sabato 19 aprile 2014

Fuori target

La fisica come attività professionale richiedeva la volontà di farsi carico di un alto grado di incertezza (da più lati, non solo quello economico). Un carico che poteva essere controbilanciato solo da elementi come: grande determinazione, disponibilità ad un sacrificio che non aveva però la caratteristica di farti vedere una meta anche solo soddisfacente, sufficienti risorse economiche personali (un po' di spalle coperte per intenderci), e non ultimo grande fiducia nelle proprie capacità professionali e nel proprio talento. Decisamente troppo per me. Tutti i fattori considerati insieme non tenevano la bilancia in equilibrio neanche lontanamente. Gran bella disciplina la fisica ma tutto troppo difficile, da qualunque parte si guardasse il problema. Fuori target.

La musica come attività professionale non è mai stata per me un'opzione seria. Ma comunque la scelta dello strumento studiato (il pianoforte) non mi avrebbe certo portato lontano. Le difficoltà ad occhio e croce sarebbero state molto simili a quelle descritte (e pienamente vissute) per la fisica. La bilancia sarebbe stata anche in quel caso inesorabilmente fuori dall'equilibrio. Non sarei stato un soggetto giusto. Fuori target.

La musica come attività da dilettante (cioè per il solo gusto di farla) l'ho praticata per un buon periodo, anche se come batterista e non come pianista. In quel caso ad un certo punto mi sono ritrovato in un limbo, in una situazione in cui non mi riconoscevo, e sono abbastanza sicuro che questo valeva solo per me e non per i miei compagni di divertimento. Il punto era che quello che mi sarebbe piaciuto fare non arrivavo a farlo perchè avrebbe richiesto un livello sostanzialmente da professionista, o quasi, e quello che facevo non mi dava più la giusta soddisfazione. Stallo frustrante. Non ero più nel posto giusto. Fuori target.

Attualmente "strimpello" da solo il mio pianoforte nelle ore serali o notturne (in cuffia) ma la sensazione ritorna spesso a galla: quello che vorrei fare richiede un tempo esagerato, che non mi posso permettere. Il resto mi interessa ben poco. Il karaoke sarebbe stato più consono, più alla mia portata e di maggior soddisfazione, sicuramente di minore frustrazione. Non mi sembra di essere seduto davanti allo strumento giusto. Fuori target.

La fisica è rimasta sempre uno dei miei principali interessi culturali, allargati alla scienza in generale e alla sua storia. Ma la lettura di manuali e articoli non può essere fatta con efficacia da chi non sia direttamente coinvolto a livello professionale (e anche in questo caso l'unica letteratura specialistica veramente accessibile è quella strettamente legata al proprio campo di ricerca). Si apre invece la vasta (non esageriamo) letteratura divulgativa. Purtroppo la stragrande maggioranza di questa produzione è rivolta ad un pubblico sì di buona cultura (qualche volta neanche quello) ma in generale poco preparato. La classica frase "ogni formula riportata nel libro dimezza il potenziale pubblico disposto a leggere quel libro" che si legge frequentemente nelle prefazioni dei saggi di divulgazione dà un'idea chiara di quello che intendo dire. Per me questo si traduce spesso in un vero e proprio problema. Tra il testo che descrive i concetti con metafore troppo semplicistiche e il manuale tecnico inaccessibile faccio spesso fatica a trovare il mio posto. Dondolo tra gli uni e gli altri senza trovare pace. Non sono un soggetto poi tanto giusto neppure per questo. Fuori target.

Il mio lavoro è quello della formazione tecnologica. Sostanzialmente insegno tecnologie informatiche ad un pubblico costituito in massima parte da tecnici d'azienda. E' vero, questo è lavoro e il pane che porto a casa è la sua giustificazione fondamentale. Però anche qui mi ritrovo spesso ad oscillare tra l'esigenza di raccontare l'informatica del "come si fa e dove si fa" e il gusto di raccontare un'informatica un po' più stimolante, fatta di problematiche più generali, di approcci di respiro più ampio e perchè no, anche di approcci più "storici". Un gusto un po' frustrato dall'obbligo di rispettare una scaletta operativa e da un pubblico che molto spesso è mosso da esigenze molto più "terrestri" (e magari hanno anche le loro ragioni). Insomma, sebbene lavori ormai da anni in questo settore, facendolo in modo ben inquadrato e organizzato, non mi sento sempre esattamente nel posto giusto. Fuori target?

Evito di trarre conclusioni (e anche di continuare con questa filastrocca).

domenica 6 aprile 2014

Una chiacchierata tra fisici

Oggi ho incontrato un fisico. Uno che come me pur studiando tanto, con convinzione e con serietà, non ha trasformato la fisica in una professione. Uno che come me la professione se l'è dovuta cercare altrove. Capita in questo campo (come in molti altri) e non c'è da meravigliarsi. Inutile alla fine tornare per l'ennesima volta sulle ragioni che ci hanno allontanato dalla fisica professionale o più precisamente che non ci hanno mai permesso veramente di entrarci, ragioni oggettive e forse ancora un po' dolenti, a cui si intrecciano quelle personali dovute alle contingenze delle nostre vite.

Quello che mi ha colpito (ma forse neanche qui c'è molto da meravigliarsi) è la constatazione di quanto la fisica non ci abbia mai veramente abbandonati, nel senso che sembra giocare il ruolo di una vecchia passione che riesce ancora in certe occasioni a "smuovere la pancia". L'occasione è stata semplicemente quella di raccontarci per sommi capi quello di cui all'epoca ci occupavamo, ma è risultata sufficiente per portarci rapidamente a fare considerazioni di una qualche profondità sulla scienza. Una cosa che solo due appassionati possono fare in così breve tempo e in una cornice così occasionale come una festa di compleanno.

Non so come si chiama ma so che si è occupato di teoria delle stringhe, quella che per anni ha rappresentato un po' la via maestra al sacro graal della fisica fondamentale: l'unificazione delle forze. Oggi non sembra essere più così, o almeno non è più così scontato. Per quello che ne so ci sono tuttora molti gruppi di ricerca al mondo che ancora se ne occupano ma certamente non è più così "di moda". La sensazione (corroborata da qualche lettura) è che molti stiano riciclando i potenti strumenti matematici e le tecniche teoriche sviluppate per questa teoria in altri ambiti della fisica (come dice Carlo Rovelli  "La fisica teorica è come il maiale: non si butta via niente").

La ragione forse più importante per cui una teoria che ha assorbito così tante menti per così tanto tempo si sta probabilmente arenando è "banalmente" che non ha mai avuto nessun vero riscontro sperimentale, nessun esperimento che ne indicasse chiaramente la validità o che potesse dare una direzione d'indagine. Dalla teoria sembrano uscir fuori un numero sterminato di soluzioni diverse, tutte ugualmente ammissibili in assenza di eventi sperimentali discriminanti. La supersimmetria, altro grande filone teorico della fisica delle particelle, sembra fare la stessa fine. L'esperimento LHC, così osannato per aver trovato il famoso bosone di Higgs, di fatto non ha trovato nient'altro.

Ecco le considerazioni profonde (potrebbero far ridere ma alla fine hanno un grande fascino): a che punto siamo? Che momento storico è questo? Di cosa c'è bisogno? Come funziona la scienza? Come e in che condizioni può fare dei decisivi passi avanti? La costruzione di teorie sempre più complesse, generali e comprensive ma che non riescono ad avere un rapporto con i fatti sperimentali dove portano? E' conoscenza? Ha senso immaginare con teorie sempre più potenti, risultate da elaborazioni sempre più complesse di ipotesi sostanzialmente non verificabili, quello che poi opportuni esperimenti ci dovrebbero meramente confermare? O non è forse alla fine necessario avere risultati sperimentali nuovi, chiari, contraddittori con le teorie ufficiali e che per questo ci possano indicare direzioni nuove? Chi può guidare la nostra immaginazione se non la natura stessa? Non è forse successo proprio questo con le due ultime grandi rivoluzioni concettuali della fisica: la relatività generale e la meccanica quantistica? Non è stato un quadro fenomenologico sostanzialmente nuovo e non-interpretato dalle teorie classiche a scatenare la creatività dei grandi scienziati della generazione del primo novecento? Non è poi questa la sostanza della scienza galileiana?

Immaginare e osservare, osservare e immaginare. Nella dialettica tra immaginazione e osservazione sta il motore più potente per costruire la nostra conoscenza del mondo.

Bene, è stata una bella chiacchierata. Beviamoci sopra.