martedì 26 aprile 2022

La preside, lo studente e i giornalisti

Qualche tempo fa mi è arrivata la notizia che una preside di un istituto romano ha probabilmente (o aveva avuto) una storia diciamo sentimentale con uno studente (maggiorenne). La cosa mi è stata raccontata direttamente da una studentessa dello stesso istituto, un racconto appesantito da altri episodi a margine che hanno certamente reso poco simpatica quella preside agli occhi degli studenti. Ricordo di aver pensato che il suo comportamento effettivamente non sembrava  proprio quello ideale per chi ricopre quel tipo di ruolo ed ero dispiaciuto per gli studenti a cui era toccata in sorte quella preside. L'episodio in sé comunque sapeva un po' di gossip e la questione girava tutta attorno a delle chat sospette oltre che a delle sensazioni precise che venivano dagli studenti dell'istituto.

La cosa che in realtà mi suonava strana era il fatto che una notizia del genere era rimbalzata in poco tempo su tutti i giornali, compreso quelli "prestigiosi" (tipo Il Corriere della Sera) ottenendo così una diffusione nazionale ovviamente ripresa poi dai vari social. Passaggi televisivi, interviste alla preside, ecc. A distanza di poco un'ispezione del provveditorato ha stabilito che non esistevano di fatto gli estremi concreti per prendere misure disciplinari di alcun tipo nei confronti della preside.

Ovviamente quello che rimane di questa storia è una reputazione seriamente compromessa della preside (ogni motore di ricerca da oggi in poi al suo nome e cognome associerà sempre questo increscioso episodio) e agli occhi di chi ha letto la notizia (sicuramente tantissime persone) rimarrà in mente un episodio di mala scuola, tanto per dare un'ulteriori bastonata ad un settore culturale già fortemente compromesso.

Quello che rimarrà a me invece è una cosa diversa, sarà la domanda seguente: ma chi sono quei giornalisti che vanno a raccattare una notizia del genere e la fanno diventare (ancor prima di qualunque seria verifica) un gossip di dominio pubblico? Cosa è diventato il giornalismo che sembra sempre più lontano dalle notizie e sempre più orientato al clickbaiting. In questa vicenda la puzza che si sente non proviene dalla scuola ma da un tipo di giornalismo purtroppo sempre più diffuso e sempre più dannoso, sia per chi rimane vittima di queste azioni di sciacallaggio sia per chi perde il suo tempo a leggerle e se ne deve difendere. Il vero danno culturale sottovalutato è questo.

martedì 19 aprile 2022

Un'omelia

Qualche giorno fa in occasione di un funerale ho ascoltato l'omelia del prete. L'ingenuità delle sue parole era imbarazzante, una serie di cose ovvie sulla vita e sulla morte. Ho pensato che fosse un livello di riflessione che io non mi potrei mai permettere, forse per una questione di amor proprio o di orgoglio personale. Considerazioni di una semplicità sconcertante, contrapposte alla complessità del mondo. O forse rinunciatarie di fronte alla complessità del mondo.

Nei Vangeli più volte Gesù chiede di lasciare tutto e seguirlo. Lo chiede ai suoi dodici apostoli, lo chiede al ragazzo ricco che si presenta per sapere cosa deve fare per meritare il Regno dei Cieli. Lo chiede implicitamente a tutti. Dice di non preoccuparsi dei beni materiali ma di affidarsi a Dio. Alcuni passi che richiamano questa idea sono particolarmente poetici.

Ma in questo messaggio che esorta a lasciare tutto e a seguirlo, a non preoccuparsi di niente e cercare il Regno di Dio (che non è di questo mondo), ci sono solo i beni materiali dell'uomo? O per caso non ci rientrano pure i sui beni intellettuali? Cioè la sua voglia di indagare, di capire, di spiegare a sé stesso i misteri del mondo. Un'attività certamente nobile ma anche un poco affannosa, che distoglie da un qualche "vero obiettivo", e forse senza speranza. Un accumulo di conoscenze che somiglia all'accumulo di ricchezze, anche perché le conoscenze si possono effettivamente trasformare in beni e ricchezze. E' anche questo il messaggio di Gesù? Rinunciate alla comprensione della infinita complessità del mondo, non contate sui vostri vani sforzi, non sprecate energie e pensiero per capire le cose terrene, abbandonatevi a Dio, affidatevi a lui con semplicità e otterrete "un tesoro inesauribile nei cieli".

Questo mi è parso di aver capito dall'ingenua omelia di quel prete. Nell'ipotesi di doverla prendere sul serio. Mi rimane un po' il dubbio se quello che ho capito è un messaggio del predicatore Gesù o della Chiesa Cattolica che nei secoli lo ha interpretato e usato. Ma potrebbe neanche aver senso farsi la domanda.


martedì 12 aprile 2022

La guerra in Ucraina e una frase di Wilson

Qualche tempo fa mi sono imbattuto in una bella frase di E. O. Wilson, un famoso biologo. In occasione della sua morte, avvenuta pochi mesi fa, ho avuto occasione di conoscerlo meglio attraverso articoli e trasmissioni radiofoniche. E' stato anche un grande saggista, e nella mia libreria sosta ormai da qualche anno un suo libro in attesa di essere letto. La frase che mi ha colpito è la seguente: "The real problem of humanity is the following: we have paleolithic emotions; medieval institutions; and god-like technology". L'altro giorno, incalzato dalle orribili immagini della guerra in Ucraina, la frase di Wilson mi è rivenuta in mente perché mi sembrava che in un certo senso riuscisse a "descrivere" questa tragedia umana.

Faccio le seguenti tre osservazioni per spiegarmi meglio:

1. Non credo che questa sia una guerra diversa da tutte le altre, con più morti e più efferatezze. Piuttosto è una guerra molto vicina al nostro mondo e soprattutto minacciata costantemente dall'uso di armi nucleari da parte della Russia. Questo forse è un fatto rilevante. Riconoscere che una tecnologia bellica di una potenza devastante sia in mano ad un invasore ben poco raccomandabile, e che questo faccia leva più o meno esplicitamente su una minaccia del genere è un fatto piuttosto preoccupante. Solo l'idea di per sé è un'assurdità, ma tanto basta. Il problema più in generale sarebbe quello di fare in modo che tecnologie sempre più sofisticate non cadano in mano a soggetti che escono fuori da ogni possibile controllo della comunità globale. Si tratta di un'impresa tanto difficile quanto necessaria. Abbiamo meccanismi sempre più efficienti per la produzione di tecnologia ma istituzioni sempre meno efficienti per il suo controllo.

2. E' proprio quello delle istituzioni ad essere un problema serio. E' frustrante constatare che le istituzioni internazionali, anche quelle nate appositamente per garantire la pace, non siano in grado di fare nulla, che siano del tutto inadeguate alla situazione. Difficile forse individuarne tutte le ragioni ma è evidente che è così. Cosa si sta facendo per negoziare la pace o almeno una tregua? Cosa si è fatto negli anni precedenti per favorire una convivenza pacifica in quelle regioni? Chi può intervenire come entità super partes nelle controversie internazionali? Quali sono e dove sono le armi della diplomazia? La pace è un obiettivo sempre perseguito oppure no? Le logiche di potere sembrano sempre le stesse e rischiano di portare a scontri di cui abbiamo sempre meno capacità di controllo, nonostante la minaccia nucleare sia lì da quasi ottant'anni a chiedere l'urgenza di un cambiamento. Le nostre istituzioni probabilmente sono vecchie rispetto agli scenari attuali.

3. La guerra è una cosa barbara, antichissima, direi primitiva. Uno scontro di poteri per la conquista di territori e risorse. Probabilmente la pratichiamo da quando esistono le tribù, cioè da sempre. All'interno di una guerra avvengono cose impensabili in altri contesti, di una violenza inaudita. Un essere umano può fare cose che in una normale situazione di convivenza pacifica neanche riuscirebbe ad immaginare. E' costretto ad atti di sopravvivenza estrema, dove vengono fuori istinti primitivi incontrollabili. Non credo che se ne possa uscire integri nella personalità.

Quindi le situazioni di guerra sfruttano istinti ancestrali e bisogno di sopravvivenza dei poveri malcapitati che la fanno materialmente, e forse in fondo gli stessi istinti guidano in parte anche i potenti che prendono le decisioni. La società dovrebbe avere istituzioni adeguate per poter evitare che i conflitti politici, economici, territoriali ecc. sfocino in guerre, ma non ce la fanno. La tecnologia non fa altro che fornire strumenti di aggressione sempre più potenti, e ce la fa. E' per questo che mi è sembrato che la frase di E. O. Wilson sintetizzasse bene questo quadro generale estremamente problematico (oltre ad avere un significato ancora più ampio). L'animale Uomo, le organizzazioni sociali, e la tecnologia hanno velocità di evoluzione così differenti da creare su tempi lunghi grossi rischi di sopravvivenza alla nostra specie.