conoscono, ma non riescono a farlo altrettanto bene con un brano musicale. Hanno in media strumenti culturali più incerti nei confronti della musica, minori conoscenze storiche e chiavi di lettura spesso banali. Hanno imparato fin dalla scuola ad apprezzare Michelangelo ma non Monteverdi, di cui al massimo ne hanno nozione.

Infine il brano musicale implica un livello di attenzione continuato nel tempo di esecuzione. Questa è una caratteristica che condivide con il teatro e il cinema, ma a differenza di questi non ha parametri visivi e letterari significativi e non racconta una storia (escludendo il melodramma e poco altro). L'ascolto della musica comporta solitamente un impegno notevole, certamente in media superiore a quello di vedere un film, un lavoro teatrale, di passeggiare in una galleria d'arte o in una chiesa. E questo ha l'effetto di far mantenere le distanze con i grandi capolavori, vecchi e nuovi, facendosene al massimo un'idea retorica (il "motivetto"). Non è un caso che tutte le forme musicali popolari e di largo consumo sono sempre "ibridate" da aspetti letterari e visivi, e hanno tempi di esecuzione non superiori a qualche minuto. Il Vespro di Monteverdi dura più di due d'ore. Pensa che palle!

Nota: due brani di esempio, il Dixit Dominus e il Nigra Sum.

venerdì 4 marzo 2011

Ruby, My Dear (*)

Il cosiddetto "caso Ruby" è l'ultimo procedimento giudiziario dell'attuale Presidente del Consiglio. L'ultimo di una lunga serie, e probabilmente non il più grave. Mi interessa dare un'occhiata agli argomenti e alle tecniche con cui viene tenacemente difeso Berlusconi e ragionarci sopra, come credo farebbe chiunque, indipendentemente dal suo orientamento politico.

1. L'aspetto più tecnico riguarda l'attribuzione delle competenze; in relazione ai tipi di reato contestati e al territorio in cui sarebbero avvenuti non dovrebbe essere la Procura di Milano a procedere ma il Tribunale dei Ministri e la Procura di Monza.
Cercando di approfondire la questione si viene facilmente a capire che passare la competenza al Tribunale dei Ministri non cambierebbe granchè la cosa, se non in un piccolo particolare: il giudizio del Tribunale dei Ministri è vincolato da una votazione della camera di appartenenza dell'imputato. Ovviamente non esiste nessuna dichiarazione ufficiale della maggioranza in merito a questa votazione.

2. Il leitmotiv della difesa berlusconiana è il complotto delle toghe rosse, ovvero l'accanimento su di lui di alcuni magistrati, in particolare di quelli della Procura di Milano, usato come strumento politico.
Il complotto si rivelerebbe in una serie di accuse inconsistenti portate avanti ad ogni buona occasione a partire dal 1994, usate per condurre imponenti processi mediatici più che giudiziari e screditare la figura di Berlusconi. E' interessante notare che l'accusa del complotto è anch'essa condotta interamente sul piano mediatico, senza prove, senza inchieste, senza approfondimenti, ma semplicemente rilanciata così com'è su tutti i media possibili. Il piano mediatico è in assoluto quello preferito. Il piano giudiziario, l'unico veramente efficace per ricostruirsi una reputazione attraverso sentenze di assoluzione, è invece costantemente evitato.

3. Un elemento molto spesso sottolineato è l'inconsistenza dei reati, il fatto che ci sia un'evidente montatura di vicende in tutto o in parte inesistenti. In sostanza non è successo nulla di rilevante, e quindi nulla che possa essere portato ad un processo.
L'osservazione più allucinante in questo senso è che il reato non c'è in quanto le vittime non lo denunciano. Ad esempio Ruby ha sempre negato di aver fatto sesso con Berlusconi. Incredibile che questa argomentazione venga riproposta più volte sui giornali e in televisione. Sarebbe come dire che una violenza sessuale in famiglia non è avvenuta perchè la moglie (vittima) non l'ha mai denunciata e se viene interrogata la nega. Oppure che in Campania non esiste il pagamento del pizzo alla camorra perchè se interrogati gli esercenti negano. Inutile dire che Ruby può avere tutto l'interesse a negare il fatto, magari perchè pensa di ricavarne qualcosa, se non lo ha già fatto (e questo peggiorerebbe di gran lunga la situazione di Berlusconi). E' da notare che questo argomento ribadisce l'inconsistenza giudiziaria dell'episodio e contestualmente ne fa emergere quella puramente mediatica.

4. Rispetto a questo caso si è molto insistito anche sulla violazione della privacy, sul comportamento della procura giudicato scorretto e violento nei confronti di tutti gli indagati, in quanto troppo invasivo rispetto alla sfera del privato.
Questo elemento dipende dal precedente, nel senso che si tiene in piedi solo se non ci sono vere ipotesi di reato. Perchè se invece ci sono il discorso della violazione della privacy non ha più alcun senso. E' chiaro che un reato avviene praticamente sempre all'interno di una sfera privata, ed è altrettanto chiaro che in questo caso le indagini devono entrare in questa sfera per essere svolte correttamente. Se però questo elemento viene presentato isolatamente, evitando l'obiezione appena fatta, acquista una sua efficacia retorica e risulta funzionale alla teoria del complotto.

5. Si tenta regolarmente di minimizzare quanto accaduto, riducendolo ad un insieme di episodi "goderecci", del tutto privati e ammissibili, sullo sfondo dei quali c'è semplicemente un Primo Ministro a cui "piacciono le donne".
Qui c'è da sottolineare un fatto importante: a me pare evidente che ci sono comportamenti privati e perfettamente legali che però sono semplicemente inammissibili per una persona che ricopre importanti incarichi pubblici. Questo non per una questione morale (che pure ci potrebbe essere) ma perchè questi comportamenti potrebbero "esporre a rischi" la funzione pubblica rappresentata. Ed è chiaro che non si tratta di un fatto che si può codificare in qualche modo essendo addirittura legato alla funzione pubblica stessa, in particolare alla sua importanza. Se sono un sindaco di un piccolo comune posso tranquillamente scendere dal palazzo comunale da solo ed entrare nel bar di fronte per prendere un caffè, conversando con i miei concittadini. Se sono Barack Obama una cosa così semplice, innocua e privata non la posso fare. Addirittura in tal caso nessun cittadino mi può avvicinare senza che sia stato preventivamente identificato e autorizzato. Frequentare ragazze non ben conosciute ed ottenere da alcune di loro del sesso a pagamento può essere ammissibile per un qualunque cittadino ma non per un presidente del consiglio, non mi pare un argomento difficile da capire. Tuttavia questa linea di difesa alimenta l'idea di una magistratura persecutrice, di accuse inconsistenti e pure di un uomo potente che si sa godere la vita, idea che esercita il suo fascino su parecchia gente.

6. Molti dei detrattori del presidente del consiglio hanno nel loro passato altrettanti episodi personali "poco puliti" da nascondere.
Questa tecnica evangelica del "chi è innocente scagli la prima pietra" è funzionale ad ingessare tutto il sistema, a fare in modo che nessuno possa puntare il dito contro nessun altro. E risulta essere anche molto efficace in quanto sfrutta il fatto che in Italia il grado di corruzione della classe dirigente è al di sopra della soglia accettabile per un paese civile, esattamente come il grado di evasione fiscale. Si tratta di due indicatori importanti per misurare il grado di maturità di uno stato democratico, e noi certamente non stiamo messi molto bene. Ma volendo usare un'altra metafora evangelica l'attacco che i giornali vicini al presidente fanno a molti suoi detrattori e avversari politici attraverso episodi poco chiari delle loro vite mi suona come l'andare a preoccuparsi delle pagliuzze negli occhi degli altri quando si ha una trave nel proprio. Intendo dire che Berlusconi in questo campo è un vero fuoriclasse, letteralmente imbattibile. Ma nonostante l'evidente sproporzione ciò basta a costruire il pregiudizio del "sono tutti uguali, perchè togliere uno e metterne un'altro?"

In definitiva la linea di difesa mediatica di Berlusconi (chissà se quella giudiziaria la riusciremo mai a vedere) difende l'indifendibile, ma è perseguita con metodo, sistematicità e furbizia da una schiera di politici e giornalisti a lui vicini. L'obiettivo è chiaro, molto preciso, ed è sempre il solito: evitare i processi.

(*) E' il titolo di un famosissimo brano di Monk, di cui esistono molte registrazioni, una molto bella è qui.