domenica 31 dicembre 2017

Il senso della bellezza

Sono andato a vedere la proiezione di un film un po' particolare, a metà strada tra un vero film e un documentario. Il tema generale era l'attività scientifica attuale, in particolare quella grandiosa (e forse percepibile dal pubblico generico anche come un po' pretenziosa) della fisica delle particelle svolta al centro di ricerche europeo di fisica nucleare (il famoso CERN), e la sua relazione con il concetto di bellezza, messo a confronto con quello usato nell'arte. In realtà i temi parziali elaborati nell'ora e un quarto di proiezione erano più numerosi. La narrazione si articolava in dieci sezioni, ognuna con un suo titolo e dunque con un suo tema specifico.

Le cose migliori che sono venute fuori, quelle che mi hanno colpito di più, sono le seguenti.

All'inizio viene descritto l'ambiente del CERN, le sue spettacolari realizzazioni tecniche che lo rendono unico al mondo, e i suoi obiettivi scientifici altrettanto spettacolari. Mi ha colpito il momento in cui viene sottolineato che tutta la complessa tecnologia e tutti gli artefatti giganteschi e costosissimi, concepiti e perfezionati nell'arco di decenni di lavoro, non servono per nessun obiettivo di produzione, come succede spesso per l'innovazione tecnologica, e dunque in un certo senso sono perfettamente inutili. Questo fa riflettere un po' sul concetto generale di utilità delle idee, su come questo concetto non sia sempre riducibile all'utilità pratica immediata, su che cosa è veramente utile all'umanità.

Sempre nelle fasi inziali del film vengono anche ben descritti gli scopi e gli obiettivi che hanno portato negli anni sessanta a dar vita al CERN. Un bel momento è quello in cui Fabiola Gianotti (attuale direttrice generale del CERN e responsabile del progetto ATLAS che ha portato alla prima storica osservazione del bosone di Higgs) cita il documento che dà il via al CERN. Semplice e significativo il documento definisce tre obiettivi del centro: ospitare i laboratori di ricerche nucleari, rendere noti all'umanità tutti i risultati ottenuti da queste ricerche e da tutte quelle ad esse collegate (si pensi all'invenzione del World Wide Web di Tim Berners-Lee), riunire tutti i ricercatori del mondo interessati alle ricerche svolte nel centro e creare così un ambiente internazionale. Attualmente il CERN ospita scienziati da tutto il mondo, anche da paesi ufficialmente in guerra tra loro, anche da paesi che non si riconoscono reciprocamente, in un ambiente pacifico di cooperazione internazionale per il perseguimento di conoscenze condivise da tutta l'umanità.

In una fase centrale del film si cerca di descrivere invece lo sfondo scientifico dei progetti di ricerca che si svolgono al centro. Si parla quindi con un certo tono suggestivo di fisica quantistica. La cosa più interessante che emerge è secondo me il concetto di immaginazione. Il mondo atomico e subatomico protagonista di tutte le ricerche del CERN che abbiamo imparato a descrivere molto bene (almeno fino a questo momento) con la fisica quantistica è "del tutto inimmaginabile", ovvero non può essere immaginato, almeno non nel senso di potersene fare una qualche immagine visiva. La vista, così importante nei meccanismi di immaginazione dell'uomo, risulta praticamente inutile in un mondo di cui non abbiamo mai avuto e probabilmente non avremo mai una percezione visiva. Per di più i meccanismi e gli oggetti del mondo atomico e subatomico, che abbiamo capito essere cruciali per tutto quello che sappiamo spiegare sulla natura, non sono mai rientrati in nessuna esperienza dell'uomo, in tutta la sua storia evolutiva. Quindi quali meccanismi di pensiero si possono usare per avanzare nella comprensione di questo mondo mai visto e mai percepito? E come possiamo far lavorare l'immaginazione in un ambito simile? Più esattamente in che modo usare l'immaginazione?

Tra le idee immaginate per esplorare questo mondo, certamente tra quelle più usate e feconde di risultati, c'è l'idea di simmetria che in effetti, contrariamente a quanto si può pensare, non è un concetto solo strettamente visivo. Ma la simmetria in sé e per sé non è sufficiente, o meglio, ha una sua certa aridità. Il mondo si nutre di simmetria tanto quanto della sua "rottura". La rottura di simmetria è infatti un'altra importante idea immaginata dagli scienziati che si affianca a quella della simmetria e in un certo senso è complementare ad essa. Qui però il film non riesce ad essere più preciso di tanto e il discorso infatti si indebolisce progressivamente.

Il tema della simmetria e della sua rottura è uno dei "ponti" che portano il film progressivamente ad allacciarsi al concetto di bellezza (la simmetria è una bellezza del mondo e la sua rottura rende il mondo meno sterile e più vario) e dunque all'arte, essendo l'arte concepita come la rappresentazione della bellezza. E' da questi allacci che si sviluppa una buona seconda metà del film che però secondo me comincia ben presto a diventare vago e un po' noioso.

Qua e là viene spesso ripreso il tema più specifico del CERN e in particolare il racconto del suo ultimo esperimento, che se non sbaglio risale alla primavera di quest'anno. La particolarità interessante che emerge in questo contesto è lo scopo generale di questo esperimento. Fino ad ora praticamente tutti gli esperimenti condotti al CERN avevano come obiettivo principale quello di osservare qualcosa che in larga parte era previsto dalla teoria, cioè era già stato immaginato e rappresentato. Quest'ultimo esperimento invece si muove nel buio quasi totale dell'ignoranza, non è chiaro cosa si sta cercando, non è chiaro cosa verrà fuori di interessante. Nessuno lo ha ancora immaginato con sufficiente precisione. Sembra che sia la prima volta.

La digressione artistica indebolisce tutta la seconda parte del film ma al termine viene ripreso il concetto di immaginazione. Vengono mostrate le famose pitture rupestri dell'alba dell'uomo, sono scene di caccia. L'uomo per poter catturare la sua preda la doveva prima immaginare, sognare, rappresentare nella parete di una grotta. L'ultimo esperimento del CERN alla fine non ha rivelato nessuna nuova particella, quello che è stato visto (ben poco) ha prodotto, per poter essere interpretato, ben 400 teorie differenti, tutte inutili. Per arrivare a nuovi risultati forse l'uomo dovrà prima immaginarli, sognarli o rappresentarli in qualche modo. Questo conclude il film.

domenica 24 dicembre 2017

Cineforum su Guerre Stellari episodio VIII

A parte alcuni aspetti della trama del film che mi sono sembrati subito intuitivamente poco funzionanti, l'attuale ultimo episodio di Guerre Stellari non mi aveva dato molti spunti di riflessione. Solito film molto spettacolare da cui però non ci si aspetta granché se non quello di godersi scene di improbabili combattimenti spaziali, in linea con il titolo della saga. Se non fosse stato per mio figlio avrei gettato la spugna già da un po' (come era già successo anni fa) senza troppi ripensamenti.

Questa volta però alcune circostanze hanno reso più divertente e interessante il "dibattito" sul film tanto da farmi ritornare l'esigenza di appuntarmi qualche osservazione di carattere generale (avevo già scritto qualcosa in merito in corrispondenza dell'uscita del film precedente), pur senza riportarne i particolari.

Un collega di lavoro, giovane ma molto esperto e appassionato della saga, ha bollato questo ultimo film come una schifezza, senza mezzi termini, con una intolleranza evidentemente generata proprio da questa sua passione. L'aspetto per lui inaccettabile che ha colto nel film è il seguente: la saga è un fantasy, quindi può succedere praticamente qualsiasi cosa (non devo rispettare quei criteri di plausibilità scientifica che tipicamente caratterizzano in varia misura il genere di fantascienza), però proprio per essere riconoscibile come un'unità la saga dovrebbe poggiare su elementi fissi non stravolgibili e questo è esattamente quello che è stato fatto secondo il mio collega, una mancanza di fedeltà agli aspetti caratterizzanti della narrazione che non può passare liscia perchè ha l'effetto di alienare il film da tutti gli altri della serie, senza giustificazione se non quella di produrre l'ennesimo film su un tema di sicuro successo. Dunque meglio finirla qui che andare avanti in modo squinternato senza più legami con la storia originale.

Uno dei tanti recensori online su un canale YouTube ha probabilmente colto lo stesso aspetto ma ribaltandone il senso. La ricerca dell'ortodossia nella trama della saga è secondo lui una cosa da "vecchi rincoglioniti" (parole sue). Viva le nuove generazioni che non coltivano l'assoluta fedeltà alla storia tradizionale ma accettano le novità così come arrivano e si godono il film e i suoi temi generali, che pure ci sono.

Un altro recensore di YouTube avanza un'interpretazione che per certi aspetti sembra una via di mezzo delle due appena descritte. Il film sarebbe nel complesso piuttosto deludente perchè durante il suo svolgimento sembra abbozzare un'interessante evoluzione della dicotomia tra bene e male, un tema fondamentale che caratterizza l'intera saga, suggerendone un possibile superamento che offrirebbe nuovi e originali sviluppi, ma poi nel finale in qualche modo tradisce le aspettative e torna sui suoi passi riallineandosi ai vecchi temi senza mostrare il coraggio di allontanarsene. Quest'ultimo giudizio è quello in cui mi sono ritrovato di più, anche se c'è ancora l'episodio finale da vedere, e sviluppi originali della trama sono ancora possibili.

Infine nei vari commenti ascoltati sul film un tema ricorrente è stato "quanto influisce (negativamente) la proprietà Disney sulla saga?" Io non lo so, ma di sicuro il problema delle grandi produzioni è spesso quello di appiattire le opere dell'ingegno di qualsiasi tipo in prodotti collaudati per un mercato ampio e per un guadagno sicuro, a scapito dell'originalità che, si sa, è intrinsecamente rischiosa. Questo film potrebbe esserne un esempio.

Insomma non mi aspettavo un dibattito tutto sommato stimolante da un film del genere. E mi ha fatto piacere seguirlo e discuterlo insieme a mio figlio.


giovedì 30 novembre 2017

Intuito e Scienza

Quando ho letto in un tweet che Samantha Cristoforetti era scandalizzata per quello che le era stato segnalato in una didascalia di un libro di fisica per le scuole superiori e riportava la foto di quella didascalia, inizialmente non ho capito. Ci ho dovuto riflettere un momento per realizzare che si trattava di un grossolano errore. Eppure anche dopo mi veniva da pensare che quella didascalia suonava strana, perchè era tanto errata quanto accettabile. Sicuramente se l'avessi letta distrattamente sfogliando quel libro di testo l'avrei bevuta tranquillamente. Me ne vergogno un po' ma temo proprio che sarebbe andata così.

Trascurando il fatto che molto probabilmente i tweet vengono letti così velocemente che tutte le informazioni che necessiterebbero di un minimo di riflessione per poterne veramente capire il significato vanno irrimediabilmente perse o peggio ancora fraintese, e già questo sarebbe un fatto di una certa gravità, che indurrebbe a leggere meno e meglio, quello che mi ha colpito in questo episodio è la fallacia dell'intuito nelle discipline scientifiche, almeno quello mio, ma credo che si possa generalizzare.

La frase errata era la seguente: "L'intensità della forza di gravità non è costante. Allontanadosi dalla superficie terrestre diminuisce l'intensità dell'attrazione gravitazionale: questo fenomeno è ben evidente osservando gli astronauti in orbita sulla Stazione Spaziale Internazionale, dove l'intensità della forza di gravità è ridotta al punto che persone e oggetti devono essere ancorati a dei sostegni per non volare nell'abitacolo". Per verificare la facilità con cui si può commettere questo errore ho posto la questione a mio figlio, la prima cavia innocente che avevo sottomano, mettendola direttamente sotto forma di domanda, del tipo: "secondo te perché gli astronauti della ISS galleggiano?" Da notare che posta così non si ha neanche l'appiglio della Cristoforetti scandalizzata, che ti costringerebbe a pensarci bene, come è successo a me. La risposta immediata è stata esattamente quella che mi aspettavo, cioè quella sbagliata. Nessun biasimo per mio figlio, ovviamente.

L'intuito in questo caso ci porta ad una soluzione semplice e diretta: sto fermo al suolo perchè esiste la gravità, se mi allontano dal pianeta diminuisce progressivamente l'intensità della gravità, se sto galleggiando ad una certa distanza dal pianeta evidentemente è perché non c'è più gravità, o non c'è più a sufficienza. Per uscire da questo ragionamento errato occorre fare ulteriori osservazioni e riflessioni, realizzare di avere a che fare con uno scenario un po' più complesso e arrivare ad una comprensione più profonda di tutta la questione. Più o meno nel modo seguente.

Osservazione 1 (fondamentale): non è possibile che a quella quota la gravità sia nulla o quasi nulla perché in tal caso la Stazione Spaziale Internazionale non starebbe stabilmente in orbita, il moto orbitale è garantito proprio dalla presenza della gravità. Samantha Cristoforetti sottolinea proprio questo, la gravità a quella quota ha un'intensità che è circa il 90% di quella a terra.
Osservazione 2: La ISS ha un moto approssimativamente circolare ad una velocità molto elevata, per gli astronauti è come stare in una giostra, sperimentano una forza opposta alla gravità che li trascina costantemente verso l'esterno, la forza centrifuga.
Riflessione 1: evidentemente le due forze di segno opposto sull'astronauta si devono bilanciare per ottenere il galleggiamento sperimentato.
Riflessione 2: senza chiamare in causa la forza centrifuga, ovvero una forza "apparente", cioè presente solo nel sistema di riferimento solidale con l'astronauta, si può interpretare il moto della ISS come quella di un oggetto in caduta libera, come fece Newton a suo tempo con un disegno memorabile passato alla storia. Un corpo in caduta libera annulla automaticamente il campo gravitazionale.
Riflessione 3: entrambe le riflessioni precendenti assumono il cosiddetto "principio di equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale": il parametro chiamato massa che compare nella legge di gravitazione è esattamente lo stesso di quello che compare, con lo stesso nome, nelle equazioni della dinamica. Su questo principio peraltro si fonda la teoria della Relatività Generale.
(Interessante notare come in queste poche osservazioni e riflessioni è contenuta una parte essenziale della Meccanica Classica con un aggancio addirittura alla Relatività Generale).

Evidentemente le intuizioni sono forme di ragionamento veloce e molto efficaci in contesti relativamente semplici, e di sicuro costituiscono una capacità evolutivamente molto vantaggiosa. Ma nel ragionamento scientifico, che inevitabilmente prende in considerazione situazioni sempre più complesse (e purtroppo anche sempre più lontane dalla nostra esperienza diretta, proprio quella su cui abbiamo potuto evolvere il ragionamento intuitivo nel corso dell'evoluzione biologica) l'intuizione cede il passo ad altre facoltà più efficaci. Una di queste è certamente l'immaginazione.

martedì 31 ottobre 2017

Stereotipi sulla scuola secondaria

Quindi l'inglese è la conoscenza-chiave del nostro mondo e il latino non serve a niente. Questo è uno dei preconcetti più largamente diffusi tra le persone che hanno i propri figli al liceo. Di fronte a queste granitiche certezze è sempre bene vacillare un po', non si sa mai che oscillando si riesca a sporgere lo sguardo anche da qualche altra parte.

Ieri ho sentito un genitore di uno studente di prima liceo scientifico, frequentato anche da mio figlio, che lamentava alla preside e vicepeside, presenti ad una riunione di accoglienza dei genitori delle classi prime, la scelta, nel definire l'orario settimanale, di collocare le ore delle materie in inglese (per il cosiddetto Indirizzo Cambridge, oggi molto di moda) alla quinta e sesta ora della giornata. Ore troppo critiche e pesanti per metterle alla fine della mattinata, quando gli studenti cominciano ad essere stanchi. Un'esagerata attenzione alle materie in inglese, secondo me. La risposta è stata per un verso ovvia: stiamo parlando di orario normale e di normali materie curriculari, la pretesa di fare alla fine della mattinata solo materie "leggere" è piuttosto irragionevole. Per un altro verso la risposta è stata interessante: i docenti madrelingua del Cambridge sono talmente richiesti e questo tipo di formazione è utilizzata da talmente tanti istituti che alla fine sono loro (quelli del Cambridge) a dettare i vincoli su cui poi gli istituti costruiscono i complessi orari settimanali. Allora, dico io, meno male che hanno espressamente scelto le ultime ore della mattinata, almeno prima fanno un po' di italiano e latino.

Durante il periodo della scelta del tipo di scuola, che parte grosso modo all'inizio della terza media e finisce a febbraio con le preiscrizioni, scelta coadiuvata da una serie di cosiddetti Open Day dei vari istituti in giro per la città, in cui ogni istituto pubblicizza la propria "offerta formativa" con diffusione di vero e proprio materiale marketing, ho appreso che attualmente esistono due tipi di liceo scientifico: quello cosiddetto tradizionale e quello chiamato scientifico-tecnologico. La differenza, che poteva non apparire molto chiara osservando il materiale marketing, veniva in realtà volgarizzata ma sintetizzata molto bene dai genitori stessi, che chiamavano il primo "liceo con il latino" e il secondo "liceo senza latino". Non risultava ben chiaro quale fosse l'alternativa allo studio del latino (una non ben precisata "informatica", un'altra di quelle parole magiche che svegliano il bisogno di idee stereotipe) ma non sembrava essere così importante, la distinzione tra le due tipologie di liceo era "per differenza". Togliersi dalle scatole una materia considerata inutile a fronte di qualsiasi altra cosa, un po' come si fosse trattato dell'ora di religione cattolica. Una soluzione che non ho preso neppure in considerazione.

Tempo fa parlando con amici viene fuori una frase, il cui scopo era di mettere a confronto l'inutile studio del latino con l'utile studio della matematica, che andrebbe scolpita da qualche parte come un monito. Recitava grosso modo così: "La versione di latino non si capisce mai con sicurezza come va fatta, puoi interpretare la traduzione in modo completamente sbagliato, se vai fuori strada è un disastro, non c'è un meccanismo certo di traduzione, è tutto troppo suscettibile di interpretazione. La matematica invece ha delle regole precise, se le segui arrivi al termine dell'esercizio, non ti puoi sbagliare". Mi pare la migliore motivazione possibile per incoraggiare (e giustificare) lo studio del latino e in generale delle lingue classiche, cosiddette "morte". Ma chi sarebbe il "morto" in questi casi?

domenica 10 settembre 2017

Supercompensi

All'inizio dell'estate hanno fatto discutere un paio di notizie: una parla di "capricci" del giovane supermilionario Ronaldo, che non paga regolarmente le tasse nonostante i suoi compensi stratosferici; l'altra di un nuovo contratto spropositato di Fabio Fazio alla Rai.

Si può dire che è uno scandalo, che è immorale arricchire all'inverosimile un ragazzetto che gioca a calcio, che non è accettabile che la TV di Stato eroghi compensi fuori misura ad un presentatore televisivo. Ma il vero scandalo secondo me è altrove. E' nella "normalità" di questi compensi, nella loro "logica", che non è solo la loro ma di tutta una società. Loro sono solo gli esempi macroscopici e ben in vista. Attaccare loro come se fossero dei casi isolati e particolarissimi è veramente troppo ingenuo.

Nella nostra società non ha molta importanza quello che fai, e in generale neanche con quale talento e bravura lo fai. Quello che è veramente importante è "quanti soldi porti". Quanti soldi porti all'azienda, alla pubblicità, ai finanziatori, a chi ti consente di fare quello che fai. E' indubbio che Fabio Fazio sappia fare il proprio mestiere, ma casomai c'è da chiedersi qual è veramente il suo mestiere, come viene misurato e quanto vale. E' indubbio che Ronaldo sia un talento, ma lo è anche la campionessa italiana di pattinaggio a rotelle (esiste!), che però non potrebbe certo vivere con gli scarsi proventi di questo suo sport. La loro differenza non sta certo nella qualità di talento espresso sui rispettivi campi di gioco, quanto nella quantità di soldi che sono in grado di far girare con le loro attività. E questo tra l'atro non dipende certo direttamente da loro.

La cosa è del tutto generalizzabile. Il mio lavoro (insieme a quello di molti miei colleghi) porta soldi alla mia azienda e il mio stipendio è misurato esclusivamente su quest'ultimo parametro. Una ipotetica persona che facesse un lavoro di pari livello professionale al mio (intendo per competenze, esperienza, risorse personali impegnate) ma in uno staff di una grande azienda, in grado di portare fatturati molto maggiori, avrebbe certamente uno stipendio molto più alto. Un insegnante di scuola pubblica non fa guadagnare nessuno, impossibile sperare che venga pagato molto bene, anche se oggettivamente svolge un'attività di un'importanza strategica per la società.

Il punto non è solo essere bravi e saper fare le cose, il punto è essere dalla parte giusta della barricata, fare attività nei settori e nelle organizzazioni dove girano tanti soldi. E, beninteso, dalla parte giusta della barricata ci può stare solo una ristretta minoranza di persone, non c'è certo posto per tutti.

I supercompensi di Fazio e Ronaldo sono le "normali abnormità" del nostro sistema economico.

martedì 29 agosto 2017

Villaggio turistico

Non ero mai stato in un villaggio turistico prima di quest'anno. E i motivi evidentemente c'erano. Come si sa la caratteristica principale del villaggio turistico è l'organizzazione, in particolare quella del divertimento. Questa si declina in varie attività, tra cui quella che spicca maggiormente e che coinvolge inevitabilmente il maggior numero di persone è lo spettacolo teatrale della sera. Perchè durante il giorno le varie iniziative (far cantare gente che non sa cantare, far ballare gente che non sa ballare, far fare attività sportive a chi non le ha mai fatte o quasi, e via di questo passo) le puoi anche evitare decidendo di non fare niente che non sia stare al mare, in piscina, dormire e mangiare (magari riuscendo anche a leggere un libro). Ma in regime di pensione completa lo spettacolo serale è praticamente inevitabile.

Ora quello che mi rode e a cui non riesco a non pensare con un certo fastidio è questo: uno passa tutto l'anno a sperare di poter andare il più possibile al cinema, a teatro, ai concerti, mostre, eventi, ecc., il più delle volte lisciando quasi tutto quello che hai in testa per mille motivi che poi non sai neanche bene quali sono, e quando hai una settimana di ferie, cioè di sospensione di qualsiasi intralcio lavorativo, scolastico, casalingo, ti ritrovi sera dopo sera a seguire attentamente degli spettacoli di MERDA che una qualsiasi cazzo di animazione turistica ti propina per riempire il tuo tempo obbligato del non fare un cazzo.

Boh!

giovedì 13 luglio 2017

Paolo Villaggio

All'indomani della morte di Paolo Villaggio quello che mi ha colpito è stato il tono di alcune dichiarazioni estemporanee di persone che lo hanno conosciuto e frequentato personalmente. Mi riferisco ad esempio ai suoi due figli. Nessuno dei due riusciva a fare una dichiarazione di grande affetto come forse ci si aspetterebbe in questi casi. Piuttosto, anche in una circostanza del genere, senza l'ipocrisia che forse il momento poteva giustificare, parlavano del padre come di una persona difficile nei rapporti famigliari, prevalentemente assente, su cui loro in un certo senso sospendevano il giudizio e su cui era difficile avere una parola di sincero affetto.

Mi ha colpito anche una dichiarazione di Anna Mazzamauro, che apertamente sosteneva di non voler essere ipocrita e di non voler parlare, come si fa sempre in questi casi, di una persona buona, dalle grandi qualità umane, perchè semplicemente non era così. E raccontava di come lui un giorno, intervistato in sua presenza, alla domanda del giornalista sul perchè avesse scelto la Mazzamauro per la parte della famosa signorina Silvani rispondeva seriamente "mi serviva un cesso". Lei non lo raccontava come un episodio particolarmente simpatico.

Insomma ho avuto la netta sensazione che Paolo Villaggio nella vita privata fosse stata una di quelle persone che uno definirebbe senza troppi convenevoli "uno stronzo". Mi sbaglierò ma questo mi ha fatto subito pensare al suo personaggio principale, il ragionier Ugo Fantozzi, e alla spietatezza con cui il suo autore lo trattava (insieme a tutti i suoi personaggi di contorno). Ho sempre pensato che Paolo Villaggio trattasse il suo Fantozzi come farebbe uno stronzo. Quindi le dichiarazioni che ho riportato sopra alla fine non mi hanno sorpreso, anzi, mi quadrano. Solo uno stronzo naturale può esserlo così bene anche con i personaggi del suo immaginario.

Devo dire però che questa è stata anche la fortuna della saga sia letteraria che cinematografica di Fantozzi. Senza questo trattamento spietato non avrebbe avuto senso raccontare le sue storie grottesche. L'iperbole non doveva avere indugi o ammorbidimenti. Anche la satira sociale, vera chiave della comicità del personaggio, non sarebbe stata così potente.

Di Fantozzi la cosa più divertente e al contempo fastidiosa perchè profonda e terribilmente vicina a noi è il suo sforzo costante e disperato di voler essere un piccolo borghese senza mai veramente riuscirci. Lui ha come modello una società di merda, e la volontà di volerne far parte a tutti i costi genera la maggior parte delle situazioni più esilaranti. L'iperbole sta nel fatto che lui non è solo un perdente frustrato, ma che lo è in una società odiosa, senza valori, scialba, senza cultura, senza morale. Si muove in un orizzonte di meschinità assoluta, che pure è la sua massima aspirazione. Un personaggio totalmente negativo, che solo uno stronzo poteva immaginare.

In una sua vecchia dichiarazione riportata in questi giorni, Paolo Villaggio sosteneva che la sua fortuna come persona era stata direttamente proporzionale alla sfortuna di Fantozzi come personaggio.

Fantozzi si è finalmente liberato dell'origine di tutte le sue sventure.

venerdì 7 luglio 2017

Artifici retorici

Questa mattina alla radio si parlava di ius soli, ovvero di quel provvedimento in discussione al parlamento che in pratica consentirebbe alle seconde generazioni di immigrati di avere abbastanza facilmente la cittadinanza italiana. Il giornalista che commentava la notizia si dichiarava sostanzialmente d'accordo sul principio generale della legge, dopo aver fatto comunque una serie di premesse: dieci anni di permanenza della famiglia, lavoro regolare, conoscenza della lingua italiana, rispetto della cultura e dei costumi italiani (?), ecc.

Quello che mi ha colpito è che alla fine di queste considerazioni più o meno ragionevoli il giornalista chiudeva dicendo che comunque non considerava urgente questo problema e che la vera questione da affrontare era quella dei tanti italiani che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena. In sostanza diceva in modo pacato e apparentemente razionale, come se fosse il risultato di una profonda riflessione, le stesse assurdità che ripete Salvini da tempo. Tocca sentire sempre le stesse cose.

Questi artifici retorici servono principalmente a derubricare un grosso problema, quello di come gestire l'immigrazione dai paesi del terzo mondo, contrapponendolo ad un altro grosso problema, quello del lavoro in Italia, certamente molto sentito dai cittadini, ma che col primo ha ben poco a che fare. E' evidente che la strategia di contrapporre sempre in un modo o nell'altro questi due problemi non contribuisce affatto a risolverli, anzi, li strumentalizza entrambi in modo intollerabile per un cittadino che li percepisca come importanti. Come si fa a cadere vittime di queste strumentalizzazioni? E me lo chiedo sia per il giornalista che le usa che per l'ascoltatore che le condivide.