sabato 22 luglio 2023

Tecnologia e religione

In questo periodo nelle librerie c'è un libro di Chiara Valerio intitolato «La tecnologia è religione». La tesi sarebbe che la tecnologia nel nostro mondo è percepita un po' come una religione, nel senso che viene assunta come un dato di fatto in cui credere piuttosto che qualcosa da capire. Non ho letto il libro e credo che non lo farò, ho letto un suo libro precedente incuriosito dal titolo («La matematica è politica») e non mi ha soddisfatto molto (scrive come parla, un fiume di roba non molto coerente). Anche quest'ultimo titolo è una di quelli che stuzzicano la curiosità ma questa volta non mi sono lasciato convincere. A parte il fatto che non mi sembra neanche così originale, considerando la famosa "legge" di Arthur C. Clarke («Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia») e il conseguente "corollario" di Michael Shermer («Qualunque intelligenza extraterrestre sufficientemente avanzata è indistinguibile da Dio»). Però come dicevo è un titolo stuzzicante, perché mi ha fatto venire in mente che si potrebbe dire invece l'esatto contrario, cioè che in realtà è la religione ad essere una tecnologia.

La tecnologia è fatta di idee, innovazioni e dispositivi che aiutano l'uomo a vivere, nonostante si accompagnino sempre ad aspetti problematici che vanno tenuti sotto controllo. L'invenzione del linguaggio, dell'agricoltura, della scrittura, dei sistemi di numerazione posizionali, della stampa, del denaro, tanto per citare le invenzioni più antiche che ci dicono che la tecnologia esiste da quando esiste l'uomo, ed è probabilmente la cosa che lo caratterizza di più come specie.

Le religioni possono essere pensate proprio come sistemi di credenze che mostrano le due principali caratteristiche tipiche di qualunque innovazione tecnologica, da una parte aiutano a vivere (forniscono una concezione teleologica dell'esistenza), dall'altra si accompagnano ad aspetti problematici (subiscono forti strumentalizzazioni da parte del potere, generano conflitti tra credenze diverse, causano guerre).

Si dice spesso che la tecnologia è qualunque cosa sia stata inventata dopo la tua nascita. Perché solo se una cosa è stata introdotta durante la tua esistenza viene percepita come un'innovazione che in misura più o meno grande ti cambia la vita. Tutto quello che hai trovato perchè già presente prima della tua nascita viene percepita come una cosa "naturale", scontata, da sempre esistita, non hai conosciuto il mondo senza di essa. E' roba che esiste, punto e basta. Le tecnologie che ho nominato prima, tutte molto vecchie, spesso non vengono percepite neanche come vere e proprie innovazioni tecnologiche, occorre fare uno sforzo per immaginare il mondo senza di loro.

Le religioni assomigliano a innovazioni tecnologiche comparse in tempi talmente remoti che hanno perso la loro fisionomia di idee introdotte in qualche momento nella vita dell'uomo (forse in concomitanza con la comparsa del culto dei morti), ci accompagnano da talmente tanto tempo che spesso non si sente neanche il bisogno di rifletterci troppo, sono lì da sempre. Pensarci senza di esse ci sembra innaturale. Eppure non è illogico trattarle come invenzioni, peraltro anche di grande impatto nella nostra vita. Il genetista Luigi Luca Cavalli Sforza ricorda che il suo professore di genetica, Adriano Buzzatti Traverso, diceva che Dio è stata la più grande invenzione dell'uomo.

 

domenica 16 luglio 2023

Abusi di potere

Qualche giorno fa Vittorio Sgarbi è stato protagonista di uno dei suoi interventi "coloriti" nell'ambito di un incontro pubblico al Maxxi di Roma, alla presenza dell'attuale direttore del museo Alessandro Giuli e di un secondo ospite (Morgan). Il termine colorito sta ad indicare l'uso del turpiloquio in un contesto in cui è del tutto fuori luogo, inutile e inopportuno, funzionale solo al solito scopo di alzare polvere intorno ad un evento altrimenti anonimo. Sono convinto che, sebbene si sia scusato in seguito, questo fosse un obiettivo non esplicitamente ammesso dello stesso direttore del museo. C'è da sempre l'abitudine a fare un uso scandalistico delle presenze di Sgarbi in eventi pubblici per "amplificarli", e questo sin dal suo primo apparire in televisione, ormai molti anni fa, se non ricordo male nelle trasmissioni di Maurizio Costanzo.

La cosa intollerabile di questi episodi non è tanto la loro volgarità, che qualifica l'autore, quanto il fatto che rappresentano in modo sfacciato un abuso di potere, un comportamento giustificato solamente dalla presunzione di essere intoccabile, e dalla voglia di esprimerlo chiaramente. Supponiamo che l'evento pubblico prevedesse anche un dibattito con gli spettatori presenti, e che uno di loro si fosse permesso di utilizzare un linguaggio simile. Non gli sarebbe stato consentito di finire il suo intervento, sarebbe stato messo alla porta immediatamente e giustamente. Ecco, allora con questi suoi siparietti volgari Sgarbi ci dice sempre chiaramente una cosa del tipo "io so io, e voi non siete un cazzo", come Alberto Sordi nel film Il marchese del Grillo.


domenica 2 luglio 2023

Anche Lamarck aveva le sue ragioni

Ricordo bene che da giovane, in quel periodo in cui studi per il solo gusto di capire le cose senza ancora troppe ansie e precisi obiettivi, e che proprio per questo sei portato qualche volta a riflettere su tante cose non tutte esattamente pertinenti a quello che dovresti studiare, mi ero fatto un modello dell'evoluzione umana basato sulla combinazione tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale. Avevo proprio fatto un grafico qualitativo in cui pensavo alla possibilità di definire una soglia del grado di intelligenza umana oltrepassata la quale i processi di evoluzione culturale sovrastavano del tutto quelli dell'evoluzione biologica. Sotto questa soglia lavorava l'evoluzione biologica con i meccanismi classici del darwinismo come per tutte le altre specie, sopra questa soglia l'evoluzione biologica poteva anche essere trascurata perché un'altra evoluzione, con tempi decisamente più rapidi, si sovrapponeva e diventava presto determinante. Quale poteva essere questa soglia? La pensavo come più o meno coincidente con l'evoluzione del linguaggio, cioè con la possibilità sofisticata e ben al di sopra di quella mostrata da tutte le altre specie di poter comunicare idee e forse anche di costruirle nella propria mente. Pensavo ad una velocità di evoluzione lineare per quella biologica e ad una velocità esponenziale per quella culturale, ma ovviamente l'ipotesi non era minimamente suffragata da nessun dato sperimentale e da nessun ragionamento teorico di tipo quantitativo.

Molti anni più tardi mi è capitato di leggere uno scritto di Luigi Luca Cavalli Sforza che tratta proprio questo argomento. L'ho letto proprio perché il titolo ("L'evoluzione della cultura") mi ricordava quegli anni in cui avevo fatto le mie semplici considerazioni. L'autore parte cercando di dare una definizione di cultura (mi sembra l'approccio giusto) nel modo seguente: "accumulo globale di conoscenze e innovazioni, derivante dalla somma di contributi individuali trasmessi attraverso le generazioni e diffusi al nostro gruppo sociale, che influenza e cambia continuamente la nostra vita". Nella definizione si parla di "conoscenze e innovazioni" che vengono "trasmesse" sia nello spazio (diffuse all'attuale gruppo sociale) che nel tempo (tramandate attraverso le generazioni). Per semplicità potremmo chiamarle rispettivamente trasmissioni orizzontali e verticali. Subito dopo l'autore individua anche l'agente trasmissivo: "Questo sviluppo è stato reso possibile dalla capacità di comunicazione fra individui dovuta alla maturazione del linguaggio". L'uso della comunicazione orale tramite l'invenzione di un linguaggio sofisticato è particolarmente efficacie nella trasmissione orizzontale, un po' meno in quella verticale. L'autore quindi, poco più in là, sottolinea anche l'importanza dell'invenzione della scrittura che tra i suoi tanti vantaggi ha anche quello di favorire la trasmissione verticale della cultura, quindi la nascita della Storia, e di rafforzare il senso di identità della specie umana.

Cavalli Sforza sottolinea la cornice concettuale unitaria sotto la quale possiamo descrivere sia l'evoluzione biologica che l'evoluzione culturale, pur considerando le ovvie differenze: "Naturalmente nell'estensione dalla biologia alla cultura molte cose cambiano, a cominciare dagli oggetti che evolvono: il DNA nella biologia, le idee nella cultura. Cambiano i nomi che diamo ai meccanismi evolutivi particolari (per i geni e per la cultura) ma non cambiano i concetti teorici". Piuttosto c'è senz'altro un livello diverso di progresso nelle due discipline dovuto essenzialmente ad una migliore comprensione dei meccanismi di trasmissione dell'informazione biologica rispetto a quelli che dovrebbero sostenere l'evoluzione culturale.

Ci sarebbe anche (e nel passato effettivamente c'è stato) il pericolo che il termine evoluzione culturale sottintenda il concetto di progresso e che questo porti a fare classificazioni tra popolazioni umane che sono evolute culturalmente in modi diversi e ad avallare atteggiamenti di razzismo. Questo pericolo tra l'altro è contenuto anche nel concetto di evoluzione biologica. Ma il problema viene generalmente superato dall'idea che in entrambi i tipi di evoluzione quello che si raggiunge è semplicemente un adattamento al particolare ambiente, rendendo insensata una scala di progresso assoluta.

Un aspetto interessante del testo di Luigi Luca Cavalli Sforza è quello che riguarda la comparazione tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale. L'evoluzione biologica è ben descritta dalla teoria dell'evoluzione per selezione naturale proposta da Darwin nel 1859. Sforza scrive che l'evoluzione darwiniana è un meccanismo di "trial and error": il tentativo (trial) è ogni mutazione del patrimonio ereditario (il DNA). Essa avviene spontaneamente e in direzioni casuali. La maggior parte delle mutazioni non ha effetti importanti (mutazioni selettivamente neutrali). Molte mutazioni sono invece dannose (error) e vengono automaticamente eliminate con l'individuo che non sopravvive. Infine alcune mutazioni possono essere vantaggiose in relazione all'ambiente e per questo vengono selezionate (aumentano la probabilità di sopravvivenza e di riproduzione dell'individuo) e trasmesse alle generazioni successive, innescando un meccanismo evolutivo.

L'evoluzione culturale non segue lo stesso schema dell'evoluzione biologica. L'elemento che viene sottoposto a selezione non è una mutazione genetica casuale ma un'idea/innovazione di tipo cosciente. Sforza scrive che "la mutazione culturale, cioè l'invenzione, a differenza di quella biologica, non è un fenomeno indipendente dalla nostra volontà, non è un fenomeno che si possa considerare casuale, ma ha quasi sempre lo scopo di risolvere un problema pratico particolare". Nello schema di evoluzione culturale c'è in un certo senso la "volontà di evolvere". Inoltre le mutazioni culturali non si trasmettono solo di padre in figlio, la loro capacità di diffusione è ben più ampia e veloce, agendo sia in orizzontale che in verticale, sia tra generazioni che tra individui dello stesso gruppo.

La conclusione è che le caratteristiche dell'evoluzione culturale (e le sue differenze con l'evoluzione biologica) ce la fanno classificare come un'evoluzione di tipo Lamarckiano, ne ha tutte le caratteristiche principali. Curiosamente Lamarck, secondo quanto dice Sforza, "non distingueva affatto fra eredità biologica e culturale quando parlava di 'eredità'". Nell'evoluzione biologica il suo modello è risultato sostanzialmente sbagliato, mentre nell'evoluzione culturale sembra funzionare bene.

In realtà la visione di Lamarck (che risale al 1809, ben prima della teoria di Darwin) ha le sue ragioni anche all'interno dell'evoluzione biologica, proprio per le possibili interazioni tra evoluzione biologica e culturale. Se da una parte i due meccanismi vanno tenuti ben distinti dall'altra possono influenzarsi a vicenda, consentendoci di parlare di "coevoluzione biologico-culturale". Un esempio di questa interazione viene fornito da Cavalli Sforza nell'episodio dell'enzima lattasi.

Un po' più di diecimila anni fa il cibo normalmente consumato dalle comunità umane cominciò a scarseggiare probabilmente in seguito a cambiamenti climatici legati alla fine dell'ultima glaciazione. In questo contesto difficile subentra la capacità dell'uomo di innovare e di trasmettere rapidamente le innovazioni attraverso il linguaggio. Nasce e si diffonde la capacità di addomesticare e allevare bestiame (caprini, ovini, bovini). Oltre alle loro carni questi animali domestici sono produttori di latte, e l'idea di consumare latte diventa una soluzione facile al problema del sostentamento. Fino a qui in questo episodio di storia dell'uomo è intervenuta l'azione dell'evoluzione culturale. Il problema che però si manifesta subito è l'incapacità di produrre l'enzima lattasi di buona parte degli individui in età adulta che impedisce loro di avvalersi di una fonte così importante di nutrizione (tali individui non riescono a digerire il latte). Questa capacità è genetica e quindi ereditabile. I possessori della mutazione che garantisce la capacità di produrre lattasi anche in età adulta diventano immediatamente portatori di un vantaggio evolutivo. Su di loro, più esattamente sulla loro mutazione, può agire la pressione selettiva dell'evoluzione biologica darwiniana.

Dunque una situazione ambientale ha determinato una pressione selettiva causata da una "mutazione culturale" secondo un meccanismo Lamarckiano (chi praticava la domesticazione e l'allevamento aumentava considerevolmente le sue probabilità di sopravvivenza), e questa circostanza ha modificato l'ambiente che ha determinato a sua volta l'esposizione di una mutazione biologica (che diversamente sarebbe stata del tutto inutile) ad una pressione selettiva di tipo biologico secondo un meccanismo Darwiniano.

In questo episodio di coevoluzione biologica-culturale un'evoluzione di tipo lamarckiano è stata determinante nel provocare una conseguente evoluzione di tipo darwiniano.