venerdì 31 agosto 2012

L'esperimento più lungo (*)


Nel 1718 in Inghilterra, Edmond Halley misurò per la prima volta il moto relativo delle stelle fisse. Il moto diurno delle stelle attorno all'asse polare era noto da sempre e osservabile da chiunque abbia un pò di pazienza. E' un moto angolare identico per tutte le stelle, tale da aver fatto pensare per tanti secoli alla presenza di una sfera celeste di cristallo rotante attorno alla Terra in cui tutte le stelle erano incastonate. Ben altra cosa è il loro moto relativo, quello che alla lunga modificherà la forma delle costellazioni e le renderà irriconoscibili. Anche solo ipotizzare questo tipo di moto porta immediatamente fuori dal modello dell'universo tolemaico, quello codificato intorno al 150 dopo Cristo nell'Almagesto e accettato per almeno 14 secoli.

Il problema sperimentale di questa misura è enorme e assolutamente irrisolvibile con gli strumenti a disposizione all'epoca di Halley. Il motivo è molto semplice: si tratta di moti relativi che per le distanze degli oggetti coinvolti risultano lentissimi e impercettibili. Tanto per capirci le costellazioni che conosciamo oggi, nella forma in cui le vediamo, sono note fin dall'antichità. I moti di cui stiamo parlando non solo non sono percepibili dai sensi nell'arco della normale vita umana ma neppure attraverso molte generazioni. Dunque in che modo Halley è riuscito nell'impresa?

Halley oltre che scienziato astronomo (scopritore della famosa cometa che porta il suo nome) era anche un filologo, studioso traduttore ed editore di testi antichi, latini e greci. Dunque conosceva molto bene l'Almagesto di Tolomeo e sapeva che l'opera del grande astronomo dell'età imperiale terminava con un catalogo stellare in cui erano state registrate con buona precisione le coordinate sferiche di molte stelle. Quindi Halley si limitò a ripetere le stesse misure con la massima accuratezza consentita dai suoi strumenti e a confrontarle con quelle riportate nel vecchio catalogo di Tolomeo. Questi due insiemi di misure erano separati da quasi 16 secoli di storia. In tal modo riuscì a rilevare entro gli errori sperimentali lo spostamento relativo di tre stelle molto luminose del cielo: Sirio, Arturo e Aldebaran.

Fin qui l'esperimento che Halley ha sempre creduto di aver condotto in piena autonomia e in un tempo relativamente breve. Tolomeo non poteva che essere totalmente inconsapevole del fatto che un giorno con le sue misure si sarebbe riuscito a mettere in luce il fenomeno del moto relativo delle stelle fisse, dal momento che questo non era assolutamente previsto dal suo sistema del mondo e dunque non era da lui neppure ipotizzabile.

Ma questa storia ha una seconda parte estremamente affascinante. Gli storici si sono chiesti, e hanno a lungo dibattuto, una questione apparentemente secondaria: le misure di Tolomeo erano originali oppure desunte da lavori precedenti? Il risultato di questo studio difficile ha portato alla conclusione che in realtà Tolomeo ha riportato misure fatte da Ipparco almeno 3 secoli prima, semplicemente correggendole della quantità necessaria a tener conto del fenomeno della precessione degli equinozi (un fenomeno di spostamento dell'intera sfera celeste rispetto all'asse polare già noto all'epoca e oggi ricondotto ad uno dei movimenti secondari della Terra, oltre ai due principali di rotazione e rivoluzione).

Chi era Ipparco? Nonostante non ci sia pervenuta nessuna sua opera (le conoscenze su di lui ci vengono tutte da fonti indirette) Ipparco viene riconosciuto come il massimo astronomo dell'età ellenistica, e probabilmente di tutto il mondo antico. Faceva parte di quella cerchia di grandi scienziati (tra i quali Euclide e Archimede) che hanno dato vita, tra il secondo e il terzo secolo avanti Cristo, al periodo di massimo sviluppo della scienza antica. I testi di questo corpus importantissimo di conoscenze erano tutti conservati all'interno della grande biblioteca di Alessandria, purtroppo devastata in più occasioni nel corso dei secoli successivi fino alla sua completa distruzione all'inizio del quinto secolo dopo Cristo ad opera dei cristiani (Ipazia, 415 d.C.).

Una delle caratteristiche dell'età ellenistica è stata quella di aver costruito una serie di conoscenze scientifiche che nella successiva età imperiale si sono in buona parte perse (o conservate molto male) e il cui recupero si è avuto solo dopo il Rinascimento, e in seguito nel periodo che ha visto la nascita della scienza moderna. In particolare ai fini della nostra storia è bene sottolineare che le conoscenze astronomiche di quel periodo erano certamente più avanzate di quelle codificate per secoli nell'opera di Tolomeo. Si parla di concezione eliocentrica (Aristarco di Samo), di moti della Terra, di Universo infinito, ecc. Non è un caso che il catalogo stellare di Tolomeo risulti essere poco più che una semplice copia di misure prese in questo periodo.

Ma quali sono le ragioni che avevano indotto Ipparco a costruire un catalogo stellare? Due di queste ragioni ci vengono riportate da Plinio il Vecchio e la seconda è incredibile. La prima fa riferimento al fatto che all'epoca di Ipparco erano apparse delle stelle "nove", che facevano pensare che il cielo non era poi così immutabile come sembrava. Quindi il catalogo aveva lo scopo di fotografare una situazione che sarebbe potuta cambiare nel tempo. La seconda si collegava ad una intuizione: secondo Ipparco era possibile che le stelle cosiddette fisse non fossero proprio esattamente fisse, ma avessero moti propri come si osservava per i pianeti. Questi ipotetici moti non si riuscivano ad osservare probabilmente perchè erano impercettibili ai sensi umani, lentissimi, magari a causa delle enormi distanze coinvolte. Questa intuizione era destinata a rimanere una congettura, non essendoci nessuna possibilità di verificarla sperimentalmente. Almeno non in un tempo confrontabile con la vita di un singolo scienziato ...

Probabilmente per Ipparco lasciare ai posteri un catalogo stellare significava mettere a disposizione un set di misure utilizzabili un giorno da qualcuno per stabilire finalmente con certezza se le stelle fisse hanno un loro moto proprio sulla sfera celeste. Quel qualcuno è effettivamente arrivato circa 19 secoli dopo, questa volta lui del tutto inconsapevole di aver terminato con successo un così lungo esperimento scientifico, forse il più lungo che la storia dell'uomo conosca.

(*) liberamente tratto da uno stralcio di una lezione del prof. Lucio Russo, storico della scienza.

sabato 25 agosto 2012

Il Modulor di Le Corbusier


Sulla facciata dell'Unité d'Habitation di Marsiglia è raffigurata una sagoma umana, gambe leggermente divaricate e braccio destro alzato sopra la testa. Al suo fianco una serie di tacche non equidistanti lungo tutta la sua altezza. Nessun commento. Il fatto che quella sagoma l'abbia voluta lì proprio Le Corbusier e che non sia accompagnata da nessun tipo di spiegazione desta ovviamente molta curiosità. Entrando dentro l'edificio e raggiungendo il piano dei servizi si incontra di nuovo, questa volta un po' più dettagliata, un pannello laterale ne fornisce una descrizione (in francese) e le dà un nome: Modulor.

Le cose che si capiscono sono sostanzialmente due:
1. la sagoma umana è stata suddivisa in una serie di altezze tramite l'utilizzo della sezione aurea.
2. da queste altezze Le Corbusier si è ricavato le dimensioni di tutto quello che progettava nell'edificio, dalle scale, ai soffitti, alle porte, le sedie, i tavoli, i piani di appoggio, ecc.

L'intento è quello di progettare ambienti a misura d'uomo, ergonomici, utilizzando fondamentalmente le misure naturali del suo corpo. L'idea è indubbiamente affascinante, fosse solo per il fatto che in tal modo si capisce bene che la progettazione architettonica ha un unico principio informatore, quello di creare uno spazio funzionale alla vita delle persone, funzionale in senso strettamente geometrico. Anche se a me sembra che proprio a causa di questo senso così "stretto" l'opera alla fine rischi di mostrare delle limitazioni (ma la questione del rapporto tra limitazioni autoimposte e l'espressione artistica è argomento complesso).

C'è qualcosa che però non mi torna in questo Modulor. In particolare mi incuriosisce come siano state ottenute le suddivisioni della sagoma del corpo umano, che a prima vista non sembra molto chiaro. Cerco di indagare e arrivo più o meno a queste conclusioni:
1. l'ombelico divide esattamente in due la sagoma, intesa dai piedi alla punta della mano del braccio alzato.
2. la metà che va dall'ombelico alla punta della mano è ulteriormente suddivisa in due parti dalla sommità della testa, questa volta non si tratta di due parti uguali ma di una suddivisione in "media ed estrema ragione", cioè di una sezione aurea.
3. la metà che va dai piedi all'ombelico risulta essere la somma dei due segmenti più piccoli (principio costruttivo della serie di Fibonacci) e presa insieme al segmento intermedio costituisce con esso un'altra sezione aurea (la sezione aurea ha delle proprietà veramente divertenti).

Ad essere onesti il Modulor sembra essere più una sagoma costruita su queste proporzioni e che incidentalmente somiglia anche ad un uomo...

Fin qui i segmenti ottenuti sono solo tre, e le misure di cui ha bisogno Le Corbusier per progettare tutti gli ambienti sono sicuramente molte di più. Dunque occorre inventarsi un modo per procurarsele. L'architetto procede grosso modo così:
1. considera la prima metà della sagoma umana (quella che va dai piedi all'ombelico) e usa la sezione aurea per suddividerla in modo iterativo (prende la sezione dell'intero segmento, poi considera la parte più grande ottenuta e la seziona nuovamente, e così via)
2. considera tutta la lunghezza della sagoma e la sottopone allo stesso procedimento iterativo
3. disegna insieme (affiancate) le due serie, assegna ad una il colore rosso e all'altra il colore blu.

Ma perchè fa questa cosa? Perchè questa e non un'altra? Tutte queste altezze non sembrano corrispondere a niente di preciso sulla sagoma umana disegnata a fianco. Se volessi progettare gli ambienti con criteri ergonomici questa potrebbe essere una soluzione ragionevole? Se volessi progettare ambienti geometricamente funzionali alla figura umana utilizzerei dei segmenti ricavati in questo modo?

Due ulteriori osservazioni sembrano portare su una strada un po' diversa. La prima è che su uno dei pannelli informativi trovati all'interno dell'edificio è riprodotta una foto che ritrae Le Corbusier insieme ad Einstein. All'epoca (anni quaranta/cinquanta) credo che molti intellettuali siano andati a Princeton a farsi fotografare con Einstein. Ma perchè lo ha fatto Le Corbusier? E perchè soprattutto viene riportata quella fotografia in un pannello che descrive il Modulor? La seconda è che su Internet scopro che Le Corbusier ha pubblicato ben due lavori teorici sul Modulor (che purtroppo non si scaricano liberamente) e in un documento che li commenta trovo la seguente frase, tratta proprio da uno di questi lavori: "Mathematics is the majestic structure conceived by man to grant him comprehension of the universe".

Insomma è abbastanza chiaro che quest'oggetto non sia tanto uno strumento di progettazione, per questo scopo appare anche piuttosto discutibile. Se volessi fare una progettazione con criteri ergonomici partirei forse da considerazioni un po' meno astratte. Peraltro se non ho capito male il suo stesso autore ha usato questo modello in non più di un paio di occasioni, successivamente lo ha abbandonato. Credo che il Modulor sia di per sè espressione di qualcosa. O almeno un tentativo.

Immagino che Le Corbusier avesse "le antenne" per captare la cultura del suo tempo. Forse aveva intuito le grandi potenzialità dell'indagine scientifica sul mondo e dei suoi strumenti specifici (la matematica in particolare) e avrà voluto fare un tentativo, a me pare ingenuo ma significativo, di trasportarli in altri ambiti della cultura umana.