giovedì 27 dicembre 2012

Diseducazione alla conoscenza

L'anno scorso mio figlio studiava la storia dell'universo e della terra per arrivare a fine anno scolastico allo studio della preistoria dell'uomo e quindi alla sua storia, che ha cominciato quest'anno. Mentre studiavamo insieme la Pangea mi è venuta l'idea di poter collegare l'argomento al Big Bang che avevamo studiato qualche tempo prima, o meglio di trovare con esso delle analogie.

Come facciamo a sapere che tanto tempo fa esisteva la Pangea? E come facciamo a sapere che c'è stato il Big Bang? Prima analogia: di fatto non lo sappiamo, nessuno c'era all'epoca, non solo non c'eravamo noi ma nessuno dei nostri antenati, e nel caso del Big Bang nessun essere vivente. Quello che possiamo fare in entrambi i casi sono delle ipotesi, che tali rimarranno. E' il meglio che possiamo fare. Il mio primo intento era quello di far capire che nelle nostre conoscenze non c'è nessuna infallibilità, al contrario di quello che certe volte sembrerebbe, perlomeno nei modi istituzionali di comunicare la conoscenza scientifica.

Come facciamo a fare queste ipotesi tanto affascinanti? Seconda analogia: perchè sono ipotesi basate su fenomeni che osserviamo tuttora, la deriva dei continenti e l'espansione dell'universo. Quello che sappiamo e che misuriamo è lo spostamento progressivo anche se lentissimo dei continenti in direzioni ben precise che estrapolate a ritroso nel tempo ci informano sulla possibilità che circa 200 milioni di anni fa esisteva un'unica terra emersa che chiamiamo Pangea. Quello che sappiamo è che le galassie si stanno allontanando le une dalle altre con velocità ben precise e questo ci permette di ipotizzare un momento nel tempo (circa 13 miliardi di anni fa) in cui tutta la materia dell'universo era concentrata, un po' come la Pangea. Il mio secondo intento era quello di mostrare che la conoscenza si basa su ragionamenti semplici applicati spesso allo stesso modo in contesti del tutto diversi, e che sotto non c'è niente di astruso o di imperscrutabile. Il mistero è nella Natura, non nelle spiegazioni che diamo di essa.

Volevo che in qualche modo quei raccontini che mio figlio leggeva nel suo libro di testo fossero percepiti come una conoscenza costruita razionalmente, con tutti i suoi ingredienti, fallibilità inclusa. Volevo che quelle cose gli apparissero sostanzialmente diverse da semplici storie. Il libro di scienze è diverso dal libro di lettura.

Poi però succede un imprevisto. Mentre stiamo parlando del Big Bang mio figlio improvvisamente aggiunge: "è ovvio che ci deve essere qualche essere superiore che ha creato il Big Bang". Lo dice come nozione ovvia, come qualcosa che ha imparato da qualche parte e che mi ripete adesso, con una certa soddisfazione. Parlando con lui scopro che hanno parlato di questo durante l'ora di religione.

La cosa mi ha provocato una certa irritazione, mi ha dato l'impressione sconfortante che mentre il mio ragionamento veniva assimilato a fatica (con qualche difficoltà di concentrazione) quello elaborato durante l'ora di religione avesse fatto presa immediata. Eppure questa ovvietà di cui parlava mio figlio di ovvio non aveva proprio nulla. Che cosa è ovvio? Che prima del Big Bang ci deve essere stato qualcosa che l'ha causato? Cosa ci vogliamo fare con questo giochetto della catena di causa-effetto? La birra?

E anche quell'insegnante di religione, caspita! Oltre ad essere una finta deduzione che disabitua al ragionamento e al processo di conoscenza razionale, si tratta di un comportamento addirittura disonesto, ideologicamente orientato, in quanto rivolto a menti estremamente predisposte alla ricezione acritica. La disonestà sta soprattutto nell'utilizzare una conoscenza reale, per quanto debole, incerta e problematica, per agganciarci in maniera gratuita una propria "verità" indeducibile dai fatti.

Mi è venuto anche in mente quanto certe teorie scientifiche si prestino involontariamente all'idea della creazione ed è forse proprio per questo che si radicano così bene nella coscienza delle persone, e quanto questo non sia vero invece per altre e altrettanto importanti teorie. Dietro ci sono concezioni filosofiche o ideologie con cui la scienza inevitabilmente si intreccia. E' curioso ad esempio come le persone che ritengono assurda e inaccettabile la teoria dell'evoluzione, in particolare applicata all'uomo (volgarmente non accettano l'idea che "l'uomo discenda dalla scimmia") poi generalmente tendono ad accettare senza troppi problemi la teoria del Big Bang. E' ovvio che quest'ultima è una teoria certamente più problematica dal punto di vista teorico, certamente molto meno avvalorata dall'evidenza sperimentale e sicuramente molto più difficile da comprendere per un uomo di media cultura. Quindi il rifiuto categorico dell'evoluzione biologica dell'uomo, come forse l'accettazione molto facile della teoria del Big Bang, sono il risultato di una posizione ideologica.

Distinguere le ipotesi scientifiche dalle concezioni filosofiche o dalle ideologie o dalle religioni (pur frequentandole tutte e pur nella convinzione che storicamente si sviluppano tutte assieme) dovrebbe essere un traguardo culturale da perseguire fin dai primi anni di studio. Confonderle è la peggior cosa.