lunedì 31 agosto 2015

Reducetariano

Ho sempre considerato quello del vegetariano un atteggiamento di tipo fondamentalista. Per questo non mi è mai piaciuto molto. Certamente un comportamento così radicale è più facilmente comunicabile, può diffondersi come una moda, riesce a fare tendenza, ma non mi pare poi che in tutti questi anni si sia effettivamente diffuso così tanto. Anzi, ultimamente leggevo che alcune statistiche fatte in merito a questa abitudine alimentare riportano che una buona percentuale dei vegetariani smette di esserlo, almeno rigorosamente, durante la sua vita. Ed effettivamente anche per esperienza personale mi è capitato di conoscere vegetariani che non lo sono più o che hanno reinterpretato in maniera più morbida questo comportamento.

Inoltre le motivazioni del vegetariano sono spesso quelle etiche riconducibili al principio del diritto degli animali a non essere sfruttati dall'uomo, e quindi prima di tutto a non essere mangiati. Questo concetto lo trovo veramente molto controverso, credo che possa portare ad ulteriori e più gravi forme di fondamentalismo irrazionali e pericolose (vedi le crociate contro qualunque forma di sperimentazione animale), e alla fine lo trovo anche abbastanza ipocrita. Quali forme di vita hanno diritto ad esercitarla indisturbati, e quali no? E come facciamo i conti con il fatto che alla fine la vita si ciba della vita?

Tuttavia esistono delle ragioni serie per ridurre drasticamente il consumo di carne su scala mondiale. Sicuramente delle ragioni di salute, non tanto per gli individui in crescita quanto per le persone adulte. L'eccesso di consumo di carne porta con maggiore probabilità ad una serie di patologie che abbassano il livello di salute media della popolazione in età avanzata.

Un'altra ragione importante (forse la più importante) è l'iperproduzione di carne a cui stiamo assistendo negli ultimi decenni. Iperproduzione di bovini, iperproduzione di foraggi per la loro nutrizione, coltivazioni e allevamenti sempre più intensivi. Un problema di inquinamento di dimensioni preoccupanti. Inoltre, non ultimo, anche il trattamento degli animali negli allevamenti intensivi è un fatto incivile e intollerabile. Insomma l'eccessivo cosumo di carne nelle società sviluppate si sta traducendo in uno squilibrio ambientale, uno dei tanti purtroppo.

Per un problema su scala mondiale va cercata una soluzione che possa diffondersi altrettanto su scala mondiale. E non credo che questo possa essere lo stile alimentare vegetariano. Per due motivi. Anzitutto è troppo drastico e senza mezze misure per avere un'ampia diffusione nella società. E poi perchè non è proprio necessario. Anzi, a me pare abbia anche aspetti negativi, esistono ottimi prodotti alimentari (molti italiani) basati sulla carne, prodotti di qualità che andrebbero difesi e valorizzati sul resto della produzione di massa. La riduzione del consumo di carne dovrebbe essere una riduzione selettiva, non totale.

Il termine che dà il titolo a questo post l'ho letto da qualche parte su Internet. Il suo senso è più o meno quello che ho appena scritto. La sua probabilità di diffusione su scala globale è forse maggiore della dieta vegetariana o addirittura vegana. Il suo obiettivo è importante. Mi piacerebbe essere reducetariano nel mio stile alimentare.

sabato 22 agosto 2015

Uffa, 'ste famiglie.

Non c'è niente da fare, la famiglia come nucleo sociale rischia sempre di sviluppare delle patologie. Non sto parlando di quelle gravi, che portano al divorzio o a conseguenze ben peggiori, perché direi una cosa purtroppo ovvia. Non so neanche se quello a cui sto pensando sia definibile come una patologia o forse come una fisiologia con potenziali effetti negativi.

Sto pensando a una sorta di cristallizzazione dei rapporti, un po' tra tutti gli elementi della famiglia. Probabilmente è il tempo e il vissuto che porta a questo. E forse anche la vecchiaia dei suoi componenti, sempre meno capaci di rinnovarsi o semplicemente di provare a cambiare qualcosa.

Il risultato è una specie di "rito" nei rapporti interpersonali, probabilmente dovuto ad etichettature che ciascuno costruisce all'interno della famiglia, pregiudizi cronici ma essenziali per il generale "equilibrio" famigliare. Ognuno ha un suo ruolo, ognuno pretende in un certo senso un ruolo dagli altri (positivo o negativo, non ha molta importanza, è questo il bello), quello che consente di renderlo riconoscibile.

Questo determina l'assistere a delle vere e proprie pantomime, il ritorno sempre alle stesse cose fatte allo stesso modo, sempre agli stessi litigi, con le stesse parole, con le stesse modalità, con lo stesso modo di risolverli. Anche agli stessi modi di cercare il divertimento e la tranquillità. Ripeto, probabilmente è più un aspetto fisiologico che patologico, ma è certo che sulle questioni irrisolte può diventare veramente problematico, i rapporti difficili e le incomprensioni possono avvitarsi all'infinito.