lunedì 26 ottobre 2015

Astrazione e generalizzazione

Normalmente si indica il rigore del ragionamento logico come l'aspetto più caratterizzante della matematica. È anche l'elemento che solitamente la fa classificare da chi non la conosce come una disciplina meccanica e quindi piuttosto arida.

Effettivamente il ferreo concatenamento logico che porta da certe premesse a certi risultati, tipico delle dimostrazioni dei teoremi, ha l'aspetto di qualcosa di inevitabile, dunque di meccanico. Tanto è vero che le costruzioni assiomatiche di certi periodi relativamente recenti della storia della matematica possono portare ad accostarla metaforicamente ad una scatola di costruzioni, dove si parte da una serie di mattoni non modificabili e da una serie di regole con cui combinarli assieme. Da questo gioco di combinazioni meccaniche vengono fuori tutte le verità matematiche, intese come tutte le asserzioni sintatticamente corrette del linguaggio, dunque accettabili in quanto dedotte dal materiale di partenza. Sarebbe solo un problema di pazienza, essendo tutte le asserzioni possibili in qualche modo già contenute negli assiomi e nelle regole di inferenza (come dire che i tipi e la quantità di mattoncini a disposizione determinano già in modo completo tutto quello che posso costruire, che in un certo senso è vero). Definito un sistema assiomatico un computer potrebbe derivarne facilmente tutte le verità (affermazioni corrette) contenute in esso (teoremi di Goedel a parte ...).

Però la cosa che veramente colpisce della matematica, per chi la studia un po', non credo che sia questo, almeno per me non è stato questo. Certo, il fascino di alcuni procedimenti dimostrativi, soprattutto di quelli studiati durante gli anni universitari, me li ricordo molto bene. La necessità di introdurre definizioni molto precise (anche se apparentemente pedanti) è un altro ricordo molto chiaro, tra l'altro lo sforzo di comprendere al meglio tali definizioni ha certamente migliorato di molto la mia comprensione della disciplina, penso soprattutto all'analisi matematica.

Ciononostante è il grado di astrattezza e il conseguente carattere di grande generalità delle affermazioni che mi ha sempre impressionato di più. Questa sua caratteristica rende la matematica estremamente "portabile" (per utilizzare un'espressione in uso nella tecnologia del software) e dunque estremamente potente. La conseguenza è che gli oggetti che definisce e le affermazioni che ci fa sopra possono tornare utili per le applicazioni più disparate, spesso in campi enormemente distanti tra loro (almeno apparentemente). In questo senso la matematica gioca anche un ruolo in qualche modo "unificante", getta ponti tra discipline che sembrano non avere nulla a che fare tra loro. Un grande merito, indubbiamente.

La prima volta che ebbi l'occasione di riflettere su questo è stato durante i corsi di matematica dei miei primi anni di studio universitario. Ricordo che la generalità delle affermazioni era un obiettivo costantemente perseguito nella disciplina, anche quando questo non sembrava a prima vista così necessario o così utile, almeno ai fini pratici. Un esempio (non l'unico) fu quello delle equazioni differenziali (ma varrebbero le stesse considerazioni per le equazioni algebriche, anche se di questo me ne sono reso conto molto tempo dopo). Come è noto si tratta di equazioni in cui l'incognita da determinare non è una variabile ma una funzione. Il punto è che tali equazioni sono tipicamente molto difficili da affrontare e le soluzioni in forma analitica sono calcolabili solo in un sottoinsieme molto ridotto di tutti i casi possibili.

Ma il calcolo delle soluzioni è l'obiettivo principale che ci si pone? O meglio, è l'unica cosa veramente interessante su cui ragionare? Per un matematico non è affatto detto che sia così. Si possono studiare proprietà di questi oggetti che non hanno a che fare con la costruzione diretta delle loro soluzioni ma che portano comunque a risultati molto interessanti, e soprattutto molto generali. Ad esempio ci si potrebbe chiedere se le soluzioni effettivamente ci sono oppure no, in quali casi e sotto quali condizioni. E non è affatto detto che per rispondere a questa domanda si debbano esibire delle soluzioni esplicite. Anzi, potrebbe essere del tutto inutile. Spesso la costruzione esplicita di una soluzione presuppone (vista la grande difficoltà dell'argomento) la necessità di mettersi in un caso particolare. Ma l'obiettivo più importante del lavoro rimane il risultato generale.

Nella teoria delle equazioni differenziali ordinarie viene impostato un problema detto di Cauchy. Ricordo come fosse ieri le lezioni (più di una) impiegate dal professore di analisi per definire, illustrare e dimostrare il risultato più importante intorno a questo problema: "dato un problema di Cauchy la sua soluzione esiste sempre ed è unica". La generalità stava nel fatto che per come era impostato non si trattava affatto di un singolo problema (non avrebbe avuto dignità sufficiente) ma di una classe di problemi, ovviamente in numero infinito. L'ulteriore fascino stava nel fatto che questa dimostrazione non era costruttiva, cioè non dimostrava l'esistenza delle soluzioni costruendole, anzi, non diceva proprio nulla sulla loro costruzione.

Per noi studenti di fisica il problema di Cauchy rappresentava la formalizzazione della famosa equazione di Newton F=ma, che esprime l'altrettanto famosa seconda legge della dinamica. Il significato di questo risultato era che dato un corpo di una certa massa sottoposto a forze, la conoscenza della sua posizione e della sua velocità in un certo istante ne determina univocamente la sua traiettoria passata e futura. Non male, valeva lo sforzo delle lezioni fatte.

Effettivamente il problema appena descritto non è poi così "portabile" e a pensarci bene neanche è stato proprio il primo esempio che mi ha fatto riflettere in modo così preciso su certe caratteristiche della matematica (probabilmente prima di esso c'è stato lo studio dell'algebra degli spazi vettoriali). Però è l'approccio allo studio di quel problema e la generalità del risultato a cui porta che mi è rimasto particolarmente impresso. Penso che sia prorio questo, la grande capacità di astrazione e di generalizzazione nell'approccio ai problemi, il punto di forza (e di grande fascino) della matematica, e che sia principalmente questo che la rende ormai indispensabile o anche semplicemente utile in quasi tutti i campi del sapere costruiti dall'uomo.