domenica 9 settembre 2018

La religione tra Pascal e Russel

Io credo che la maggior parte delle persone che si dicono più o meno credenti abbiano una religiosità conveniente e acritica. Conveniente come nella scommessa su Dio di Pascal. Acritica come nella Teiera di Russel.

La scommessa su Dio di Pascal

Pascal negò che possiamo sapere con certezza che Dio esiste o no (posizione agnostica). Tale constatazione però non ci conduce su una posizione di agnosticismo permanente perché noi dovremmo scommettere su Dio. In questa situazione (di inconoscibilità) la scelta a favore di Dio è la più ragionevole. Se vinciamo la scommessa vinciamo tutto, se perdiamo, non perdiamo niente.

In questo ragionamento a dir la verità ci sono almeno due punti deboli. Se il Dio è quello cristiano (Pascal si riferiva a quello) c'è un prezzo da pagare su questa scommessa, che è quello di tener fede ad un preciso comportamento morale. Ma questo, nella nostra ormai libera e un po' sportiva interpretazione del cristianesimo, si traduce in una serie di principi piuttosto facili da rispettare e perfino condivisibili anche da molti non credenti. Un po' più problematica è la questione del pluralismo religioso, Su chi scommettiamo? La scommessa non è più così conveniente. Anche in questo caso però si può cercare di uscirne fuori il più decentemente possibile assumendo più o meno implicitamente la nostra religione come quella vera (?) o, ancora peggio, facendo un mezzo pastrocchio con le altre religioni (in fondo sono tutte uguali, Dio è uno, le religioni sono interpretazioni di una stessa verità. Si, ma quale?)

La teiera di Russel

Se io sostenessi che tra la terra e marte ci fosse una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al sole su un'orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi purché io avessi la cura di aggiungere che la teiera è troppo piccola per essere rivelata persino dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io dicessi che, giacché la mia asserzione non può essere smentita, dubitarne sarebbe un'intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si penserebbe giustamente che stia dicendo fesserie. Se però l'esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità e instillata nelle menti dei bambini a scuola, l'esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all'attenzione dello psichiatra in età illuminata o dell'inquisizione in un tempo antecedente.

Non sembrerebbe ma è piuttosto facile portarsi appresso per un'intera vita un pensiero acritico, appreso in tenera età, ereditato dalle generazioni precedenti quasi come un fattore biologico, sclerotizzato in secoli di storia culturale tanto da sembrare naturale e scontato come mangiare una mela.

sabato 1 settembre 2018

Il catechismo nei miei ricordi

Io me lo ricordo bene il catechismo, in chiesa per la preparazione alla prima comunione e alla cresima, a scuola durante l'ora di religione (era un catechismo anche quello, almeno fino a che abbiamo deciso di seguirlo). E ricordo bene il suo doppio aspetto, confortante e insoddisfacente al tempo stesso. E' stato un denominatore comune di tutta l'educazione cattolica ricevuta in quegli anni.

Il conforto dell'esistenza di un dio giusto e di un'esistenza infinita non gratuita ma legata al rigore morale del proprio vivere quotidiano era il messaggio centrale, che però eludeva sistematicamente la problematicità dell'idea di Dio, del perché per esempio quel dio e non un altro, visto che ce ne sono e ce ne sono stati tanti altri (una cosa forse banale? Non credo proprio). Come se quel problema dovesse essere di fatto solo un problema tuo. O non dovesse essere affatto un problema.

Forse la cosa per me più sconcertante, soprattutto da un certo punto in poi, era che in tutte le discussioni religiose l'esistenza del dio cristiano, con quasi tutte le caratteristiche che le scritture bibliche gli conferivano (almeno quelle evangeliche), era semplicemente data per scontata, quasi un  punto di partenza. Il problema di cui parlavo prima era in pratica già risolto (sono arrivato tardi nella discussione?).

Il catechismo era in pratica un racconto già fatto da qualcun altro, non riusciva quasi mai a discostarsi da questo atteggiamento. Gli insegnamenti morali che ne derivavano poggiavano su una verità non discussa e probabilmente non discutibile (una verità rivelata, come dicono i cattolici). Era un catechismo di risposte, un po' come la FAQ del compendio formulato qualche anno fa dalla CEI al tempo di Ratzinger.

Non che un cattolico non debba avere dubbi o non debba avere una sua dimensione di ricerca (immagino) ma a me proprio questa dimensione è sempre apparsa essenzialmente ipocrita in quanto convogliata quasi inavvertitamente su binari noti. Faccio fatica a comprendere una sincera ricerca personale di Dio (qualunque cosa voglia dire questo) quando hai un contorno predefinito così ricco, ben delineato e in gran parte ingiustificato (testi sacri, santi, dogmi, misteri codificati, ecc.). Secondo me un qualsiasi percorso spirituale personale dovrebbe anzitutto liberarsi da tutto questo pesante contorno di storia e di tradizione e procedere il più liberamente possibile, forse senza neanche più tornare indietro.

Le sovrastrutture del cattolicesimo sono così pesanti che l'ipocrisia nei loro confronti diventa la normalità. In questo senso l'episodio peggiore vissuto è stato quel blando catechismo imposto per il matrimonio. Sapere di dover parlare di certe cose in un certo modo, vedere le persone che fanno solo si con la testa, intuire che i problemi veri del matrimonio erano tutti ben lontani da quelle assemblee parrocchiali pomeridiane, è stata un'esperienza di frustrazione che non mi consentiva di concedere oltre a questa pseudo-religiosità.

Alla fine, per questi motivi, con il passare del tempo, l'unico pensiero sincero sopravvissuto è quello di una religione istituzionale che svolge diligentemente il suo millenario compito di strumento di potere, di controllo sociale, peraltro con un'efficacia probabilmente mai eguagliata nella storia. Il conforto dell'idea di una vita ultraterrena riscattata con un comportamento "appropriato" durante quella terrena, e una sostanziale rassegnazione alle ingiustizie del mondo ("i poveri ci stanno, dobbiamo pensare anche a loro ogni tanto", "io sono povero, il Signore per me questo ha voluto, imperscrutabili sono le sue ragioni, sia fatta la sua volontà") sono i suoi ingredienti principali.

Una volta lessi la seguente frase: "quando affermate di possedere la verità (la giusta interpretazione di qualcosa) state cercando di ottenere potere e controllo sugli altri".