martedì 27 luglio 2021

Distribuzione di ricchezze e di uomini

Il problema della distribuzione delle ricchezze è in qualche misura collegato alla distribuzione delle persone sul suolo terrestre. L'attuale concentrazione delle ricchezze ha chiaramente una caratterizzazione geografica. La mappa mondiale dei servizi di accesso alla rete Internet ne è un esempio. La Terra è divisa in territori e società ricche contro territori e società povere. Per di più storicamente, e anche attualmente, lo sfruttamento dei primi sui secondi ha costituito e costituisce il motore principale che alimenta questo squilibrio.

La situazione in cui ci troviamo sta generando due conseguenze macroscopiche diverse: la prima è un progressivo calo demografico mondiale concentrato nelle società ricche. In genere questo calo si tende a correlarlo con il grado di istruzione diffuso, l'emancipazione femminile, la diffusione dei contraccettivi, le capacità di scelta raggiunte dai singoli individui (in particolare dalle donne). Questo fenomeno è ulteriormente aggravato in tutti quei paesi che non hanno sviluppato adeguate infrastrutture di sostegno alla famiglia, come succede per l'Italia. Le conseguenze sono un progressivo invecchiamento della popolazione, una diminuzione di leve produttive, difficoltà nel sostenere i sistemi pensionistici, ecc.

La seconda conseguenza è un complesso fenomeno di flussi migratori dai territori poveri a quelli ricchi. L'irreversibilità di questo fenomeno è ben evidente, così come l'impossibilità di ridurlo drasticamente in tempi brevi. Molti territori poveri sono ormai teatri di guerre, guerriglie, scorribande di terroristi, governati da oligarchie che tolgono alla popolazione quelle poche ricchezze disponibili. La gravità di queste situazioni, sebbene se ne ignorino forse molti dettagli, si intuiscono nell'osservare le condizioni particolarmente rischiose (per noi inconcepibili) a cui si espongono moltissimi migranti per poter uscire dal loro inferno. Assistiamo a scene drammatiche che parlano da sole, e ci raccontano la gravità della situazione.

Ma tralasciando tutta l'ipocrisia dello slogan "aiutiamoli a casa loro" (senza mai aprire un vero dibattito su come farlo, senza mai ammettere che fino a che non si interrompe la logica di sfruttamento che questo problema lo ha generato non si può certo pensare di risolvere alcunchè, senza poi valutare l'impatto sulle nostre società ricche che l'interruzione di questa logica di sfruttamento determinerebbe) è possibile pensare ad una qualche "compensazione" di questi due fenomeni inarrestabili? E' un pensiero così scemo? Certamente sarebbe molto difficile gestire questa compensazione, soprattutto perchè una condizione necessaria sarebbe quella di vedere il problema a livello internazionale, di tutta la società occidentale ricca (almeno a livello dell'Europa). Ma esiste una soluzione diversa? 

domenica 18 luglio 2021

Somme di numeri e riporti

Uno dei primi algoritmi che si imparano a scuola è quello della somma di due numeri. Poichè ai miei tempi esistevano già le calcolatrici tascabili queste operazioni fatte e ripetute tante volte sul quaderno potevano risultare inutili, sia a noi studenti che ai genitori che ci seguivano. Ricordo benissimo le critiche che i genitori si permettevano di fare agli insegnanti circa la loro insistenza nel farci fare questi esercizi, ritenuti appunto inutili. In particolare la polemica si innescava quando questi algoritmi di calcolo si complicavano, ad esempio quando si arrivava alle divisioni con un dividendo a più cifre. Qui infatti scattava il senso protettivo dei genitori verso i propri figli.

Queste critiche mi sono sempre sembrate (anche allora) del tutto infondate, perché basate sulla solita osservazione insensata che "i ragazzi devono studiare le cose utili", trascurando del tutto di analizzare con un minimo di intelligenza il senso del termine "utilità". D'altra parte però da un certo punto in poi ho cominciato a pensare che quegli esercizi un po' noiosi potevano essere già in quel momento associati in modo istruttivo al concetto di algoritmo e alla sua realizzazione pratica, così importante e così "utile" al giorno d'oggi. Forse a quell'età è un po' presto per analizzare a fondo un concetto del genere, ma è certamente possibile trovare almeno il modo di metterlo in evidenza. E vista la sua natura così importante e sfuggente al tempo stesso, credo sia utile farlo emergere il prima possibile. Gli algoritmi nel nostro mondo sono onnipresenti ma invisibili, si rischia di non afferrarne mai l'importanza, anche nell'età adulta. Una lacuna culturale di una certa gravità.

Ad esempio ci si può aiutare a fare le somme cercando di tradurre l'algoritmo in una qualche procedura meccanica che lo esegua automaticamente, con il nostro intervento ridotto al minimo. In fondo la storia dell'informatica può essere raccontata così (in estrema sintesi). Il primo oggetto che viene in mente è l'abaco. La sua funzione principale è quella di trasformare il calcolo in un semplice spostamento di palline e la sua efficacia si poggia essenzialmente sull'uso del sistema di numerazione posizionale. Con opportuno allenamento e pratica quotidiana l'uso di questo strumento rende le operazioni sui numeri relativamente veloci. E' il motivo per cui nella storia è sopravvissuto tanto (anche perché per molto tempo non c'è stato niente di meglio a disposizione).

Ma l'abaco ha un problema che ne rende complicato l'utilizzo, si deve tener conto dei riporti. E' esattamente lo stesso problema principale che si incontra nell'algoritmo "carta e penna" che viene insegnato a scuola. Ed è il problema che si cerca di risolvere attraverso l'uso concatenato di ingranaggi nelle macchine calcolatrici introdotte dalla prima metà del seicento in poi, di cui la famosa "pascalina" ne è il prototipo. Un collegamento meccanico tra le ruote numerate fa sì che la completa rivoluzione di una ruota provochi l'avanzamento di una unità da parte di quella immediatamente alla sua sinistra, automatizzando quindi il riporto. In tal modo l'unica cosa che deve fare l'utilizzatore è impostare gli addendi della somma e affidare l'esecuzione del conto al meccanismo.

Dalle calcolatrici meccaniche ad oggi di miglioramenti ne sono stati fatti, soprattutto sul lato dell'interfaccia uomo-macchina, cioè della facilità dell'utente di impostare la somma, e ovviamente nella velocità e affidabilità dell'operazione eseguita dal dispositivo di calcolo, ad oggi realizzato con componenti elettronici a stato solido. Tra la pascalina e il computer c'è tutta la conoscenza della struttura della materia sviluppata principalmente nel ventesimo secolo. Ma anche nel caso dei dispositivi moderni rimane ovviamente il problema della gestione del riporto, basta guardare la realizzazione di una somma binaria, composta da una funzione XOR (e dal circuito logico corrispondente) e completata in parallelo da una funzione AND (e anch'essa dal circuito logico corrispondente) che calcola appunto il riporto dell'operazione.

In qualche momento della nostra istruzione secondo me sarebbe utile comunicare con argomentazioni ed esempi che non solo la somma è concettualmente un'operazione importante ma lo è anche la sua realizzazione pratica, l'algoritmo che ne descrive la procedura di calcolo (il software) e il dispositivo fisico che la esegue (l'hardware).

domenica 4 luglio 2021

Preferisco il gatto

Il cosiddetto amore per gli animali non può essere un sentimento universale su cui costruire una mentalità ecologista. Così come non può esserlo l'amore per l'umanità (per tutti gli uomini). In generale è proprio il sentimento di amore a non avere mai un carattere di universalità. L'amore è un sentimento che si rivolge a degli individui specifici, persone o animali che siano, non ha molta importanza . Si amano alcune persone, non l'umanità. Si amano alcuni animali, non tutti gli animali. Chiunque nutre sentimenti di amore per una ristrettissima cerchia di individui con cui condivide una parte della sua esistenza.

Un sentimento che trovo ben più universale e utile alla società è quello del rispetto per qualunque individuo e in generale per qualunque forma di vita (in varia misura e con ovvie priorità). Un sentimento ben più concreto e ben più ecologista, che ha un senso, anche se declinato necessariamente in modi diversi, sia per l'individuo (della tua stessa specie o di specie diversa) che ti vive accanto, sia per l'individuo mai incontrato o che non avrai mai la possibilità di incontrare, con cui non avrai mai la possibilità di convivere, ma semplicemente di coabitare.

Il cane e il gatto sono i due più importanti animali domestici che convivono con l'uomo. Entrambi sono individui che possono essere amati. In fin dei conti non ce ne sono molti di più che possano essere amati in senso proprio dall'uomo. A parte qualche eccezione (effettivamente ce ne sono) è solo con loro che il livello stretto di convivenza consente di poter far parlare di un rapporto affettivo vero e proprio. Tra i due però credo che il rapporto con il gatto educhi di più al senso del rispetto, e per questo lo preferisco. L'indipendenza del felino, il suo mai del tutto sopito istinto di predatore, il suo bisogno di trovare sempre spazi personali, sottraggono al "padrone" (è anche più difficile usare questo termine con i gatti) quel rapporto di potere (appunto di tipo padrone-gregario) che si nota spesso con i cani, basta pensare al guinzaglio. E' forse una conseguenza della storia evolutiva del nostro rapporto con il cane, costruito nei millenni per avere un fedele compagno di lavoro. La mia sensazione è che il rapporto con il gatto sia più caratterizzato dal bisogno di rispettarlo e meno di possederlo e gestirlo in tutti i suoi comportamenti. E' basato un po' di più sull'accettazione dell'imprevedibilità dei suoi comportamenti.

Il discorso ha dei limiti precisi, vista la necessità quasi obbligata di castrarlo al fine di confinarlo nel suo spettro dei comportamenti che farebbero certo parte della sua natura ma che risulterebbero troppo poco controllabili.

Tanti anni fa abbiamo avuto in famiglia un gatto. Ricordo proprio questo senso di coabitazione e di rispetto reciproco. Conviveva con noi facendo più o meno cio' che voleva, si allontanava e tornava più o meno quando voleva, seguendo i suoi istinti. Non era castrato e visse con noi ben poco. Probabilmente pagò questa sua indipendenza. Era libero.

NOTA: Che poi il cane in un certo senso è un animale in pensione. Per migliaia di anni ci ha aiutati nella pastorizia, nella caccia, nella difesa delle nostre proprietà, ma adesso tutto questo non ci serve più e il cane si è trasformato sostanzialmente in un animale da compagnia pur rimanendo con quegli istinti che noi abbiamo per tanto tempo utilizzato e contribuito a sviluppare. Ora ci ritroviamo con animali che hanno bisogno a buon diritto di esercitare questi istinti che non solo ci sono inutili ma che spesso ci risultano pure un po' scomodi, ci provocano una serie di possibili disagi e piccole difficoltà (muoversi e correre su ampi spazi, forte territorialità, aggressività innata verso estranei, ecc.), tanto è vero che è nata l'esigenza, almeno per alcuni di essi, di essere "educati" da specialisti. Poi per il resto (come d'altra parte i gatti) sono diventati anche loro dei forti consumatori della nostra sempre più ampia offerta di merci. Dei target di mercato, come noi.