giovedì 13 luglio 2017

Paolo Villaggio

All'indomani della morte di Paolo Villaggio quello che mi ha colpito è stato il tono di alcune dichiarazioni estemporanee di persone che lo hanno conosciuto e frequentato personalmente. Mi riferisco ad esempio ai suoi due figli. Nessuno dei due riusciva a fare una dichiarazione di grande affetto come forse ci si aspetterebbe in questi casi. Piuttosto, anche in una circostanza del genere, senza l'ipocrisia che forse il momento poteva giustificare, parlavano del padre come di una persona difficile nei rapporti famigliari, prevalentemente assente, su cui loro in un certo senso sospendevano il giudizio e su cui era difficile avere una parola di sincero affetto.

Mi ha colpito anche una dichiarazione di Anna Mazzamauro, che apertamente sosteneva di non voler essere ipocrita e di non voler parlare, come si fa sempre in questi casi, di una persona buona, dalle grandi qualità umane, perchè semplicemente non era così. E raccontava di come lui un giorno, intervistato in sua presenza, alla domanda del giornalista sul perchè avesse scelto la Mazzamauro per la parte della famosa signorina Silvani rispondeva seriamente "mi serviva un cesso". Lei non lo raccontava come un episodio particolarmente simpatico.

Insomma ho avuto la netta sensazione che Paolo Villaggio nella vita privata fosse stata una di quelle persone che uno definirebbe senza troppi convenevoli "uno stronzo". Mi sbaglierò ma questo mi ha fatto subito pensare al suo personaggio principale, il ragionier Ugo Fantozzi, e alla spietatezza con cui il suo autore lo trattava (insieme a tutti i suoi personaggi di contorno). Ho sempre pensato che Paolo Villaggio trattasse il suo Fantozzi come farebbe uno stronzo. Quindi le dichiarazioni che ho riportato sopra alla fine non mi hanno sorpreso, anzi, mi quadrano. Solo uno stronzo naturale può esserlo così bene anche con i personaggi del suo immaginario.

Devo dire però che questa è stata anche la fortuna della saga sia letteraria che cinematografica di Fantozzi. Senza questo trattamento spietato non avrebbe avuto senso raccontare le sue storie grottesche. L'iperbole non doveva avere indugi o ammorbidimenti. Anche la satira sociale, vera chiave della comicità del personaggio, non sarebbe stata così potente.

Di Fantozzi la cosa più divertente e al contempo fastidiosa perchè profonda e terribilmente vicina a noi è il suo sforzo costante e disperato di voler essere un piccolo borghese senza mai veramente riuscirci. Lui ha come modello una società di merda, e la volontà di volerne far parte a tutti i costi genera la maggior parte delle situazioni più esilaranti. L'iperbole sta nel fatto che lui non è solo un perdente frustrato, ma che lo è in una società odiosa, senza valori, scialba, senza cultura, senza morale. Si muove in un orizzonte di meschinità assoluta, che pure è la sua massima aspirazione. Un personaggio totalmente negativo, che solo uno stronzo poteva immaginare.

In una sua vecchia dichiarazione riportata in questi giorni, Paolo Villaggio sosteneva che la sua fortuna come persona era stata direttamente proporzionale alla sfortuna di Fantozzi come personaggio.

Fantozzi si è finalmente liberato dell'origine di tutte le sue sventure.

venerdì 7 luglio 2017

Artifici retorici

Questa mattina alla radio si parlava di ius soli, ovvero di quel provvedimento in discussione al parlamento che in pratica consentirebbe alle seconde generazioni di immigrati di avere abbastanza facilmente la cittadinanza italiana. Il giornalista che commentava la notizia si dichiarava sostanzialmente d'accordo sul principio generale della legge, dopo aver fatto comunque una serie di premesse: dieci anni di permanenza della famiglia, lavoro regolare, conoscenza della lingua italiana, rispetto della cultura e dei costumi italiani (?), ecc.

Quello che mi ha colpito è che alla fine di queste considerazioni più o meno ragionevoli il giornalista chiudeva dicendo che comunque non considerava urgente questo problema e che la vera questione da affrontare era quella dei tanti italiani che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena. In sostanza diceva in modo pacato e apparentemente razionale, come se fosse il risultato di una profonda riflessione, le stesse assurdità che ripete Salvini da tempo. Tocca sentire sempre le stesse cose.

Questi artifici retorici servono principalmente a derubricare un grosso problema, quello di come gestire l'immigrazione dai paesi del terzo mondo, contrapponendolo ad un altro grosso problema, quello del lavoro in Italia, certamente molto sentito dai cittadini, ma che col primo ha ben poco a che fare. E' evidente che la strategia di contrapporre sempre in un modo o nell'altro questi due problemi non contribuisce affatto a risolverli, anzi, li strumentalizza entrambi in modo intollerabile per un cittadino che li percepisca come importanti. Come si fa a cadere vittime di queste strumentalizzazioni? E me lo chiedo sia per il giornalista che le usa che per l'ascoltatore che le condivide.