martedì 30 gennaio 2024

La storia del signor X (ma non è la mia storia)

Io sono il signor X, appartengo alla classe media e vivo in questo tempo.

I miei genitori mi vogliono bene e mi hanno sempre fatto tanti regali, tantissimi. Proprio perché mi vogliono bene non mi hanno mai fatto mancare niente, qualunque gioco volessi me lo hanno sempre comprato. D'altra parte potevano farlo, non avevano ragioni per non farlo. Per essere precisi ottenevo anche più di quello che desideravo. Non dovevo sforzarmi troppo, neanche per immaginare nuovi desideri. Insomma, chiedevo e ottenevo un gran numero di cose che potevo utilizzare o no, il loro utilizzo non era sempre scontato. Potevo anche semplicemente averli. Spesso le idee dei regali non erano neanche mie, erano dei miei genitori.

A scuola ero bravo. I miei genitori ci tenevano a che risultassi un bambino intelligente. Studioso non tanto, non necessariamente, ma intelligente ... quello si, senz'altro. Da un certo punto in poi ho cominciato ad avere un po' di timori, temevo che le cose a scuola diventassero troppo difficili. Mi accorgevo che anche i miei genitori la pensavano un po' così. Era comprensibile, volevano preservarmi dalle difficoltà, e volevano che rimanessi sempre bravo, senza problemi nello studio, senza traumi da superare. Volevano giustamente assicurarsi anche che potessi rimanere bravo a scuola, senza che le difficoltà mi travolgessero, mi facessero venire dei complessi e mi provocassero atteggiamenti di rifiuto. Era perché mi volevano bene, pensavano sempre al mio benessere.

Per lo stesso motivo mi tenevano sempre d'occhio, si preoccupavano delle mie amicizie e dei miei spostamenti, mappavano costantemente la mia posizione con una app dello smartphone. Non si sa mai, può sempre succedere qualcosa, potevano sempre capire se mi trovavo in un posto che conoscevano oppure no, se stavo in un posto che quadrava con quello che loro sapevano oppure no, in caso di sospetti mi chiamavano e si assicuravano che potessi rispondergli ("che fai? ma dove stai? com'è che ti trovi lì?"). Ero protetto. A tutt'oggi è ancora così.

Ad un certo punto non avevo più molto chiaro perché avrei dovuto studiare, e soprattutto che cosa. Non mi era chiaro per quale motivo andando avanti avrei dovuto passare tanto tempo sopra a dei libri, a leggere e ripetere tutte le materie, ad esercitarmi. I miei genitori cominciarono a dirmi che lo studio mi avrebbe permesso di fare un buon lavoro, cioè un lavoro che mi avrebbe dato i soldi sufficienti per comprare le cose che mi servivano. Crescendo le cose che volevo non avrei potuto continuare a chiederle ai miei genitori come avevo sempre fatto. Per comprare le cose dovevo guadagnare. Questo avrebbe cambiato la mia vita.

Anche la scuola mi parlava di questo, a suo modo. La mia vita a scuola era misurata da una serie di numeri, i voti, che davano a me e a tutti in modo chiaro e inequivocabile la rappresentazione della mia posizione nella piccola società scolastica. I miei genitori accedevano regolarmente ad un punto del sito web della scuola dove leggevano la mia situazione scolastica rappresentata da una matrice di numeri. C'erano anche altri numeri da tenere d'occhio, si chiamavano crediti scolastici. I crediti al contrario dei voti si sommavano e si potevano guadagnare in vari modi, principalmente con i voti ma anche con attività scolastiche di varia natura. Più ne guadagnavo e più avrei ottenuto alla fine un numero alto con cui sarei uscito dalla scuola. Dovevo guadagnare crediti, questo era un obiettivo importante. I crediti li incontrai successivamente anche all'università, anche quelli si cumulavano, e in una certa misura guidavano le scelte dei miei esami, la mia carriera di studio.

Ma io non sapevo mica che cosa fare all'università, sapevo solo che ci dovevo andare, che sarebbe stato l'ultimo scalino per arrivare a lavorare. E non è che avessi idea di quale sarebbe stato il mio lavoro. Una cosa in più però la sapevo, perché me la dicevano i miei genitori e un po' tutti quanti. Dovevo fare le cose in fretta, fare delle scelte che mi avrebbero portato in poco tempo all'obiettivo. Questo era importante e questo si che lo avevo bene in testa.

Al momento in cui scrivo l'obiettivo è raggiunto .... e adesso?


domenica 21 gennaio 2024

Il metodo scientifico

«Ora vediamo come si fa a scoprire una nuova legge [scientifica].

In generale, il procedimento per scoprire una nuova legge è questo:

  • per prima cosa tiriamo a indovinare... non ridete, è proprio così che facciamo!
  • poi calcoliamo le conseguenze della nostra intuizione per vedere quali circostanze si verificherebbero se la legge che abbiamo immaginato fosse giusta;
  • infine confrontiamo i risultati dei nostri calcoli con la Natura - con gli esperimenti, con l'esperienza, con i dati dell'osservazione - per vedere se funziona.

Se non è in accordo con gli esperimenti è sbagliata.

In questa piccola affermazione c'è la chiave della Scienza. Non importa quanto bella sia la tua intuizione, non importa quanto intelligente sia la persona che l'ha formulata o quale sia il suo nome: se non è in accordo con gli esperimenti è sbagliata. È tutto qui.

Ora, immaginate di avere avuto una buona intuizione e di avere calcolato che tutte le conseguenze della vostra premessa sono in accordo con gli esperimenti... la teoria allora è giusta? No, semplicemente non si è potuto dimostrare che sia sbagliata, perché in futuro un numero maggiore di esperimenti potrebbe scoprire qualche discrepanza e la teoria si rivelerebbe sbagliata.

È per questo che le leggi di Newton per il moto dei pianeti sono rimaste valide per così tanto tempo: [Newton] ha ipotizzato la legge della gravitazione e con questa ha calcolato i moti dei pianeti e li ha confrontati con gli esperimenti... e ci sono volute diverse centinaia di anni prima che un minuscolo errore nel moto di Mercurio fosse osservato. Durante tutto quel tempo nessuno era stato in grado di dimostrare che la teoria fosse sbagliata e poteva essere considerata temporaneamente giusta. Ma non può mai essere dimostrata giusta, perché le osservazioni di domani possono svelare che quello che credevamo giusto era in realtà sbagliato. Per cui non abbiamo mai la certezza di essere nel giusto, possiamo essere sicuri solo di esserci sbagliati.

Non possiamo definire nulla con assoluta precisione. Se proviamo a farlo ci coglie quella paralisi del pensiero che è tipica dei filosofi... uno dice all'altro: "Non sai di cosa sto parlando" e l'altro risponde "Che cosa intendi per parlare? che cosa intendi per sapere? che cosa intendi per cosa?".»

Richard Feynman (1918-1988), premio Nobel per la fisica 1965.