domenica 27 febbraio 2011

Una bella lezione

Facoltà di Fisica, anni ottanta, prima lezione del corso di Fisica dei Solidi. Il professore prima di entrare nel vivo degli argomenti del corso ci fa un piccolo cappello, molto interessante.

L'idea è quella di scrivere qualcosa di generale sull'oggetto di studi del corso. Un corpo solido è forse un concetto un po' troppo vasto. Quello che ci interessa di più è lo stato solido cristallino, dove gli atomi assumono posizioni geometricamente precise, che si ripetono con un certo periodo sulle tre direzioni spaziali. Questo è un fatto sperimentale, messo in evidenza dagli studi di diffrazione di raggi X. Normalmente ha senso distinguere nel singolo atomo del reticolo gli elettroni più interni, strettamente legati ad esso, da quelli più esterni, più indipendenti, la cui dinamica viene senz'altro influenzata anche dalla presenza degli atomi circostanti.

Quali sono i principi generali che regolano la dinamica di un sistema del genere? Li conosciamo? Per quanto ne sappiamo l'unica forza che interviene in modo sostanziale è quella elettromagnetica. Quella gravitazionale è 43 ordini di grandezza inferiore, dunque trascurabilissima. La forza forte e la forza debole permettono in pratica l'esistenza e la stabilità dei nuclei ed hanno un raggio di azione enormemente piccolo rispetto alle distanze che caratterizzano il nostro sistema. Quindi il nostro modello è un insieme di elettroni immersi in un potenziale elettrico periodico generato dal reticolo cristallino. Sotto quale legge evolve il sistema? In questo caso, poichè il sistema è di natura quantistica (la dinamica di un atomo non può essere descritta efficacemente nell'ambito dei principi della meccanica classica) possiamo utilizzare l'equazione di Schroedinger.

Quindi il professore scrive l'equazione di Schroedinger per un sistema di N particelle sottoposte ad un potenziale periodico.

Ci fa notare che lo sforzo è quello di avere un approccio il più generale possibile. Si cerca di descrivere al meglio il sistema di nostro interesse (purtroppo con alcune necessarie approssimazioni) e si applica ad esso un'equazione del tutto generale derivata dai principi primi della meccanica quantistica. Molti degli sforzi della fisica vanno proprio nel senso di riuscire a formulare questi principi primi, applicabili poi di peso a qualunque sistema fisico. Quello della ricerca dei principi primi è un atteggiamento tipico di tutta la scienza.

E ora? Lo schema di pensiero che dobbiamo seguire è di tipo deduttivo. Quello che abbiamo davanti è un'equazione da cui virtualmente possiamo ricavare tutto quello che ci serve di sapere sul sistema. Lì dentro c'è tutto quello che dovremo studiare durante il corso (o quasi tutto, viste le approssimazioni che siamo stati costretti a fare). Un pensiero molto affascinante quello di avere sintetizzato in un'unica equazione tutta la fisica dei solidi. Peccato che risulti praticamente sterile! Nel senso che l'equazione a cui siamo pervenuti è matematicamente intrattabile, si riesce a ricavare ben poco dal suo studio analitico. Troppo complicato! Quello di imbattersi in sistemi intrattabili ancorchè "risolti" dal punto di vista dei principi primi è tipico della scienza, della fisica in particolare.

E allora questo corso come lo facciamo? O meglio, tutte le conoscenze, anche importanti, che abbiamo sulla fisica dello stato solido come vengono fuori? (Si pensi anche solo alla fisica dei metalli o dei semiconduttori). Qui il professore sottolinea che l'approccio utilizzato fino a questo momento è certamente affascinante ma si rivela infecondo. Partire dai principi primi e, semplicemente applicandoli, ricavare per deduzione tutta la fisica di sistemi così complessi è una strada impraticabile. Occorre cambiare radicalmente strategia.

La strategia che ci propone è quella dell'approssimazione, proprio quell'elemento che probabilmente ci aveva dato più fastidio nel ragionamento precedente. Le approssimazioni sul sistema che ci avevano in qualche modo ristretto la validità della trattazione possono diventare i sostegni che ci consentono di andare avanti nel processo di conoscenza. Approssimare significa trascurare termini, individuare aspetti del problema non essenziali, capire l'entità relativa delle grandezze in gioco, saper individuare nella complessità del sistema che si ha davanti i pochi aspetti veramente determinanti (che inevitabilmente dipendono da ciò che siamo interessati a descrivere). Attenzione, formulare un'approssimazione non è affatto semplice. Questa deve avere la capacità di semplificare il problema (e renderlo dunque trattabile) senza banalizzarlo, senza cioè togliere quegli elementi essenziali che lo caratterizzano e che lo rendono interessante.

Su questa soglia critica tra semplice e banale nel pensare una possibile approssimazione si gioca gran parte del talento, dell'immaginazione, dell'intuito e della creatività di uno scienziato.

Possiamo cominciare il corso.

giovedì 17 febbraio 2011

Una frase antipatica

In un libro di Feynmann lessi molto tempo fa una frase sull'insegnamento (Feynmann era famoso anche come didatta) che mi è rimasta impressa: "L'insegnamento è quasi sempre inutile, tranne in quei rari casi in cui è quasi superfluo". Sembra un gioco di parole ma ha un suo senso. Purtroppo.

Durante gli studi, qualunque tipo di studi, hai a volte la sgradevole sensazione di non riuscire a padroneggiare l'argomento che hai sotto il naso come vorresti, e che forse non ci riuscirai mai. Contestualmente non puoi fare a meno di notare che alcuni hanno talmente poche difficoltà da sembrare praticamente già "imparati". Per questi ti rimane sempre il dubbio: hanno studiato tanto (ma proprio tanto)? O c'è qualche altra spiegazione?

Quando insegno mi domando spesso quanto può essere efficacie il mio lavoro sulle persone che mi stanno ascoltando. Anche perchè l'insegnamento è faticoso, richiede spesso un certo sforzo. Tuttavia il rischio che lo studente porti a casa solo una piccola percentuale di conoscenze rispetto al "volume di fuoco" che produci è concreto. E che quindi il tuo sforzo sia in buona parte fatica sprecata. Probabilmente conviene orientare l'insegnamento puntando il più possibile sulle cose importanti, focalizzandole, enfatizzandole, anche a costo di risultare un po' ripetitivo, sperando che non siano troppe rispetto alla normale capacità di ricezione di chi ti ascolta.

Purtroppo capita anche spesso di percepire l'inutilità del tuo lavoro per il motivo esattamente contrario, perchè capisci cioè che ti stai rivolgendo ad una platea già "imparata" (per tanti motivi, molti dei quali potrebbero anche non essere contemplati dalla frase di Feynmann) a cui non hai in concreto molto da dare, e questo è ovviamente motivo di una certa frustrazione. La cosa peggiore è che spesso queste due platee ce le hai davanti nello stesso momento.

Quindi l'insegnamento risulta quasi sempre inutile (o comunque uno sforzo improbo) a causa del poco talento dello studente, o delle sue condizioni di partenza, o dei suoi pregiudizi, o delle sue indisponibilità e inerzie. Problemi spesso molto difficili da superare. Può diventare utile con maggiore probabilità nei confronti di soggetti talentuosi, particolarmente predisposti e motivati, con una storia personale che li ha portati ad avere il livello culturale adeguato, la sensibilità giusta, gli strumenti concettuali adatti. Ma in tal caso questo insegnamento non deve costruire quasi nulla, perde forza spontaneamente perchè trova terreno già solido, dove si può cominciare a costruire bene anche da autodidatta.

Insomma, il contenuto di verità di questa frase mi ha infastidito prima come studente, poi come insegnante.