domenica 24 ottobre 2021

L'ipotesi di Barbero

E' di qualche giorno fa un'intervista al Prof. Alessandro Barbero, storico, in cui avanza un'ipotesi sul motivo per cui le donne a tutt'oggi hanno una scarsa presenza nei posti di maggior responsabilità professionali, sia nel pubblico che nel privato. Il pezzo importante di questa intervista, riportato in molti articoli su internet, è il seguente: «Premesso che io sono uno storico e quindi il mio compito è quello di indagare il passato e non presente o futuro, posso rispondere da cittadino che si interroga sul tema. Di fronte all’enorme cambiamento di costume degli ultimi cinquant’anni, viene da chiedersi come mai non si sia più avanti in questa direzione. Ci sono donne chirurgo, altre ingegnere e via citando, ma a livello generale, siamo lontani da un’effettiva parità in campo professionale. Rischio di dire una cosa impopolare, lo so, ma vale la pena di chiedersi se non ci siano differenze strutturali fra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile avere successo in certi campi. È possibile che in media, le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che aiutano ad affermarsi? Credo sia interessante rispondere a questa domanda. Non ci si deve scandalizzare per questa ipotesi, nella vita quotidiana si rimarcano spesso differenze fra i sessi. E c’è chi dice: “Se più donne facessero politica, la politica sarebbe migliore”. Ecco, secondo me, proprio per questa diversità fra i due generi.» (il grassetto è mio).

Questa intervista ha scatenato molti commenti negativi. Io trovo che, per quello che ho letto in giro, la reazione sia sconcertante. Quello che mi colpisce di più (negativamente) è la forte polarizzazione della discussione. Forse ancora di più è sconcertante la velocità, l'immediatezza e il livello di fraintendimento delle reazioni. Velocità e fraintendimento fanno pensare che molte reazioni siano addirittura state formulate leggendo solo i titoli (effettivamente anche loro fuorvianti) con cui è stata riportata l'intervista e la notizia dell'intervista. Sembra che certi argomenti "sensibili", cioè particolarmente adatti al consumismo dell'informazione, debbano pretendere immediatamente delle prese di posizione, e che non debbano in alcun modo lasciare spazio ad un vero dibattito, forse troppo pesante e di cui probabilmente non interessa niente a nessuno.

Le due espressioni che ho riportato in grassetto sono secondo me gli elementi chiave di questa dichiarazione di Barbero. Il termine differenze strutturali può avere molte interpretazioni, ma non certo razziste e discriminatorie per le donne. Si parla di differenze non di inferiorità o superiorità di qualcuno rispetto a qualcun altro. Secondo me il termine differenze strutturali prova a dire che le differenze tra maschio e femmina della nostra specie possono andare al di là di qualche secondario aspetto morfologico, possono invece investire lati più profondi dell'intelligenza, della psicologia, del carattere. Ovviamente sempre parlando su una base statistica, che è anche l'unica che può aver senso in un dibattito del genere. Tra questi lati della personalità ci può essere anche l'aggressività, la capacità di avere e/o ostentare sicurezza, non mi pare che la cosa possa nascondere una qualche forma di razzismo, neanche strisciante. E' sottointeso che l'aggressività e la sicurezza di sé possano essere tra le caratteristiche della personalità che più aiutano ad ottenere delle posizioni apicali nel mondo professionale. Questa è un'opinione, e si può anche comprensibilmente non essere d'accordo, ma non mi sembra poi così campata in aria, e se ne può discutere.

La seconda espressione è ancora più significativa, a mio parere. Barbero parla esplicitamente di una ipotesi, cioè formula semplicemente un'idea plausibile, nient'affatto scontata e men che meno verificata, che però secondo lui sarebbe interessante approfondire, magari con studi mirati. Credo che questo sia l'elemento che più è stato ignorato nella discussione, ma è cruciale. Barbero in fondo, da storico abituato all'analisi delle fonti storiche con cui è possibile accettare o rifiutare un'ipotesi, trasla questo atteggiamento di studio e applica il metodo scientifico a un carattere sociale attuale osservato (senza però indicare come analizzarlo, studiarlo o semplicemente verificarlo). Tutto qui. Ma il problema è sempre la preparazione scientifica dei suoi interlocutori, sempre troppo scarsa per poter raccogliere il vero significato della sua proposta. Dentro l'ipotesi differenze strutturali ci potrebbero essere anche le conseguenze della storia evolutiva della nostra specie, perché no? Ma non credo che questo sia stato minimamente colto dai suoi tanti critici.

Il risultato deprimente è che un dibattito culturale potenzialmente fecondo e interessante, lanciato con una semplice ipotesi, si è schiacciato immediatamente in una contrapposizione schematica e del tutto inutile. Mi preoccupa il fatto che in questo contesto di un'informazione a consumo, macinata solo per fare titoli, molti possibili dibattiti possano avere lo stesso triste destino.

NOTA: poco prima di pubblicare questo post ho assistito ad un frammento di un dibattito televisivo su questo tema che m'è sembrato interessante e non scontato. Meglio così.


domenica 17 ottobre 2021

Non conforme

E' la frase che ho letto sulla bacheca di un mio contatto su Facebook. E' quella che si mette come titolo della home page e in genere la si mette per autodefinirsi o perchè ci piace, o comunque per caratterizzare in qualche modo il proprietario di quella bacheca. Se penso a questo mio contatto trovo che la frase sia perfetta, ne definisce esattamente il tratto più saliente della sua personalità.

Ovviamente non voglio parlare in maniera diretta del mio contatto su Facebook, ma della sua frase, che mi fa molto pensare. L'essere non conforme (o definirsi come tale) mi provoca un sentimento ambivalente, molto interessante. Da una parte provo il fascino di questo elemento della personalità. L'individuo che tende a fare scelte fuori dal coro è sempre portatore di un certo fascino, poiché ostenta un certo senso di libertà, e lo stimola in chi gli sta vicino. Dall'altra mi provoca un certo senso di irritazione, di fastidio, abbastanza difficile da eliminare, tanto che le due cose spesso convivono.

Ora questa cosa la si potrebbe spiegare in maniera molto semplice ed eloquente dicendo che sono fondamentalmente un pecorone conformista. Mi affascina il senso di libertà della persona non conforme perchè non mi appartiene, e contemporaneamente mi irrita, proprio perchè non mi appartiene. Non nego che come spiegazione avrebbe un suo senso.

Ma io, un po' per amor proprio, un po' per scavare nelle mie emozioni, azzarderei un'analisi più approfondita, nella speranza di non fare figuracce. Tralasciando il fatto che essere liberi ed essere non-conformi sono due cose diverse e dando per ovvio però che gli atteggiamenti non conformi si legano istintivamente ad un senso di libertà e che per questo ispirano sempre un certo fascino e una certa simpatia in chi li osserva, vorrei analizzare un po' meglio quel senso di irritazione citato prima.

Intanto sottolineo, per non essere equivocato, che sto intendendo il termine "conforme" nel senso di "che è compiuto secondo le regole". Quello che mi provoca irritazione ha due motivi principali, che descrivo di seguito:

1. secondo me un atteggiamento non conforme può portare a decisioni irrazionali, mettere in primo piano questo lato caratteriale (perchè di questo si tratta) può rischiare di limitare la nostra capacità razionale, con conseguenze inaspettate. Le regole possono avere una loro razionalità, non adeguarcisi può non avere un sostegno altrettanto razionale. Razionalità e atteggiamento non conforme sono due elementi che possono entrare in conflitto, con conseguente irritazione in chi le osserva. Mi pare che certi atteggiamenti complottari e certi aspetti dell'antivaccinismo odierno abbiano dietro anche questo tipo di conflitto. 

2. mi trovo sempre a pensare che l'essere non conforme, praticato in larga misura, possa condurre a comportamenti antisociali, ad un eccesso di individualismo (che potrebbe anche essere inteso come innato senso di libertà), e anche questo mi irrita un po'. Un tessuto sociale si costruisce anche su regole e convenzioni, non riesco ad escludere questo aspetto dal mio concetto di comunità. Qui il mio atteggiamento è molto meno sicuro, mi rendo conto che a livello sociale avere atteggiamenti non conformi può in realtà avere effetti molto positivi, destabilizzanti in senso buono. Direi che anche qui la misura di questa non conformità dovrebbe essere sempre la razionalità.

Mah, forse alla fine volevo semplicemente dire che l'istinto di essere non conforme, che è evidentemente un tratto anche molto positivo del carattere, andrebbe temperato da valutazioni razionali, che in effetti hanno poco a che fare con l'istinto e molto più con la propria formazione, e certamente risultano molto meno affascinanti. Posso azzardare l'opinione che questi ingredienti, opportunamente calibrati, producono un cittadino libero? O semplicemente sono un pecorone razionalmente giustificato?  :-)


domenica 3 ottobre 2021

Pontediferro

Ieri è andato a fuoco il Ponte dell'Industria, conosciuto a Roma come il Ponte di Ferro, un simbolo per la città e un ponte importante anche per la viabilità poiché è quello che mette in comunicazione diretta due quartieri molto popolosi, Marconi e Ostiense. A dir la verità un ponte decisamente insufficiente per sostenere questo collegamento, tanto che già da tempo si parlava di un suo necessario ampliamento, senza però alcun seguito. Qualunque opera architettonica o ingegneristica annunciata a Roma ha dei tempi di incubazione e soprattutto di realizzazione che fanno paura a qualunque romano si trovi ad abitare nelle sue vicinanze. Chissà adesso che succederà. Speriamo bene.

Quel ponte è considerato un'opera storica, un monumento dell'archeologia industriale italiana, in questo senso la sua possibile perdita è un po' un dispiacere. Una testimonianza delle opere del passato nella nostra città.

Ma andandomi a documentare per l'occasione scopro che il ponte (la sua prima versione, quella ferroviaria, perché in seguito, nel 1911 è stato in parte rifatto) risale al 1863 e in realtà è stato realizzato per lo Stato Pontificio da una società belga. Addirittura non fu costruito sul posto, la società belga effettuò il lavoro in Inghilterra e trasferì i pezzi a Roma, dove fu assemblato. Questa cosa mi ha un po' amareggiato, mi ha fatto pensare alla situazione italiana di fine ottocento, subito dopo la sua unità. All'epoca i veri motori scientifici e tecnologici europei erano l'Inghilterra, la Francia, la Germania. Noi al limite avevamo lo Stato Pontificio che aveva sufficienti ricchezze per comprarle, queste tecnologie. E le cose purtroppo sono andate avanti così.

Mi torna in mente un testo letto un po' di tempo fa, che tenta di fare il punto della situazione culturale italiana, sotto il profilo scientifico e tecnologico, partendo proprio da questo periodo, o giù di lì. Un breve stralcio della prima pagina di questo testo recita così: "Tutti sapevano [in Italia], in quel finire di secolo, che le grandi nazioni europee stavano potenziando le strutture materiali della ricerca e incentivando le risorse umane da inserirvi. Ma si credeva, anche, che l'Italia se ne sarebbe poi avvantaggiata, facendo proprie le acquisizioni che inglesi o tedeschi avrebbero, a proprie spese, realizzato. Un errore classico. Ma tipico di una cultura arretrata e di una classe dirigente che di quella cultura era, nello stesso tempo, il risultato e lo specchio [...]".

Più avanti, arrivato a raccontare gli anni settanta (quelli che mi vedono crescere), riporta le parole pessimiste di Giuliano Toraldo Di Francia: "L'Italia è un paese in via di sottosviluppo. Siamo in una situazione tragica. [...] Vedo già l'Italia dipendere, nel campo del progresso scientifico, da ciò che avviene all'estero. Da noi si comprerà solo il prodotto finito". Osservando la situazione attuale non mi sembra che si sia sbagliato di molto.

Il Pontediferro, un'opera tecnologica comprata dai paesi che sapevano farla, ci ricorda le nostre origini.

[Le citazioni sono prese dal libro di Enrico Bellone "La scienza negata. Il caso italiano", Codice edizioni, 2005]