lunedì 30 maggio 2022

Amore e morte (un'altra omelia)

Mi è capitato di nuovo, nel giro di poche settimane, di seguire una funzione religiosa. Come al solito bado molto poco agli aspetti del rito, quelli assumono un significato simbolico importante se sei un convinto credente. Forse esagero, nel senso che il rito religioso di una comunità che partecipa in modo sentito è comunque una manifestazione di umanità che può addirittura commuovere, indipendentemente dalle tue convinzioni. Ma al di là di questo la mia attenzione si rivolge regolarmente all'omelia, che in certi casi (non sempre) esce dalle formule del rito e delle frasi fatte per fare una riflessione personale (del prete) sull'episodio del Vangelo appena letto e sulla vita in generale. Dunque l'ascolto.

Il prete parlava dell'amore, quello di Dio per noi (sempre scontato) e quello nostro per gli altri (meno scontato). Nel cercare di definirlo dice una cosa interessante, "quando amiamo davvero, qualcosa in noi muore". L'amore implica la morte di qualcosa. Non male, c'è da pensarci su. Effettivamente è vero che quando amiamo gli altri e mettiamo in pratica questo amore rinunciamo a qualcosa di noi, qualcosa in noi muore. Se non altro perché chi amiamo è sempre diverso da noi, e da noi indipendente, nel pensiero e nelle scelte. È una sensazione frequente, forse un fatto  anche un po' banale, ma è così.

Non avevo mai colto questa cosa in modo così chiaro. L'amore è un dono agli altri, che comporta sempre la morte di qualcosa (tempo, scelte, decisioni, aspirazioni, volontà, desideri). E non è sempre una scelta così consapevole, ha invece l'aspetto di un fatto necessario, naturale. In fondo anche la stessa morte fisiologica è un dono agli altri, in particolare alle nuove generazioni, ai figli. Quando li lasciamo scegliere muore la nostra volontà, e così deve essere. Quando ce ne andiamo gli doniamo il futuro, che non può essere più nostro, e dobbiamo accettarlo, è il nostro estremo atto d'amore per loro, pur se involontario, perché naturale. L'amore funziona così, è la nostra natura.

C'è una frase di Renzo Piano che mi piace molto. Parafrasando la metafora di Newton che per vedere lontano è dovuto salire sulle spalle dei giganti, Renzo Piano dice che "non sono i giovani" (i nostri figli, dico io) "a salire sulle nostre spalle, siamo noi a salire sulle loro, per intravedere le cose che non potremo vivere". E aggiunge "i giovani sono il messaggio che mandiamo a un mondo che non vedremo mai". Un atto d'amore, appunto. E un estremo tentativo di sopravvivenza.


martedì 24 maggio 2022

Il problema ecologico tra animismo e razionalismo

Il problema ecologico dovrà trovare delle soluzioni efficaci in ambito scientifico e tecnologico. Occorrerà saper misurare in maniera sempre più esatta l'impatto ambientale dei nostri consumi energetici, dei nostri processi industriali e anche delle nostre abitudini di vita, in particolare dei nostri livelli di consumo, della produzione di inquinamento nelle sue varie forme inclusa la produzione di rifiuti. Occorrerà escogitare tecnologie che intervengano in tutti questi settori della vita sociale per ridurre al massimo l'impatto negativo che stiamo producendo sull'intero ecosistema. Non ultima, e forse la cosa più importante perché collega con un unico filo rosso tutte le altre, dovremo probabilmente correggere per non dire riformulare i nostri sistemi economici decisamente troppo liberisti e iniqui. E' evidente che stiamo creando pesanti disequilibri sia nell'ambiente che ci consente la sopravvivenza sia nelle nostre società che ci consentono la pacifica convivenza, ed è anche evidente che questi due disequilibri sono collegati in qualche modo tra loro.

Le trasformazioni richieste da obiettivi del genere sono molto pesanti, e servono politiche molto audaci per produrle e renderle tollerabili. Il motore di queste grandi trasformazioni, che coinvolgono necessariamente tutti i livelli della società, dovrebbe essere anche culturale. Questo rende tutto molto più difficile. E' una nuova visione del mondo quella che dovrebbe emergere nelle società del futuro. Proprio per questo motivo mi ha colpito e mi è rimasta in memoria una considerazione percepita distrattamente alla radio qualche tempo fa. Secondo le voci dialoganti in radio in quel momento sarebbe necessaria una visione più religiosa del mondo, ma non religiosa in senso Cattolico, anzi, forse questa andrebbe nella direzione opposta a quella voluta. Occorrerebbe una visione religiosa di tipo animista. Quell'atteggiamento cioè che vede la sacralità in tutti gli elementi naturali in cui la vita dell'uomo è fatalmente immersa. Opposta al nostro usuale modo di vedere la natura come l'oggetto passivo delle nostre illimitate manipolazioni, tutte legittime anche se drammaticamente invasive. Ovviamente tra gli elementi sacri della natura ci sarebbe proprio l'uomo, non però come essere eletto, espressione di un altro mondo non naturale e per il quale il mondo naturale è stato fatto, ma come espressione di questo mondo.

Questo però a mio avviso sarebbe solo una parte dell'atteggiamento culturale giusto per affrontare i problemi ambientali che abbiamo di fronte a noi. A questa andrebbe unita la parte razionalista, quella che consentirebbe di risolvere quegli stessi problemi con l'uso di tutto quello che abbiamo capito, che abbiamo costruito e che abbiamo imparato ad usare nella nostra breve storia di specie intelligente.

Parafrasando quello che Stephen Jay Gould scriveva nel prologo del suo libro Bravo Brontosauro (che però in quel caso si riferiva specificatamente agli stili con cui la divulgazione scientifica descrive la storia naturale) si potrebbe dire che il nostro rapporto con la natura dovrebbe scaturire da una giusta combinazione di due atteggiamenti apparentemente antitetici, quello francescano o di tipo diretto, intuitivo, estetico, religioso, e quello galileiano o razionalista. Il primo è "poesia della natura, esaltazione della bellezza organica". Il secondo "trae piacere dagli enigmi intellettuali della natura e dalla ricerca della spiegazione e della comprensione". E come dice Gould entrambi alla fine ricercano una unità con la natura. L'equilibrio tra questi due modi di rapportarci col mondo naturale potrebbe aiutarci a trovare le strategie giuste per preservarlo. O meglio, per preservarci in esso.


venerdì 6 maggio 2022

Una serie inutile

Tempo fa un collega mi ha consigliato la serie Le fate ignoranti, che riprende la storia del film omonimo di circa venti anni fa. Il film era molto bello (questa della serie è stata anche un'occasione per rivederlo) e trattava il tema dell'omosessualità, all'epoca non ancora così inflazionato. C'era anche il tema della vita di coppia, di come può essere costruita sulle cose non dette, di come possa nascondere interi tratti della personalità. Insomma un bel film.

La serie mi è apparsa quasi del tutto inutile, ho faticato a guardarla per intero, volevo interromperla già al primo episodio ma mi sono sforzato per non fare sempre quello che non riesce ad essere costante neanche su otto puntate di una singola stagione. Ma non c'era ragione di continuare a vederla. Ne scrivo perché mi pare di aver trovato in essa i due peggior difetti che si possono incontrare in un  prodotto del genere. In un certo senso il prototipo di una serie brutta.

Il formato di una serie è spesso quello di una decina di episodi (da 8 a 12, per dare un intervallo statistico) della durata di un'ora scarsa ciascuno. In questo arco la storia deve avere un suo sviluppo quasi chiuso, dove quel quasi è poi la chiave per una nuova stagione, e così via. Il singolo episodio è decisamente ridotto rispetto ad un film, quindi ben più fruibile, ma complessivamente la durata della narrazione è molto più lunga. Lo spezzettamento in episodi rende la serie un diversivo di mezza serata che va avanti per un bel po'. Poco impegnativo e fidelizzante. La vasta produzione rende questa pratica virtualmente infinita. Si possono fagocitare ore e ore di produzione televisiva come sarebbe ben difficile fare altrimenti.

Ne Le fate ignoranti questa caratteristica però diventa un vero problema. La sceneggiatura è praticamente identica a quella del film, ma va raccontata in circa 6-7 ore di filmato. Vengono fuori due difetti lampanti. Il primo è quello di inventare piccoli episodi laterali (ogni personaggio con le sue personali vicende è in qualche momento protagonista della storia) che spalma la trama e l'idea principale in tante cose inutili, veramente inutili. Il secondo è quello che tutti gli elementi della trama vengono raccontati "per filo e per segno", senza lasciare niente all'immaginazione dello spettatore, in maniera didascalica e pedante, anch'essa inutile, perfettamente inutile. Alla fine stai lì a contare quale personaggio ha ancora la sua piccola storiella rimasta in sospeso, che sai che verrà raccontata nei dettagli, lo sai. Solo dopo che tutto il raccontabile è stato raccontato la serie finalmente finisce.