venerdì 27 marzo 2015

Sforzi di pensiero e pseudoscienza

Spesso l'atteggiamento di molte persone nei confronti delle conoscenze scientifiche mi sembra paradigmatico dell'atteggiamento nei confronti della conoscenza in generale. La conoscenza è un processo non una condizione. Non è che una cosa si sa o non si sa, non è che se una cosa la so non c'è altro da dire, sennò me la dici così la so. Posso trattare così le informazioni non le conoscenze. Ci sarà pure un motivo per cui si usano due termini distinti. La conoscenza delle cose è un rapporto che si costruisce col mondo, e per farlo ci vuole tempo, continuità, impegno, sforzo di pensiero.
In questa confusione tra conoscenza e informazione negli ultimi anni è sopraggiunta un'aggravante, la possibilità di informarsi velocemente su internet. La velocità di reperire notizie può scalzare l'idea della conoscenza come costruzione e può sostituirla con "se questa cosa non la so la cerco su internet e quindi poi la so". È chiaro che per le pure e semplici informazioni questo ragionamento funziona ed è di grande potenza e utilità. Se voglio ricordare il regista di un vecchio film o l'anno in cui è uscito mi bastano trenta secondi di smartphone. Ma ad esempio per gli argomenti di scienza, per capirne e dibatterne le implicazioni che spesso e sempre più ci circondano e costruiscono il nostro mondo, non è affatto così. Se voglio cercare di costruirmi una conoscenza scientifica ho bisogno di tempo. Tempo per costruire, appunto. E ovviamente tutto questo riguarda qualsiasi tipo di conoscenza. Internet mette le notizie tutte lì, su uno stesso tavolo immenso, dove qualunque cosa appare legittima e degna di attenzione come qualsiasi altra. E ovviamente a nessuno deve essere consentito di fare una selezione delle "cose buone" al posto nostro. È facile rendersi conto che l'unico setaccio possibile (e auspicabile) è costituito dalle nostre conoscenze, e quindi dalla nostra libertà. Ma se non ce ne rendiamo conto? Se non capiamo l'importanza di costruire una nostra conoscenza delle cose? Se non capiamo che questa costruzione non può passare per la lettura veloce ed estemporanea di quello che capita su Internet? Succede allora che ci beviamo le cazzate che passano in rete (quantomeno non le distinguiamo dal resto), le veicoliamo sui social e sul web ad una velocità vertiginosa e contribuiamo a montare falsità clamorose (e anche banali) che attendono al varco altre persone impreparate e pronte a veicolarle a loro volta. Direi che la cosiddetta pseudoscienza che spesso imperversa su internet (di argomenti fake ce ne sono purtroppo sempre di più) ha questa semplice ma drammatica origine.

sabato 21 marzo 2015

Belle parole (e pericolose ideologie)

Lella Costa, attrice di teatro, esponente di una "sinistra colta e intellettuale" (sembrerebbe chiamata a questo ruolo da chi l'ha invitata in trasmissione) dialoga in TV con Matteo Salvini, segretario della Lega e leader emergente della destra sociale. La discussione fa emergere una sinistra idealista contro una destra pratica e pragmatica. Un momento clou è quello in cui l'attrice, sottolineando una matrice culturale comune tra lei e Salvini, recita dei versi di una famosa canzone di Fabrizio De André sui Rom a cui Salvini risponde immediatamente a tono dicendo che tutto ciò sarebbe certamente bello ma che la realtà è purtroppo molto diversa da questa idealizzazione poetica e chiama ad una soluzione pratica ed efficiente.

La sintesi è questa: quelle di Lella Costa, di Fabrizio De Andrè, di tutta una storia culturale italiana che anche Salvini ha praticato e non nega, sono solo "belle parole". Dipingono un mondo che non esiste. Sarebbe bello, dice Salvini, ma non esiste. C'è invece una dura realtà con cui fare subito i conti, da affrontare, per cui bisogna "fare qualcosa".

E' su questo "fare qualcosa" che passa tutta la spietata ideologia di quel tipo di destra che Salvini si appresta ad utilizzare in futuro. E' un'ideologia che abbassa lo sguardo e punta dritta al "risultato". Si spoglia dei "fronzoli" di ragionamenti su un mondo complesso per applicare le solite barbare semplificazioni, che come sempre funzionano e fanno presa sul solito onnipresente cocktail di paura e ignoranza.

Un episodio televisivo indubbiamente istruttivo, sia per constatare la debolezza della cultura italiana, sia per toccare con mano a chi e a cosa questa debolezza lascia il campo.