domenica 20 novembre 2016

La sesta estinzione - Prima parte

Recentemente ho letto uno di seguito all'altro due libri che hanno lo stesso titolo, quello del post. Ad essere precisi hanno due diversi sottotitoli. L'argomento trattato è lo stesso ma ovviamente gli autori sono diversi e anche il taglio con cui lo stesso argomento viene proposto è diverso. Dunque aveva senso leggerli entrambi. Tra l'altro la scoperta di due libri con lo stesso titolo l'ho fatta in corso d'opera, cioè mentre leggevo il primo che avevo comprato, dunque la cosa mi è anche risultata piuttosto buffa ("ma questo è il libro che sto leggendo? per caso un'edizione diversa? ma anche gli autori sono diversi, com'è possibile? ....").

Il primo che mi è capitato di comprare è il più recente ed è stato scritto da una giornalista, Elizabeth Kolbert. Il libro ha ottenuto anche il premio Pulitzer 2015. Il secondo invece risale a qualche anno prima ed è scritto a quattro mani da un famoso paleontologo, Richard Leakey, e da un divulgatore scientifico, Roger Lewin. Di fatto è farina del sacco di Leakey, esplicitamente dichiarato nella premessa, il quale per scrivere bene ha avuto bisogno della consulenza di uno che più di lui è abituato a farlo. Non mi risulta che questo secondo libro abbia ricevuto particolari premi e riconoscimenti ma certamente il suo autore ha una fama eccezionale. Si tratta di uno dei maggiori paleontologi viventi, attivo soprattutto nella ricostruzione delle origini dell'Uomo, proseguendo peraltro quello che avevano fatto i suoi altrettanto illustri genitori, Louis e Mary Leakey, autori di fondamentali ritrovamenti, quali il Ragazzo di Turkana e le Orme di Laetoli.

L'argomento è quello che emerge in maniera abbastanza ovvia dal titolo: stiamo assistendo ad un fenomeno di estinzione di massa delle specie biologiche sul pianeta Terra e quella attuale è almeno la sesta estinzione di massa che si è verificata nella storia, stando alle testimonianze geologiche e fossili. In realtà il libro di Leakey descrive una storia un pò più complessa, fatta di numerosi episodi di estinzione più o meno gravi, ma la sostanza è che effettivamente la storia biologica della Terra non è quella di un processo di evoluzione costante, bensì risulta costellata (almeno nell'ultimo mezzo miliardo di anni, che è poi quello degli organismi pluricellulari complessi) da episodi catastrofici. Il fenomeno dell'estinzione è del tutto fisiologico nella storia della nostra biosfera, tanto quanto quello della speciazione, ma lo studio delle testimonianze fossili e delle stratificazioni geologiche hanno indotto a distinguere la cosiddetta estinzione di fondo dagli episodi delle estinzioni di massa, come fatti qualitativamente (oltre che quantitativamente) differenti.

Le domande principali che ci possiamo fare di fronte a questi eventi possono essere due: appurata la loro esistenza e la loro ricorrenza nella storia della vita sulla Terra, quali sono le cause delle estinzioni di massa? E quali sono le loro conseguenze?

Le cause posso essere varie, e i due libri ovviamente si soffermano a descriverne parecchie. Ovviamente queste cause, quali che siano, determinano la modifica di una serie significativa di parametri ambientali. Ma il carattere peculiare dell'estinzione di massa è la velocità con cui avvengono tali modificazioni, perchè questa può essere tale da non consentire alle specie viventi di elaborare nei tempi necessari una risposta adattativa adeguata (si pensi come esempio più eclatante alla famosa ipotesi dell'impatto con un meteorite nell'estinzione del Cretaceo). Quindi in queste fasi si ha una vera e propria sospensione dei meccanismi evolutivi darwiniani (che sono quelli che generano il normale fenomeno dell'estinzione di fondo) sostituiti da meccanismi di selezione puramente fortuiti, del tutto contingenti. Secondo S.J.Gould è anche per questo motivo che "la storia della vita presenta una casualità irriducibile".

Le conseguenze sono interessanti per come vengono descritte nei due libri (specie in quello di Leakey). Presa nei suoi aspetti immediati un'estinzione di massa non può che essere definita una catastrofe. Perdere due terzi della diversità biologica del pianeta in tempi (geologicamente) brevi non sembra niente di buono. Ma la situazione che si viene a creare è quella di un numero consistente di nicchie ecologiche che si liberano e fanno spazio a potenziali forme di vita successive. Cioè da una situazione di "saturazione biologica", fatta da un numero elevato di specie in relativo equilibrio tra loro, si passa ad una nuova situazione molto instabile ma potenzialmente ben più feconda. Le estinzioni di massa sono cioè eventi distruttivi e creativi insieme, danno nuove possibilità al vivente, consentono l'affermarsi di nuove soluzioni. L'ultima di queste situazioni feconde ha determinato l'ambiente favorevole alla nascita di Homo Sapiens. Richard Leakey usa una metafora teatrale per descrivere questi passaggi drammatici: "Se si considera la storia della vita come un dramma messo in scena sul pianeta Terra, lo si può immaginare disturbato da ripetute interruzioni, dopo ciascuna delle quali il cast sul palcoscenico cambia: alcuni personaggi, prima importanti, scompaiono del tutto o assumono ruoli minori; altri, prima dietro le quinte, ora entrano in scena con ruoli da protagonisti [...]. Homo Sapiens è uno dei personaggi la cui presenza sulla scena fu influenzata dallo sconvolgimento causato dall'ultima estinzione di massa, quella che ebbe luogo alla fine del Cretaceo".

Ma in realtà la tesi dei due libri è che l'estinzione del Cretaceo sia la penultima, perchè nell'ultima ci siamo dentro. Dunque è questa che ci interessa di più, ed è su questa che ci vogliamo fare le stesse domande: quali sono le cause? Quali saranno le conseguenze?

(leggi la seconda parte ...)

lunedì 14 novembre 2016

Il lato perverso della beneficenza

Le attività di beneficenza sono sempre più diffuse nella nostra società, uno dei motivi è sicuramente che si sono moltiplicati i modi facili e asettici per farlo. Difficile averne un'opinione negativa, specialmente in certe situazioni. Però è evidente che quasi sempre si può ravvedere in essa un comportamento tipico di una società che accetta le disegualianze, e in certi casi addirittura un comportamento connivente con le ingiustizie sociali.

Purtroppo molto spesso si sente pronunciare la solita frase "gli extracomunitari vengono a rubare il lavoro agli italiani". Una frase dai contenuti razzisti, il cui peggior difetto però è secondo me quello di approssimare brutalmente la realtà, e quindi di falsarla. In fisica si direbbe che è un'approssimazione talmente grande da far perdere i contenuti significativi del problema che si vuole effettivamente descrivere. Frequentemente a questa frase si risponde dicendo che "in realtà gli extacomunitari vengono in Italia a fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare". Questa risposta spoglia l'argomento iniziale dai suoi contenuti razzisti, che è poi il motivo per cui fondamentalmente viene pronunciata, ma secondo me di nuovo è ancora un'approssimazione che non rappresenta così bene la realtà. Usarla come slogan per rispondere agli altrettanti slogan degli xenofobi può avere una qualche giustificazione ma non la rende più vera.

Una signora telefona alla radio sostenendo con forza che non ne può più di sentir dire che gli italiani non vogliono più fare certi lavori, trova questa affermazione anche offensiva. Racconta che questa estate lei e la figlia hanno girato invano per varie aziende agricole della loro zona nel tentativo di poter fare la raccolta della frutta. Non perchè ne avessero bisogno per campare ma perchè la madre, ricordando di averlo fatto da ragazza, voleva proporla alla figlia, per il classico gruzzoletto che a quell'età ti può rendere in parte indipendente. Il primo lavoretto, insomma. Tutte le aziende agricole rispondevano invariabilmente che non avevano bisogno, salvo poi constatare che le campagne nei dintorni erano piene di extracomunitari impegnati nella raccolta.

Perchè le aziende agricole scelgono di dare il lavoro solo agli extracomunitari? Ovvio, li pagano meno, li trattano in un modo in cui non si potrebbero permettere se fossero cittadini italiani. Le aziende agricole colpevolmente fanno margini su questo. A seguito di questa scelta colpevole gli extracomunitari non riescono a sostentarsi adeguatamente con i trattamenti economici da fame proposti e quindi attorno a loro agiscono varie organizzazioni umanitarie (onlus, boy scout, parrocchie, ecc.). Queste organizzazioni, anche se non dovessero ricevere nulla dallo Stato, ottengono finanziamenti attraverso le tante donazioni di beneficenza che arrivano in vario modo dai cittadini italiani. Purtroppo il risultato è che tali attività di beneficenza alla fine consentono alle aziende agricole di aumentare in modo significativo i loro margini di guadagno, sulle spalle degli extracomunitari, che così non riusciranno mai ad uscire da una situazione di povertà umiliante, e sulle spalle di tutta la comunità. Quest'ultima però non soffre, perchè la beneficenza è volontaria e dunque sostenibile, non intacca il benessere delle persone che la fanno. Al netto rimane l'ingiustizia sociale verso gli extracomunitari. Tutte le ingiustizie sociali rimangono immutate al passaggio delle varie azioni di beneficenza.