giovedì 25 agosto 2016

Terremoti e cultura condivisa

E' un po' che mi capita di leggere e riflettere sulle conseguenze di una presunta progressiva scomparsa di una cultura condivisa. In pratica o si è specialisti di qualcosa o si è ignoranti, che poi è lo stesso; chi è estremamente specializzato in un settore particolarissimo della conoscenza è automaticamente semianalfabeta su tutto il resto. E' sempre più raro avere una buona cultura generale, forse perchè è sempre meno conveniente e sempre meno facile costruirsela. E probabilmente non è neanche un valore coltivato dalla nostra società, dove tutte le conoscenze che si acquisiscono durante la propria carriera scolastica a tutti i livelli sono sempre più giustificate da fini strettamente professionali. L'obiettivo non è quello di acquisire conoscenze ad ampio raggio per essere dei buoni cittadini ma quello di acquisire le giuste competenze per essere produttivi in una qualche professione.

Ma la cosiddetta cultura condivisa, ovvero l'insieme delle conoscenze raggiunte dalla gran parte dei cittadini, ha un'importanza cruciale per la società, più di quanto non sembri a prima vista. La concentrazione dei saperi in società sempre più complesse come le nostre è preoccupante almeno quanto la concentrazione delle ricchezze, e in una qualche misura vedo le due cose come collegate. Gli specialismi e le ignoranze, la parcellizzazione estrema delle conoscenze ha indubbiamente delle conseguenze negative a cui sto cercando di fare attenzione.

Questa mattina ad una trasmissione radiofonica sul recente terremoto in centro Italia (tra Norcia e Amatrice) un commento andava proprio in questa direzione. La tesi di chi parlava era che per mettere in sicurezza i nostri abitati vanno coinvolti (e aiutati) direttamente i privati, ovvero i proprietari, la popolazione. Ma per far questo prima ancora di erogare aiuti economici occorre soprattutto rendere il più possibile consapevole questa popolazione sia dell'entità del problema sia di come deve essere trattato. Il cittadino deve capire, perchè solo questo lo può convincere ad investire anche il proprio denaro per la propria sicurezza. Diversamente gli aiuti economici che provengono dallo Stato, e che comunque non sarebbero certo sufficienti (il problema su scala nazionale è immenso), hanno una buona probabilità di essere spesi male. A tutti i livelli della società deve essere ben comunicato e quindi ben compreso il difficile problema del rischio sismico, primo e più importante passo verso la sua (lenta) soluzione. Il problema prima di essere organizzativo è conoscitivo. Si tratta di conoscenze importanti che devono essere patrimonio di tutti, pena il fallimento di qualsiasi piano di sicurezza.

Questo mi pare un classico esempio di come il patrimonio di conoscenze condivise di una società sia di importanza decisiva per la società stessa. Altrimenti a fronte di ampie conoscenze sul rischio sismico (per pochi specialisti) ci saranno altrettanto ampie fasce della cittadinanza che non saranno in grado neanche di porsi correttamente il problema, o di analizzarlo decentemente (come purtroppo risulta dai molti commenti assurdi sui terremoti che girano allegramente sui social ad ogni triste evento di questo genere).