sabato 22 gennaio 2022

A che servono le divisioni?

Il tweet di una parlamentare europea di orientamento NoVax recita così: «Ieri, 18/01/2022, con quasi il 90% di italiani inoculati: 228.123 contagi, 434 morti. Un anno fa, 18/01/2021, senza Pfizer, Moderna, ecc.: 8.824 contagi, 377 morti. Fine della favola "grazie al vaccino abbiamo ridotto i morti..."».

Non è neanche il primo messaggio di questo tipo che leggo. I dati numerici "secchi", nelle intenzioni della parlamentare, dovrebbero far vedere chiaramente l'inefficacia dei vaccini, a distanza di un anno, nel contenere il numero dei morti. L'errore che fa in questa valutazione è drammatico perché considera solo i numeri assoluti. Non si sogna neppure di valutare la percentuale dei morti rispetto alla diffusione del vaccino misurata dal numero dei contagiati, che dà una ben altra informazione, l'esatto opposto di quello che vorrebbe denunciare. Per far questo dovrebbe fare una divisione ...

Questo episodio mi fa tornare in mente una frase semplice e illuminante del premio Nobel Giorgio Parisi, letta o ascoltata non ricordo bene dove, in un contesto in cui voleva criticare la formazione scientifica impartita nella scuola secondaria italiana. «La scuola insegna alle persone COME si fanno le divisioni ma non PERCHE' si devono fare». E' assurdo insegnare una competenza come quella di saper fare le divisioni se poi non la si inserisce mai in un contesto pratico quale che sia. Saper fare senza sapere in che contesto è utile farlo non è una forma di conoscenza. E' la differenza tra competenze e cultura, la differenza tra istruzione ed educazione. La cultura è la capacità di utilizzare gli strumenti, le nozioni, le informazioni, le competenze per costruire liberamente una propria visione del mondo in cui si vive. 

Questa pandemia ha messo in luce più volte due cose su cui riflettere. Una è l'incapacità di parecchie persone, spesso molto istruite e che occupano posti importanti di responsabilità, ad elaborare anche in modo elementare i dati numerici della pandemia. L'altra è l'importanza cruciale di riuscire a misurare nella maniera più efficacie possibile un fenomeno così complesso e di dimensioni così vaste, e capire che è anche l'unico modo per conoscerlo veramente, laddove al contrario nessun approccio qualitativo può veramente aiutarci.

 

martedì 11 gennaio 2022

La matrix dei cani

Ogni tanto ci si imbatte nella notizia di qualcuno che ha avuto la disavventura di essere sbranato da un branco di cani. La notizia in sé fa sempre impressione ma a me stimola una riflessione un po' fantasiosa.

E' abbastanza chiaro che negli ultimi anni (non solo per causa del covid) c'è stato un aumento dell'adozione di cani e di gatti. Lo si vede per strada, lo si deduce dalle tantissime pubblicità di prodotti per cani e gatti, dalla diffusione di negozi specializzati e dall'aumento delle dimensioni delle aree di cibo per cani nei supermercati. I social poi sono strapieni di foto, filmati e racconti su animali domestici. In un panorama del genere mi sembra del tutto ovvio che ci sia anche una certa percentuale di abbandono di cani. Il cane, molto più che il gatto, comporta un certo impegno, è un animale che ha bisogno di continue attenzioni da parte del suo padrone. Non tutti ci riescono.

Probabilmente però i cani abbandonati nelle campagne non rimangono a piangere e a sperare inutilmente il ritorno del loro padrone. Si arrangiano a vivere, come farebbe chiunque. Diventano randagi, e recuperano i loro istinti, tra cui anche quello di vivere in branco. Non hanno più nessuna dipendenza dall'uomo, e comportamenti aggressivi nei suoi confronti possono diventare del tutto naturali.

A me questa cosa fa venire in mente Matrix, il film. Noi uomini, nell'arco di una storia millenaria, abbiamo trasformato i lupi (una parte di essi) in animali utili ai nostri scopi. Nel fare questo li abbiamo costretti a vivere nel nostro mondo secondo le nostre esigenze, o meglio, abbiamo cancellato il loro mondo originario e gli abbiamo riservato un posto ben preciso nel nostro. Il loro mondo attuale è in un certo senso fittizio per loro, non è naturale, è del tutto artificiale. E lo abbiamo costruito noi. Da tempi remoti e da migliaia di generazioni i nostri cani campano in un mondo completamente organizzato da noi, in cui tra l'altro loro si trovano oggettivamente costretti e non sempre a loro agio, se li si guarda da fuori. Ma per loro probabilmente tutto questo non ha senso. Stanno dentro al mondo che gli abbiamo costruito senza conoscere altro, dal loro punto di vista non hanno scelta, e certamente non si pongono il problema.

Solo nel momento in cui qualcuno di noi, involontariamente, abbandonandolo a se stesso, gli fa mangiare la pillola rossa, il cane vede finalmente il suo vero mondo e torna ad essere quello che veramente è: un lupo.

NOTA: osservazione a margine sul concetto di evoluzione. Per costringere i nostri cani al nostro mondo per cui loro risultano inadatti dobbiamo "proteggerli". Mettere loro un guinzaglio, stare attenti a dove vanno, a che cosa mangiano, a chi incontrano quando passeggiamo con loro, ecc. Questo nostro atteggiamento ci potrebbe far pensare che noi dobbiamo proteggere i nostri animali domestici, pensare a loro, badare ai loro comportamenti, perchè in fondo siamo una specie superiore, in grado di stare meglio al mondo. Un pensiero ingenuo, e come al solito decisamente antropocentrico. E' sufficiente cambiare l'ambiente per rendersi conto dell'ingenuità. Se ne accorge chi incontra un branco di cani liberi nel bosco.


martedì 4 gennaio 2022

Tre cose che mi frullano in testa

E' da qualche giorno che mi girano in testa tre cose, provo a scriverle per liberarmene (è uno degli scopi di questo blog).

Prima cosa (guerre stellari)

Qualche giorno fa ho letto in un post una critica molto negativa al vecchio film Balle Spaziali, di Mel Brooks. L'oggetto del post era più generale ma a me ha colpito il punto in cui si criticava quel film, probabilmente perché è un film che io ricordo sempre con piacere. Le motivazioni di quella critica mi hanno indotto a ripensare al periodo in cui l'ho visto e molto apprezzato, cercando di capirne il perché.

Più o meno quando facevo le scuole medie ho visto il primo episodio di Guerre Stellari che per me è rimasto l'unico episodio per diversi anni, come ho già scritto in un altro post. Il resto della prima trilogia (uscita negli anni del mio liceo) non ricordo di averla vista, probabilmente per disinteresse. In età più adulta, direi verso i vent'anni e anche più tardi, ho cominciato ad incrociare gli appassionati della saga. Ricordo che non mi capacitavo di come si potesse ammirare così tanto Guerre Stellari, la cosa mi spiazzava. Io ricordavo un film per ragazzi, se non per bambini. Un grande film che deve piacere a chi ama la fantascienza? Era casomai una favola ambientata nello spazio anziché nel classico bosco incantato. I personaggi tradizionali c'erano tutti: la principessa (Leia), il principe (Han Solo), i folletti (R2-D2 e C-3PO), il destriero (Millennium Falcon), il mago (Obi Wan) e la pozione miracolosa (la "forza"), gli animali fantastici (Chewbecca) e il mostro cattivo (Darth Vader). I contenuti del film erano fortemente ironici, nel senso che l'aspetto del cattivo (tutto nero, il casco che nasconde il volto, il mantello, i guanti, la voce alterata), o anche quello della principessa (gli abiti da biancaneve, le acconciature assurde), e tutto il resto, era roba ridicola, abbastanza comica (involontariamente? Non direi). Non che tutto ciò debba rendere necessariamente brutto un film, anzi, ma questo contenuto di ironia che a me sembrava evidente non lo ritrovavo nei giudizi degli appassionati della saga, e questa cosa era piuttosto frustrante. 

Quando ho visto Balle Spaziali è stata una liberazione. L'ironia, secondo me già presente nel film Guerre Stellari, esplodeva in Balle Spaziali in caricature esilaranti. Casco Nero (l'equivalente di Darth Vader), alto poco più di un metro con un casco di dimensioni smisurate che entra in scena ansimando (come il personaggio originale) e alla fine apre la visiera sbottando: "qui non si respira!". La principessa con la sua acconciatura improponibile (come quella del film originale) che improvvisamente "si toglie le cuffie", rivelando il vero scopo dell'acconciatura. "Pizza margherita", la "velocità smodata", "lo sforzo", e una quantità di altre trovate caricaturali sottolineavano quanto di ironico già fosse presente nel film originale.

Mi rendo conto che una cosa del genere può far ridere oppure no, ma nel mio caso ha avuto la funzione di svelare e rivendicare la vera natura del film Guerre Stellari e che non mi sembrava di scorgere nei discorsi delle tante persone che amavano incondizionatamente la saga. Tra l'altro conosco persone che a tutt'oggi non hanno nessuna intenzione di vedere Balle Spaziali o lo disprezzano apertamente, e credo che il motivo per molti di loro sia che offenderebbe il loro senso del sacro, e tutto sommato non mi stupisce. Il film di Mel Brooks in effetti è dissacrante.

Per il resto, ho già parlato di Guerre Stellari qui e qui.

Seconda cosa (la complessità)

L'assegnazione del premio Nobel all'italiano Giorgio Parisi ha scatenato tutta una serie di inevitabili interventi a sproposito sulla sua attività di scienziato da parte di rappresentanti delle istituzioni che come al solito, per cultura, sono assolutamente estranee alla scienza. In particolare ci si è molto esercitati sull'uso della parola "complessità", che indubbiamente fa molto effetto, soprattutto in contesti pseudo-umanistici dove l'unica cosa che importa è il fascino delle parole, più che il loro esatto significato.

Mi domandavo se è possibile dare un po' più di corpo alla parola "complessità" senza necessariamente incastrarsi in discorsi troppo complessi :-)

Lo stesso Parisi ha fatto diversi tentativi, pur non essendo molto abile con la parola. In particolare ne riprendo uno, da lui appena accennato, che mi sembra contemporaneamente significativo e affascinante al punto giusto. Mi ha colpito e me lo scrivo, estendendolo a mio modo.

Immaginiamo un neurone. Si tratta di una cellula che già di per se è un oggetto estremamente complesso e difficile da descrivere in tutti i suoi dettagli. Ma ignoriamo i suoi meccanismi biochimici interni complicatissimi e concentriamoci solo sul suo comportamento esterno, ovvero su come un neurone interagisce con altri neuroni. Considerato in questo modo un singolo neurone diventa una unità molto più semplice da descrivere, al limite insignificante, ma è pur sempre una cellula del cervello. Da solo non produce nulla di particolarmente interessante (trasporta segnali elettrici, li riceve in input e li manda in output) ma quando si considerano 100 miliardi di neuroni (circa il numero presente in un cervello umano) in interazione tra loro (ogni neurone sviluppa in media 10 mila connessioni con gli altri neuroni vicini) allora otteniamo un comportamento emergente del sistema che possiamo chiamare intelligenza umana.

La complessità è l'emergere di un fenomeno macroscopico da un sistema costituito da un numero elevatissimo di semplici unità microscopiche in interazione tra loro. Il comportamento emergente può essere più o meno interessante ma sempre difficilmente deducibile dal comportamento spesso molto semplice delle singole parti di cui è composto. L'interazione tra queste parti gioca ovviamente un ruolo essenziale.

Un sistema complesso così descritto è schematizzabile e studiabile attraverso modelli teorici che, se ben posti e ben studiati, possono permettere di ricavare una descrizione soddisfacente di quei comportamenti collettivi macroscopici che possono caratterizzare il sistema. Inoltre sono molti i sistemi che possono essere pensati e studiati in questo modo, dando così a questo settore di studi una vastità e anche una trasversalità estremamente interessanti.

I modelli teorici che schematizzano un sistema complesso naturale nel tentativo di studiarlo e di dedurne i suoi comportamenti macroscopici sono anche utilizzabili in ambito tecnologico. Riprendendo in considerazione il cervello possiamo tentare di tradurre il comportamento di un singolo neurone in un preciso, anche se magari molto semplificato, sistema di calcolo. Facciamolo diventare cioè un oggetto matematico semplice, sostanzialmente una funzione che riceve in input dei segnali e manda in output dei segnali, seguendo regole molto semplici (un qualche algoritmo) che legano l'input all'output. Il neurone diventa una specifica unità di calcolo che posso mettere in interazione con altre per produrre uno schema complesso in grado di simulare, se siamo fortunati, qualche semplice funzione del cervello. Questo approccio che ho descritto in modo rozzo ha generato un vero e proprio campo di studi, sia scientifici che tecnologici. Scientifici (reti neurali) per cercare di comprendere meglio funzioni intellettive come ad esempio la memoria. Tecnologici (reti neurali artificiali) per cercare di creare modelli di calcolo in grado di esibire un qualche comportamento intelligente. Modelli del genere sono attualmente molto utilizzati nei campi dell' AI (Artificial Intelligence), del Machine Learning e del Deep Learning.

Terza cosa (JWST)

Forse sono un po' troppo sensibile a certi argomenti ma ho trovato insufficiente l'importanza data dai mezzi di informazione all'avvio del progetto JWST, James Webb Space Telescope. C'è sempre qualche eccezione confortante ma nel complesso ho trovato i media ben poco attenti all'evento.

Questa carenza che un po' mi disturba mi ha fatto pensare (chissà perché proprio a quello) agli infiniti pipponi che mi è capitato di subire in vari contesti (scuola, turismo, conoscenze, documentari, ecc.) sulla famosa cupola del Brunelleschi, sulla sua bellezza ma soprattutto sulla sua tecnica costruttiva particolarmente innovativa e anticipatrice. Una grandiosa opera architettonica ma anche tecnologica. Una di quelle opere che mettono insieme tanti saperi e ne fanno un uso originale determinando un avanzamento delle conoscenze, come era caratteristico di quel periodo storico. 

Non voglio fare un parallelo diretto tra la cupola del Brunelleschi e il progetto JWST, ha ben poco senso, troppe cose li differenziano, non so neanche perché abbia fatto questa bizzarra associazione di idee, ma quello che mi chiedo è: quali sono nel nostro mondo moderno le opere dell'ingegno che possiamo considerare eredi del grande periodo del Rinascimento? O anche eredi di una storia ancora più antica (piramidi, teatri greci, anfiteatri romani, acquedotti, ...) anch'essa sempre stracitata fino alla noia? Ha senso farsi la domanda? Perché certe opere ciclopiche attuali (ce ne sono state diverse altre), sia per la qualità delle realizzazioni tecnologiche, sia per gli obiettivi scientifici ambiziosi, non ricevono l'attenzione che meriterebbero? Eppure sono le opere che dovrebbero rappresentare (più di tante altre cose) il nostro grado di civiltà raggiunto, almeno quanto la cupola del Brunelleschi lo ha fatto per i suoi tempi.

Certe volte penso che siamo tutti dei parrucconi che hanno imparato a citare le grandi opere del passato ma non hanno mai imparato a riconoscere le grandi opere del presente, perché non hanno mai imparato ad analizzarle, valutarle ed apprezzarle.