lunedì 30 agosto 2021

Una questione di valori

In genere se ho un problema di salute penso che prima o poi dovrò andare a consultare un medico. Lo faccio anche se sono perfettamente consapevole che può sbagliare nel fare la diagnosi. Di storie che raccontano di medici che sbagliano se ne sentono tante. D'altra parte gli errori che può fare un medico sono gli stessi che può fare un qualunque tecnico quando deve capire come funziona il dispositivo che ha davanti e che tipo di problema può avere. E' chiaro che lavorare su un corpo umano è una responsabilità ben più grossa ma, parliamoci chiaro, il lavoro è quello.

Decido di ricorrere al parere di un medico anche se ormai si possono ottenere informazioni e interpretazioni sui propri sintomi quante se ne vuole. Si può raccogliere tutto quello che si legge e trarne le conseguenze da soli, almeno fino a che non è necessaria una prescrizione medica, che riduce il medico ad un burocrate che firma ricette.

Perchè continuo a consultare un medico e a porre la mia fiducia sulla sua opinione per quanto ci sia un normale rischio che sia sbagliata? Lo faccio perchè penso che lo studio sia un valore, solo per questo. Di fronte ad argomenti complessi è necessario perdere molto tempo a riflettere, esercitarsi, tornare più volte sugli stessi aspetti, assimilare nel tempo tutto quello che serve della disciplina. Solo questo ti garantisce una buona capacità di raccogliere informazioni, metterle assieme e costruire un quadro della situazione su cui prendere delle decisioni. Che possono anche risultare sbagliate, ma con una probabilità minima. Certamente molto più piccola di quella di un'analoga decisione presa da chi questo percorso lento di conoscenza non l'ha fatto.

Da cosa mi viene questo valore? Ricordo fin da piccolo il rispetto/timore per il medico che veniva in casa a visitarmi. Era indubbiamente una sensazione trasmessa dalla famiglia, la cui ignoranza totale sulla medicina (e su tante altre cose) induceva evidentemente una grande forma di rispetto per chi aveva avuto la possibilità di costruire quelle conoscenze. In seguito ho avuto anche io la possibilità di studiare cose complesse, che tuttora conservo come una parte importante della mia esperienza culturale. E per questo motivo ho avuto anche la possibilità di misurare spesso l'ignoranza degli altri, da cui il valore della propria cultura costruita con lo studio certamente si rafforza.

Perchè molta gente mostra di non avere questo valore? 


martedì 24 agosto 2021

La ricerca 'contro'

Ci sono delle espressioni che per quanto innocue denunciano secondo me una certa carenza di cultura scientifica, al solito. Non che non sia opportuno usarle e che non se ne capisca il senso, ma nelle loro pieghe rivelano elementi significativi. Una di queste, usatissima, è "la ricerca contro il cancro" (ne esiste una simile per ciascuna malattia grave), dove ovviamente si intende "la ricerca scientifica contro il cancro". Non so se l'omissione del termine "scientifica" migliori o peggiori la situazione. Il vocabolo che suona male è "contro". Se si parla di ricerca scientifica vedo difficile che questa possa essere pensata contro qualcosa, in particolare contro l'oggetto che deve cercare di capire. Trasformare la ricerca scientifica nella metafora di una battaglia epica contro un nemico non le rende ragione, anzi, deforma i significati sia del soggetto che dell'oggetto. Il cancro non è un nemico dell'uomo, è semplicemente un aspetto intimo della sua natura di essere vivente. Forse sarebbe bene sottolineare che la prima causa nota del cancro è il caso. Sotto questa luce l'espressione "sconfiggere il cancro", come se fosse qualche entità che ce l'ha con noi, benché efficacie dal punto di vista letterario, mi sembra impropria dal punto di vista scientifico. Anche perché dà alla scienza un obiettivo specifico che, come si sa, non è il modo migliore per farla avanzare. E anche sul piano filosofico, sebbene mi renda conto che questa cosa sia discutibile, non mi piace molto l'immagine che restituisce del rapporto tra l'uomo e la natura.

Ce ne sono di espressioni da cui fa capolino un modo più o meno sbagliato di collocare (o meglio, non-collocare) la scienza nella cultura, ogni tanto se ne sente una. Recentemente stavo seguendo un'intervista ad un noto attore di teatro, il quale con una certa enfasi diceva: "la scienza è importantissima ..." (sgrana gli occhi) "... però la scienza senza cultura ..." (storce la bocca). Quindi la scienza di per sé non sarebbe cultura? Forse gli scienziati non avrebbero neppure l'onere di questo problema. Starebbe a qualcun altro, a qualche altro tipo di riflessione, portare la scienza all'interno della cultura umana. Chissà che diavolo di retropensiero c'è dietro. Il punto forse è sempre lo stesso, la percezione della scienza come di un'attività a sé stante, un fatto tecnico estremamente complesso e inavvicinabile, e per questo isolato. Il ruolo culturale dello scienziato è quello di spiegarci "tecnicamente" come funziona il mondo (ce lo spiega ma tanto poi non lo capiamo) oppure quello di presentarci delle soluzioni pratiche uscite fuori da chissà dove, ad esempio un farmaco che sconfigge il cancro. In quest'ultimo caso stiamo in realtà parlando di tecnologia, ma il legame tra innovazione tecnologica e ricerca scientifica rimane del tutto oscuro. Così come il loro intimo legame con la storia culturale dell'umanità. E' un aspetto preoccupante, secondo me, io almeno lo percepisco come tale. Che succederà di una cosa che diventa sempre più essenziale nel determinare la vita dell'uomo e sempre meno presente nella cultura e nei valori del cittadino medio?


domenica 15 agosto 2021

Gino Strada

Appena si è saputa la notizia della morte di Gino Strada (il fondatore di Emergency) i social si sono riempiti di commemorazioni. I toni erano tutti di celebrazione di un uomo straordinario, cioè fuori dall'ordinario. Tutti positivi. Ero curioso di trovare qualche commento più critico, sempre salutare al dibattito, ma non ne ho trovati. Magari tra un po'.

Quello che mi è venuto spontaneo pensare è che forse molti di noi hanno un certo bisogno di celebrare persone del genere, per motivi forse diversi. Evidentemente ci stanno troppe cose che non vanno nel nostro vivere sociale, cose che subiamo perchè non sappiamo cambiarle o che sfruttiamo perchè non ci conviene cambiarle, e quando qualcuno ce le mette davanti e ci fa vedere che qualcosa di concreto si può fare non ci resta che celebrarlo come eroe. Per molti e' un misto di esaltazione, per quello che si potrebbe fare, e di frustrazione, per quello che non sappiamo e non possiamo fare. Per molti altri è retorica che ci giustifica. Si celebra uno fuori dall'ordinario anche per giustificare il nostro rimanere nell'ordinario. Per tutti gli altri è indifferenza.

Ma non vorrei essere troppo cinico. La cosa più importante e certamente positiva è che una persona del genere dà da pensare un po' a tutti. A parte gli indifferenti, che sono sempre i peggiori, ognuno deve risolvere in qualche modo il problema dell'esistenza di un Gino Strada nella nostra società.

Un altro aspetto che mi ha colpito è venuto fuori da una delle tante sue frasi riportate in giro in questi giorni. Oltre a quella famosa sui diritti ("I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi"), o a quella altrettanto famosa sulla guerra ("Non sono un pacifista, sono contro la guerra"), ne gira un'altra, riportata dall'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR) che dice: "Dio? Non ne sento alcun bisogno. Penso che il significato delle cose stia nelle cose stesse, non al di fuori o al di sopra". Non è che io sia particolarmente interessato al fatto che Gino Strada fosse credente o meno, quello che però trovo molto significativo è che il suo forte messaggio etico (in quanto riguarda il comportamento dell'uomo sull'uomo) sia fuori dalla fede in una qualsivoglia entità sovrannaturale. La possibilità di un'etica senza fede è essa stessa una grande testimonianza.