venerdì 27 dicembre 2013

Conformismo

In seguito ad un episodio molto simpatico di adolescenti che decidono di "protestare" contro il conformismo della società presentandosi a scuola in pigiama, e aiutato dal fatto che mi trovo a passeggiare per le strade di Milano da solo, comincio ad interrogarmi su quanto è reale il rischio di essere conformisti in molti atteggiamenti e pensieri della vita quotidiana. Intanto di che cosa sto parlando? L'episodio del pigiama mi aiuta fino ad un certo punto anche se devo ammettere che gli adolescenti, per il fatto che hanno appena cominciato ad osservare il mondo e hanno ancora intatta tutta la loro carica di stupore, riescono ad essere stimolanti. Quello che si intuisce facilmente è che l'uscire di casa solo a condizione di "conformarsi" ad un certo modo di vestire non sembra essere la forma di conformismo peggiore, anzi la chiamerei convenzione sociale.

Direi che per conformismo si può intendere l'atteggiamento che porta ad uniformare il proprio pensiero a quello degli altri, senza lo sforzo di un'elaborazione personale, dunque senza una scelta. Questa capacità di elaborazione personale è innanzitutto stimolata dall'ambiente educativo (e in massima parte proprio negli anni dell'adolescenza) ed è poi supportata in modo decisivo dalla possibilità/volontà di essere adeguatamente informati. E' soprattutto per questo che la gestione "opportuna" della formazione e dell'informazione è sempre stata un importante strumento di potere, in quanto permette di costruire un pensiero uniforme, o di "scoraggiare" forme di pensiero libero, che poi è la stessa cosa.

Se poi si sono avuti tutti gli strumenti e le possibilità di analizzare una cosa che fanno tutti, come vestirsi in un certo modo prima di uscire di casa, e si sceglie alla fine di farlo, direi che semplicemente si accetta una convenzione sociale, e uscire di casa in pigiama perde un po' della sua ipotetica carica anticonformista. Se lo si fa a quindici anni però va bene, ed è certamente meglio di non essersi mai posti il problema.

Probabilmente il conformismo è un comportamento del tutto naturale per l'uomo, alimenta il senso di appartenenza ad un gruppo sociale e propaga velocemente modelli di pensiero, specie se questi partono da una fonte riconosciuta come socialmente autorevole. Può essere inteso come un vero e proprio elemento naturale di stabilità sociale. Il libero pensiero invece tende a creare diversificazione, e inevitabilmente destabilizza. E' il motore che può far trovare percorsi nuovi ad un gruppo sociale.

A questo punto mi sembra quasi di poter fare un'analogia con l'evoluzione del mondo biologico, in cui i meccanismi interni che lo producono sono proprio la propagazione della copia fedele delle informazioni (la conservazione) e la comparsa casuale delle mutazioni (l'innovazione), a loro volta propagate grazie al primo meccanismo. Però questi due elementi sono in stretta relazione tra loro ed entrambi importanti, ognuno con il suo compito positivo. Forse con questa analogia un po' azzardata sto dando a quello che chiamo conformismo un valore immeritato. O no? Forse il conformismo, presente in una dose opportuna, è fisiologico in una società che voglia sopravvivere? Ma allora la libertà di pensiero, che penso sia un valore assoluto per l'individuo, la si può considerare tale anche per l'intera società? Beh, una cosa è abbastanza certa: ciascun individuo è nella sua vita un esempio di tutte e due le cose, anche contemporaneamente.