giovedì 29 aprile 2010

Metapost

Questo è il centesimo post di questo blog. Cento post scritti nell'arco di due anni esatti.

Perchè scrivo?

Qualche ragione c'è:

1. Scrivere è un esercizio utile. Mentre lo fai ti accorgi che c'è un'interazione continua tra la forma e il contenuto, sei preoccupato di scrivere correttamente il tuo pensiero e questo ti obbliga automaticamente a rielaborarlo. Mentre scrivi pensi. Ecco, nei casi migliori la scrittura è una forma di pensiero.

2. E' insolito e divertente pensare che quello che scrivi viene pubblicato sulla rete Internet, almeno per uno come me che non c'è nato con questi strumenti. La pubblicazione su Internet ha un aspetto affascinante: non sai chi ti legge, ragionevolmente pochissimi ma potenzialmente tutti, almeno tutti quelli che conoscono la tua lingua. La tua paginetta è buttata lì e chiunque, vagabondando sulla rete, magari alla ricerca di qualche argomento specifico, ci si può imbattere, prima o poi. L'espressione "prima o poi" è estremamente significativa, dal momento che il tuo scritto può avere potenzialmente una vita lunghissima.

3. Mio padre e il mio nonno paterno li ho conosciuti appena. Un po' di più il nonno materno, con cui da ragazzo ho fatto lunghe chiacchierate. Altri parenti mi sono stati raccontati. Racconti sporadici, tutti affidati alla memoria imprecisa di piccoli episodi, frammentati, magari anche distorti (come è tipico delle ricostruzioni mnemoniche). Ho avuto più volte la sensazione che mi sarebbe piaciuto capire meglio la vita e il pensiero delle persone della mia famiglia (o vicine alla mia famiglia). Non mi interesserebbero tanto gli aneddoti o gli episodi di cronaca vissuti da queste persone, che pure possono essere divertenti, ma proprio come la pensavano, che passioni coltivavano, che conoscenze avevano. Peccato che nessuno ha lasciato scritto nulla, o almeno non mi risulta. Io per il momento 100 post li ho scritti ...

martedì 20 aprile 2010

Considerazioni su libertà e potere

Il potere in generale è sempre interessato a limitare la libertà, in quanto così elimina il dissenso, o l'espressione di esso. La cosa funziona quando alcuni si accorgono della limitazione ma la trovano conveniente per loro, molti se ne accorgono ma oggettivamente non possono farci molto, molti non si accorgono o non si vogliono accorgere di fatto della limitazione. Gli ultimi in genere dovranno essere la maggioranza. Le limitazioni delle libertà devono passare lisce e non esser percepite come tali da più persone possibili.

Il governo italiano ultimamente ha fatto in modo che fossero censurate le principali trasmissioni di dibattito politico presenti alla televisione di stato, nel periodo pre-elettorale, interpretando a suo modo una brutta legge che dovrebbe disciplinare la presenza televisiva dei partiti proprio in questo periodo. Bruno Vespa, uno dei censurati, in una sua dichiarazione ha attribuito una parte della responsabilità al comportamento a suo dire eccessivamente fazioso di un suo collega, un altro dei censurati, Michele Santoro. In pratica ha lasciato intendere che alcuni censurati hanno deliberatamente provocato il comportamento censorio, nel senso che se la sono cercata. Lo stesso schema di ragionamento che porta a dire che le signore con le gonne corte si vanno a cercare lo stupro. O a Bruno Vespa è scappata una stupidaggine oppure gli convenive dire quello che ha detto.

In Cina Google decide di redirigere le richieste al suo motore verso i server di Hong-Kong, totalmente liberi dai filtri della censura richiesta ormai da anni dal governo cinese. Quest'ultimo decide di bloccare l'instradamento verso Hong-Kong. Ai nostri occhi l'operazione del governo cinese è una vera e propria censura dell'informazione a danno dei suoi cittadini. L'oscuramento dell'informazione è funzionale al governo in quanto tende ad eliminare tutte le voci di dissenso e a rendere così normale e inavitabile la sua esistenza (mancando le alternative). Ma la mia curiosità è: come appaiono queste operazioni alla maggioranza dei cittadini cinesi? O meglio, quanti di loro hanno la percezione della gravità di una censura simile? E quanti pensano che si tratti effettivamente di una censura ai loro danni? Probabilmente molti di loro ribaltano il discorso e vedono Google forse come il gigante industriale americano che con la sua potenza vuole invadere e condizionare la Cina per poi fagocitarla e considerano dunque legittima l'azione del governo, anzi la vedono come una forma di protezione, di difesa nei confronti di un pericoloso avversario per il paese. Non so se effettivamente può essere vista così la questione, ma mi sembra plausibile. In fondo la Cina vive una grande crescita economica e una buona parte della popolazione cinese sta prosperando sotto l'attuale governo.

Fatte ovviamente le debite proporzioni trovo che ci siano delle analogie con la censura che è stata operata in Italia ai danni di alcune trasmissioni giornalistiche televisive, e dunque di tutti i cittadini. Il motivo rimane sempre quello di voler eliminare (o ridurre al minimo) le voci di dissenso al governo attuale specialmente nella fase molto delicata che precede le elezioni. Non far neppure immaginare possibili alternative (magari migliori) all'esistente. Anche in questo caso credo che in molti cittadini si sia creata l'idea (sostenuta anche da alcuni media) che il governo si difende, e ci difende, dagli attacchi violenti di avversari politici improponibili. Probabilmente anche in questo caso molti cittadini pensano di voler difendere il proprio tenore di vita, ancora in buona parte accettabile.

Tutto ciò fa vedere di nuovo come la democrazia sia un valore per molti versi astratto, sostituito volentieri da convenienze, non percepito, sacrificato per fini pratici e contingenti. Si sa che un indicatore molto importante di democrazia (che ne sostiene il valore) è proprio il trattamento del dissenso, poichè è l'elemento che agisce da controaltare al potere. In un regime non democratico il dissenso è sempre soppresso in forme più o meno violente. In democrazia il dissenso è sempre un valore (una libertà) da difendere.

martedì 6 aprile 2010

Generazione persa

Ho sentito dire che la nostra è una generazione persa. Se il senso è che la nostra generazione avrebbe dovuto cambiare qualcosa o assistere a qualche cambiamento significativo della società, forse la frase ha una sua verità. Non mi pare che in Italia nel corso della mia vita sia cambiato alla fine granchè. Forse qualcosa è anche peggiorato.

Abbiamo la stessa scuola insufficiente, senza soldi, senza mezzi, e senza nessuno che se ne preoccupi veramente. Gli stessi insegnanti, in parte incapaci, in parte frustrati e comunque sempre mal considerati. L'Università con grosso modo gli stessi problemi, con gli stessi baroni e gli stessi nepotismi. La ricerca sempre fanalino di coda rispetto all'Europa e a tutto il mondo occidentale. I soliti talenti che se ne vanno all'estero (e quelli che rimangono, per quanto bravi, vivacchiano, e alcuni si giocano il Nobel).
Abbiamo un mondo del lavoro, quello si, peggiorato, che non è più in grado di garantire contratti decenti, dove paradossalmente il pubblico impiego è diventato la meta ambita da tutti (in sintesi l'idea è sempre la stessa: "guadagnerai poco, ma è pur vero che non fai niente, o molto poco, e non ti toglie dal posto nessuno, manco le catastrofi naturali", idea molto nobile e feconda, non c'è che dire).
Abbiamo la solita classe dirigente, con un grado di corruzione inaccettabile (e forse anche questo aspetto è addirittura peggiorato). Capitalisti che si arricchiscono a dismisura senza produrre nulla di nulla, che chiudono le aziende e scappano coi soldi, e se non le chiudono le indebitano pesantemente e poi le fanno risanare da interventi statali.
Abbiamo la solita classe politica che ogni giorno ci fa schifare la Politica. I soliti governanti paraculi, attaccati alle poltrone e al potere, totalmente privi di visioni politiche se non quelle che servono per le prossime elezioni, compromessi con i soliti poteri criminali. Politici senza quel livello minimo di integrità morale che ti consenta di ascoltarli senza mandarli subito affanculo.
Abbiamo il solito problema del sud del paese (che adesso si è pure allargato al sud del mondo), con le solite mafie sempre più presenti, sempre più potenti, e neanche più confinate al sud.
Abbiamo la solita sinistra inutile, che non serve a niente, che ragiona bene solo se non conta nulla, altrimenti si destabilizza, non prende uno straccio di decisione e si suicida da sola.
Abbiamo la solita destra da quattro soldi che non riesce a fare di meglio che accodarsi sempre a qualche deus ex-machina, a qualche "risolutore di problemi" populista e paraculo.
Abbiamo la solita chiesa cattolica, con le ipocrisie di sempre, utili al suo potere e deleterie per tutto il resto. Che tartassa e condiziona la vita civile con le inutilità di sempre (e sempre prontamente considerate dalla bassa politica), temi spesso inconsistenti quanto dannosi.

Ma soprattutto siamo noi gli stessi di sempre, gli stessi dei nostri padri se non peggio. Siamo gli stessi furbi, gli stessi evasori fiscali, gli stessi raccomandati, gli stessi ignoranti (sprezzanti della cultura e della conoscenza), gli stessi incivili, gli stessi rintronati davanti alla televisione, davanti alle partite di calcio. Siamo gli stessi ammiratori dei più grandi paraculi, di chi sa come non rispettare le regole, gli stessi bigotti senza valori, neanche quelli cristiani, gli stessi ipocriti e benpensanti, buoni per fare salotto discutendo delle solite quattro stronzate. Siamo gli stessi elettori di sempre, che non cambiano mai idea, gli stessi qualunquisti, gli stessi individualisti che si fanno i cazzetti propri (al massimo con la propria famigliola) e se ne fregano di tutto e di tutti, che non hanno e non provano neanche ad avere una qualche visione della società o del futuro, al massimo riescono a vedere fino alle prossime vacanze.

Siamo da sempre gli stessi. E forse sempre peggio. Forse più piatti e inerti di prima, con sempre meno esigenze che non siano quelle del più scemo consumismo: il telefonino (con il touch screen, possibilmente), il televisore LCD (almeno 40 pollici, magari con l'home theatre), la playstation (ovviamente crackata, con tutti i giochi possibili e immaginabili, ben più di quanto ci servirebbe per giocare), la TV satellitare per le partite di calcio, le vacanze alle Maldive, la macchina con i sensori per il parcheggio, il vestito da sposa da 5000 euro (almeno).
Esigenze poco più che corporali.

E i nostri figli vivono con noi.

giovedì 1 aprile 2010

Le quattro stagioni

I quattro concerti denominati "Le quattro stagioni" (1725) di Antonio Vivaldi (1678-1741) sono un lavoro famosissimo, anche se con un destino un po' strano (è stato riscoperto solo ai primi del novecento, come tutta la produzione di Vivaldi). Le cose famosissime hanno sempre un peso culturale eccessivo, sono ingombranti, è quasi un dovere conoscerle. Questo in genere è sufficiente per evitarle accuratamente. Almeno credo che per molti funzioni così. In fondo non è strano. Molte persone istintivamente cercano di non farsi sopraffare dalla "Grande Cultura", quella che "non si può non conoscere", quella che "non si può non amare", e via di questo passo. E' sicuramente meglio seguire la propria sensibilità, la propria curiosità, senza preoccuparsi troppo. Altrimenti si rischia il conformismo.

Quindi risulta sempre difficile parlare di questi quattro concerti senza apparire un barboso. Però è un peccato. Io li conosco da quando avevo 9-10 anni e sono parte integrante della mia cultura musicale. Me li hanno fatti sentire per la prima volta a scuola (le elementari) e non mi sono mai apparsi come una cosa pesante, chissà perchè. Mi piace pensare che in quel caso il maestro che ce li ha proposti è stato bravo.

Quindi voglio esagerare: io trovo questi concerti rappresentativi della straordinaria capacità di invenzione dell'uomo in musica. Si tratta di un capolavoro assoluto. Io li spedirei nello spazio per far capire ad un' eventuale civiltà extraterrestre il livello di ingegno raggiunto dall'uomo nella sua storia, almeno in campo musicale (lo dicevo che avrei esagerato).

Per di più appartengono ad una raccolta di concerti il cui titolo ha un fascino e un significato particolari: "Il cimento dell'armonia e dell'invenzione", ovvero l'equilibrio di due opposti, la regola (il canone) e la capacità di superarla, di pensare oltre. Una dinamica tipica di molte grandi opere d'arte.