domenica 31 gennaio 2021

La "dualità" del Nobel alla famiglia Thomson

Come si sa, l'elettrone è una particella ma anche un'onda, una doppia natura che consente di mettere in evidenza caratteristiche particellari o ondulatorie a seconda del tipo di esperimento che si predispone. Si chiama "dualità onda-corpuscolo" ed è una caratteristica di tutta la materia e la radiazione. La storia che ha portato a questa convinzione è piuttosto lunga e articolata e si è sviluppata grosso modo nei primi trent'anni del novecento, quegli stessi anni che hanno portato alla formulazione della meccanica quantistica, la teoria che questa dualità la descrive e la formalizza in modo completo.

Ma la cosa divertente che mi è capitata ultimamente di leggere e che non sapevo è che questa dualità (riferita in particolare all'elettrone) è stata in un certo senso una "scoperta di famiglia", la famiglia Thomson.

Nel 1897, nell'ambito di una serie di esperimenti che avevano come oggetto i raggi catodici, Joseph Thomson (padre) mise in evidenza che i raggi catodici erano costituiti da cariche di elettricità negativa portate da particelle di materia. Riuscì a misurare il rapporto tra la carica e la massa di questi "corpuscoli" e successivamente riuscì anche ad ottenere una misura separata di carica e massa, trovando per quest'ultima un valore decisamente più piccolo di quello precedentemente stimato per lo ione più leggero conosciuto (H+). Si trattava dunque di una particella nuova che venne chiamata elettrone (il termine nasceva qualche anno prima per identificare la carica elettrica unitaria). Questo lavoro procurò a Thomson padre il premio Nobel per la fisica nel 1906 “in riconoscimento dei grandi meriti delle sue indagini teoriche e sperimentali sulla conduzione di energia elettrica dei gas”.

Negli anni seguenti a questa scoperta successero cose epocali che sconvolsero l'interpretazione della natura della radiazione elettromagnetica. Fino ad allora era stata pensata come un'onda, prima grazie agli esperimenti di Young del 1801 sulla interferenza della luce da una doppia fenditura, in seguito con lo sviluppo dell'elettromagnetismo culminato nella formulazione delle equazioni di Maxwell nel 1864. Ma a partire dal 1900 i lavori di Max Planck (calcolo dello spettro di corpo nero, 1900), di Albert Einstein (interpretazione dell'effetto fotoelettrico, 1905) e di Arthur Compton (effetto Compton, 1922) portarono ad ipotizzare la natura anche corpuscolare della radiazione elettromagnetica. La luce da quel momento in poi era sia un'onda che una particella (fotone). Nel frattempo Joseph Thomson, ancora prima della sua importante scoperta, si era sposato e aveva avuto due figli, a uno dei quali mise nome George (1892).

Nel 1924, quando il modello dell'atomo di Bohr-Sommerfeld aveva utilizzato con successo il concetto di fotone nella descrizione degli scambi energetici tra elettroni e radiazione con cui si riuscivano a spiegare bene gli spettri atomici fino ad allora misurati, Louis de Broglie ipotizzò la possibilità che anche la materia e non solo la radiazione potesse avere una natura sia ondulatoria che corpuscolare. In particolare questo doveva valere anche per gli elettroni dell'atomo. Ma mentre per il fotone erano già noti i due comportamenti particellare e ondulatorio, ed erano stati messi in evidenza da vari esperimenti, per l'elettrone era chiara solo la sua natura particellare e nessuno aveva mai osservato manifestazioni di tipo ondulatorio. Louis de Broglie era coetaneo di George Thomson.

L'ipotesi di de Broglie fu confermata da un esperimento di diffrazione di un fascio di elettroni su un reticolo cristallino, dal momento che le distanze interatomiche di un reticolo sono dello stesso ordine di grandezza della lunghezza d'onda che era stata prevista per l'elettrone. Normalmente l'esperimento che viene sempre citato è quello di Davisson e Germer del 1927, su un cristallo di nikel, o almeno io ricordo quello. Ma in realtà gli esperimenti sono stati due, nello stesso anno. Il secondo, che utilizzava un sottile foglio di oro, è stato realizzato da George Thomson (figlio). La dualità onda-corpuscolo era dunque una caratteristica generale, sia della radiazione che della materia. Per questo risultato Davisson e Thomson ricevettero nel 1937 il premio Nobel per la fisica “per la loro scoperta sperimentale della diffrazione degli elettroni da cristalli”.

Quindi Thomson padre (Joseph) ebbe il Nobel per aver dimostrato la natura particellare dell'elettrone, mentre Thomson figlio (George) ebbe il Nobel per averne dimostrato la natura ondulatoria. Non credo però che qui ci stia bene la frase "i figli smentiscono i padri", dal momento che a tutt'oggi hanno ragione entrambi.


domenica 24 gennaio 2021

Ai piedi del sultano

Sento ragazzi che dicono: "Queste scarpe io le ho pagate 150 €, ma ne valgono 600". Con questo generalmente intendono che effettivamente quelle scarpe che indossano vengono normalmente vendute al negozio a 600 € ma che "loro" sono riusciti ad acquistarle in qualche modo (tipicamente online) ad un prezzo d'occasione. E ostentano questa loro furbizia. E' fondamentale però sottolineare che il modello è proprio quello originale e che il suo vero costo è molto più alto.

Questo mi appare come una perversione. Il consumatore si sente un furbo perché ha pagato poco e ottenuto tanto, ma così facendo veicola messaggi di un consumismo sempre più sfrenato. L'oggetto di consumo è sempre più ambito, anche se non ce lo si può permettere, e forse proprio per questo. E' un meccanismo utile per la grande produzione, anche se le scarpe si riescono ad avere gratis (massimo della furbizia!).

Il consumatore rimane con un latente stato di frustrazione, che lavora in sordina e che non fa che dirgli che sarebbe molto meglio avere tutti i soldi che servono per comprare tutto quello che gli passa per la testa. Che gli comunica che è vero che lui è furbo e in qualche modo riesce ad ottenere qualcosa ma che in un certo senso rimane sempre un barbone ai piedi del sultano. I soldi sono il vero valore della vita. E' un vicolo cieco.


venerdì 15 gennaio 2021

Che errore, Galileo! :-)

Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano contiene il risultato forse più profondo di Galileo, quel principio di relatività che prende appunto il suo nome (principio di relatività galileiana). La sua descrizione è un grande passo letterario oltre che scientifico, visto che il "Dialogo" non era concepito dal suo autore come un testo di fisica, ma come un volume di divulgazione scientifica. Era scritto in italiano al preciso scopo di poter essere letto da un gran numero di persone, da non specialisti, a cui si volevano comunicare le idee di una nuova scienza.

In particolare Galileo voleva far capire che l'esperimento della caduta di un grave dall'alto di una torre non dimostra necessariamente l'immobilità della Terra, e che la Terra può avere un suo stato di moto (in particolare di rotazione su sé stessa e di rivoluzione intorno al Sole, come nella visione copernicana) anche se le esperienze di ogni giorno, e tra queste proprio la caduta di un grave, ci suggeriscono il contrario. Il punto cruciale sta in un'analisi critica totalmente nuova del concetto di moto.

In breve questa analisi prende le mosse dall'idea della composizione dei moti per giungere ad una caratteristica universale del moto stesso, cioè l'invarianza completa di tutte le leggi della meccanica rispetto ad osservatori situati in sistemi di riferimento in quiete o in moto rettilineo uniforme. Il brano famoso della seconda giornata del "Dialogo" racconta questa invarianza attraverso un esperimento ideale condotto all'interno di una nave senza possibilità di vedere l'esterno («Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio ...»). Tutto quello che si può fare in questa situazione, qualunque esperimento meccanico venga in mente («... sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso, ...»), nulla riuscirà a dirci se la nave è ferma al porto o in navigazione di moto rettilineo uniforme, poichè tutti i fenomeni legati al moto saranno esattamente gli stessi nei due casi («... fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma»).

Quindi la nuova fisica del moto esposta da Galileo e sostanzialmente diversa dalla visione aristotelica era del tutto compatibile con la teoria copernicana, supportata nel frattempo dai nuovi dati osservativi astronomici, già ampiamente raccontati nel Sidereus Nuncius.

Ma quello che mancava a questo edificio già grandioso era una prova diretta dei moti terrestri, ed evidentemente Galileo avvertiva in modo particolare l'importanza di questa prova. C'è da dire che all'epoca i dati quantitativi (le misure) non consentivano di poter scegliere in maniera schiacciante tra il sistema tolemaico e quello copernicano, le loro capacità predittive erano paragonabili e sopravvivevano anche modelli ibridi, come quello di Tycho Brahe, secondo cui il Sole e la luna girerebbero intorno alla Terra immobile, e tutti gli altri pianeti girerebbero attorno al Sole. Dunque una prova diretta dei moti terrestri avrebbe brillantemente risolto la questione. Inoltre avrebbe anche probabilmente messo con le spalle al muro la Chiesa di Roma, come lascia pensare una frase del cardinale Bellarmino in una famosa lettera spedita a Paolo Antonio Foscarini, teologo carmelitano amico di Galileo, che aveva redatto un opuscolo a difesa del copernicanesimo, nel quale sosteneva tesi analoghe a quelle esposte da Galileo («Dico che quando ci fusse vera demostratione che il sole stia nel centro del mondo e la terra nel 3° cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole, allora bisognerà andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non l’intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che non mi sia mostrata», Bellarmino, 1615).

In questo contesto Galileo credette di aver trovato nel fenomeno delle maree quello che gli occorreva per dimostrare i moti di rotazione e rivoluzione della terra. Trattava con un certo disprezzo l'idea che la luna fosse la causa principale delle maree, come molti sostenevano, e tra questi anche Keplero, probabilmente perchè vedeva in questa interpretazione un retaggio di concezioni astrologiche, e ne proponeva una sua basata proprio sulla composizione dei moti. Galileo parte dall'analogia del comportamento dell'acqua in un vaso che subisce accelerazioni e decelerazioni, in cui la superficie dell'acqua si "ritira" da una parte o dall'altra del vaso a seconda della direzione della accelerazione/decelerazione impressa, come si osserva nel fenomeno delle maree. Prosegue sostenendo che il moto dei punti sulla superficie della terra è un moto accelerato quando il punto della superficie ha una velocità tangenziale parallela alla velocità di rivoluzione (i due moti si compongono positivamente), e decelerato quando lo stesso punto della superficie trovandosi dalla parte opposta della Terra ha invece una velocità tangenziale antiparallela alla velocità di rivoluzione (i due moti si compongono positivamente).

Questa "spiegazione" delle maree per Galileo è evidentemente così importante che ne fa l'argomento finale del suo "Dialogo" e addirittura doveva dare il titolo all'opera. Infatti, nelle sue prime intenzioni, il titolo doveva essere Dialogo sul Flusso e Reflusso dei Mari, che però non fu autorizzato dall'Inquisizione, che evidentemente non voleva nel titolo proprio quel fenomeno che Galileo riteneva fornisse la prova fisica dell'eliocentrismo.

Ma la cosa sconcertante, almeno per me, è il fatto che questa sua "spiegazione" (che peraltro non rende conto di alcuni aspetti fenomenologici ben noti all'epoca, come ad esempio il ciclo semidiurno o quello mensile, e dunque non "salva i fenomeni") contraddice il suo principio di relatività. Poichè nell'arco di tempo di una giornata il moto di rivoluzione può essere considerato sostanzialmente un moto rettilineo uniforme, Galileo in pratica finisce per dire che le maree sono proprio quel fenomeno meccanico in grado di distinguere lo stato di quiete da quello di moto rettilineo uniforme, contrariamente a quanto detto in modo così efficacie nel passo della nave.

Probabilmente questo ci dice quanto Galileo fosse ansioso di trovare un argomento schiacciante a favore dei moti della Terra e quindi del sistema copernicano. E forse ci dice anche quanto Galileo non avesse forse riflettuto così tanto sul suo principio di invarianza, che infatti per quanto ne so non ha mai formulato nella maniera così universale e moderna con cui oggi lo conosciamo, e neanche gli ha dato mai un nome.

NOTA: la prima spiegazione completa del fenomeno delle maree è stata attribuita a Newton (esposta nei "Principia") come fenomeno dovuto all'attrazione gravitazionale combinata della Luna e del Sole sulle masse oceaniche parzialmente libere di muoversi. Lo storico Lucio Russo in un suo libro (Flussi e riflussi, indagine sull'origine di una teoria scientifica) ricostruisce l'intera vicenda storica delle interpretazioni del fenomeno delle maree e attribuisce la prima spiegazione luni-solare alla Grecia ellenistica.

NOTA: la prima dimostrazione sperimentale diretta del moto di rotazione terrestre è stata realizzata solo due secoli dopo la morte di Galileo da Léon Foucault, nel 1851, a Parigi, per mezzo di un pendolo.


domenica 10 gennaio 2021

La spiegazione del sesso

Secondo il genetista e biologo sovietico (emigrato in USA) Teodosij Dobžanskij "Nulla in biologia ha senso se non alla luce dell'evoluzione". La cosa divertente per un non professionista ma curioso è che entro certi limiti questa affermazione si può sperimentare osservando il mondo vivente e ponendosi delle semplici domande, di quelle che potrebbe fare un bambino. Una di queste è "perchè esistono i maschi e le femmine?".

Effettivamente è conoscenza comune il fatto che la stragrande maggioranza degli esseri viventi (animali e vegetali) sono caratterizzati dalla divisione di genere in maschi e femmine, spesso statisticamenti presenti al 50%. Immagino che si possano raccontare parecchie eccezioni in merito a questo fatto e che gli addetti ai lavori ne sappiano parecchio. Ma la "regola" della suddivisione di una specie in maschi e femmine rimane un fatto talmente diffuso che normalmente non ci si fa neppure caso, si tende a dare per scontato. E come tutte le cose che ci sembrano scontate in genere non se ne cerca una spiegazione.

Questa suddivisione è peraltro percepita dal singolo individuo verso gli altri individui della sua stessa specie in forma estremamente primitiva, cioè istintiva e in genere molto affidabile. La cosa che mi ha sempre stupito (ma in fondo non c'è niente di cui stupirsi) è la velocità con cui chiunque riconosce il sesso delle persone che incontra, credo che sia anche la prima cosa che inconsciamente si osserva in una persona, non ce se ne fa neanche caso. E' vero che le tradizioni culturali, che hanno sempre cercato di distinguere in vari modi anche visivi i due sessi, aiutano all'individuazione, ma il fatto che lo facciano è altrettanto significativo, evidentemente è importante riuscire a fare il prima possibile questa distinzione. Spesso poi ci si accorge che non è necessario valutare questi segnali esteriori aggiunti dalle convenzioni sociali. Qualche volta mi diverto ad indovinare il sesso delle persone che, con casco e protezioni varie, passano per strada su mezzi a due ruote. Ho sempre la sensazione di essere infallibile. L'unica situazione di fallibilità è ovviamente quella dei neonati o bimbi particolarmente giovani, dove i caratteri sessuali non si sono ancora espressi in nessun modo evidente. Da notare che questa notevole capacità scompare totalmente quando si guardano altre specie viventi (in tal caso ci si accorge di avere una bassa capacità anche solo di riconoscere individui diversi).

Ma dunque perchè esistono i maschi e le femmine? Seguendo l'osservazione di Dobžanskij si può provare a cercare una spiegazione nell'evoluzione, ed effettivamente la si trova molto facilmente, anche se non si è degli esperti nel campo. Quali sono le principali caratteristiche su cui lavora l'evoluzione?

Una è certamente la replicazione. Qualunque essere vivente (non so se ci siano delle eccezioni, ma nel caso per l'appunto non sarebbero la regola) ha la capacità di produrre altri esseri viventi. Questa caratteristica è ben evidente dal punto di vista macroscopico ma ormai sappiamo che ha una sua controparte a livello microscopico che tra l'altro mette in luce l'universalità del meccanismo. Il DNA è un archivio di informazioni per la costruzione di un essere vivente e la regolazione di tutti i suoi processi biochimici che ha la capacità di replicarsi, cioè di fare copie di sè stesso utilizzabili per costruire un altro individuo indipendente. Questa capacità si basa su un meccanismo altamente affidabile, visto che qualunque errore di trascrittura del codice potrebbe avere conseguenze disastrose, quantomeno altamente imprevedibili.

Ma la sola caratteristica di replicazione non può "avviare il motore dell'evoluzione". La seconda caratteristica è la capacità di produrre variabilità nel codice, in modo da esporre questa variabilità alle caratteristiche dell'ambiente che seleziona le variazioni con la fitness migliore, cioè quelle che danno all'individuo la maggiore probabilità di arrivare a replicarsi a sua volta. Ma come si può produrre efficaciemente la variabilità necessaria? Da una parte la replicazione deve essere un processo altamente affidabile, dall'altra una replicazione esatta non può produrre alcuna variabilità. La via di mezzo è un meccanismo di replicazione con un basso tasso di errore, dovuto ad effetti casuali e ad effetti indotti dallo stesso ambiente. In tal modo si può "esplorare" il possibile attraverso l'accumularsi di questi errori, opportunamente guidati, generazione dopo generazione, dagli effetti di selezione dell'ambiente. Ora ci siamo, l'evoluzione può partire.

Per quello che ho appena detto l'evoluzione si presenta come un processo in grado di mantenere stabilmente le soluzioni trovate ma anche in grado di produrre innovazioni su cui misurare gli effetti dell'ambiente, attraverso meccanismi molto cauti di esplorazione del possibile, che attraversano molte generazioni di individui (e che rendono i tempi evolutivi enormemente lunghi, come ben sappiamo).

Tra le tante soluzioni esplorative ci saranno sicuramente tutte quelle che riescono a migliorare i meccanismi (controllati) di variabilità che gli organismi riescono ad esporre alla selezione ambientale. Una di queste è indubbiamente l'invenzione del sesso. Dal punto di vista microscopico il sesso ha l'effetto di "mescolare" il patrimonio genetico di due distinti individui con metodi di fatto abbastanza complessi che hanno lo scopo di mantenere un genoma coerente con le caratteristiche della specie (mescolare del tutto a caso produrrebbe solo dei mostri), ma diciamo che questo è un dettaglio per specialisti. E' però evidente che questa strategia aumenta sensibilmente la capacità di una specie di produrre variazione genetica dandole così la possibilità di esporre all'ambiente una maggiore "superficie" di lavoro. E' un vantaggio evolutivo netto, e per questo si tratta di una strategia estremamente diffusa in natura. La specie che usa il sesso avrà un tasso evolutivo di gran lunga maggiore rispetto alle specie che non lo usano. Ovviamente per poter far funzionare la riproduzione basata sul sesso, che richiede la collaborazione di due individui (i quali da soli non sono in grado di riprodursi, almeno nelle specie in cui la divisione dei sessi è netta, che sono la maggioranza), è necessario che questi sviluppino contenstualmente un istinto particolarmente spiccato per le attività necessarie alla riproduzione. Tra le quali anche la capacità innata e quasi inconsapevole di riuscire a distinguere gli individui del sesso opposto.

Lo so, i dettagli sarebbero tanti, compreso quello che fa riferimento alla domanda iniziale ("perchè esistono i maschi e le femmine?"), nel senso che una cosa è trovare una spiegazione del sesso un'altra è quella di spiegare perchè esistono nella maggior parte dei casi due sessi separati. Diciamo che probabilmente è una questione di economia di risorse, o di organizzazione, che rende probabilmente vantaggioso spartirsi il difficile compito della riproduzione (dividendo l'atto dell'inseminazione da quello della gestazione). D'altro canto questa separazione non è sempre così rigida, questo lo sanno anche i non specialisti. In molte specie (in particolare molti pesci) gli individui hanno entrambi i sessi (ermafroditismo) o cambiano sesso anche più di una volta nel corso della loro vita.

Ma io volevo solo fare un esercizio sulla famosa frase di Dobžanskij.


mercoledì 6 gennaio 2021

Una befana particolare

Nella controversia tra il sistema tolemaico e quello copernicano gioca un ruolo particolare la capacità di dimostrare che la terra è un corpo celeste che gira su sè stesso. Poterlo dimostrare con un esperimento avrebbe fornito a Galileo e ai copernicani del suo tempo un argomento schiacciante, contro il quale forse neanche la chiesa avrebbe potuto tener testa. Non so se Galileo si sarebbe potuto risparmiare il drammatico momento dell'abiura, ma sta di fatto che questa prova sperimentale era ancora ben lontana dal poter essere realizzata.

L'ironia della sorte ha fatto sì che l'oggetto principale di questo esperimento sia stato proprio quel pendolo che Galileo studiò per primo, anche se i concetti coinvolti (sistemi non inerziali, forze apparenti, forza di Coriolis) vennero sviluppati dopo di lui sulla scia dei suoi risultati, da Isaac Newton (1687) fino a Gaspard Gustave de Coriolis (1835).

Un pendolo che oscilla su un sistema rotante (la terra), cioè non inerziale, subisce un'accelerazione normale alla direzione di oscillazione che può essere rappresentata come il risultato di una forza (apparente) detta forza di Coriolis il cui risultato è quello di far ruotare progressivamente il piano di oscillazione. In alternativa è possibile pensare che questa rotazione avvenga per la tendenza (inerzia) del peso del pendolo a conservare la sua velocità tangenziale (quella che ha in virtù di stare su un sistema rotante, la terra appunto) che cambia leggermente a seconda della sua posizione (per un corpo posto in un sistema rotante la velocità angolare è sempre la tessa ma quella tangenziale dipende dalla posizione del corpo rispetto al centro di rotazione). Il risultato ovviamente è lo stesso. Qualunque forza di tipo apparente che si manifesta nella descrizione del moto di un corpo in un sistema non inerziale può essere sostituita da effetti dell'inerzia del moto del corpo stesso, visto da un sistema inerziale.

Quindi se misuro una rotazione del piano di oscillazione di un pendolo sto di fatto misurando un effetto diretto della rotazione terrestre. Questo è quello che ha ottenuto Foucault per la prima volta il 6 gennaio del 1851, poco più di due secoli dopo la morte di Galileo ed esattamente 170 anni fa da questo post. Buon compleanno!

"Jean Bernard Léon Foucault voleva risolvere il più ostinato problema scientifico di tutti i tempi, un problema che fra il Cinque e il Settecento aveva ossessionato Copernico, Keplero, Galilei, Cartesio e Newton ed era rimasto sorprendentemente irrisolto fino alla sua epoca [...]. Ci lavorava febbrilmente da alcune settimane [...]. Aveva preparato l'esperimento con cura, l'aveva perfezionato lavorando per mesi, concentratissimo, nella cantina di casa sua [...]. Così, alla fine, riuscì ad assicurare un capo di un filo di acciaio di due metri al soffitto, facendo in modo che potesse ruotare senza torsione, e attaccò all'altra estremità una palla di ottone di cinque chili: ottenne così un pendolo in grado di oscillare liberamente [...]. Il 3 gennaio 1851 l'apparato era pronto e Foucault lo mise in moto, trattenendo il fiato mentre il pendolo cominciava ad oscillare; di colpo, però, il filo si ruppe e la palla cadde pesantemente a terra. Tre giorni dopo era pronto per un nuovo tentativo: con molta attenzione mise il pendolo in moto e attese. La palla iniziò ad oscillare davanti ai suoi occhi, lentamente. E finalmente vide [...]. Il piano delle oscillazioni del pendolo aveva deviato dalla direzione iniziale, [...], leggermente ma costantemente, lontano da lui, e [...] seppe di avere appena osservato l'impossibile [...]. Léon Foucault aveva appena visto la terra girare." (tratto da Pendulum, Léon Foucault e il trionfo della scienza, di Amir D. Aczel, il Saggiatore, 2006).

NOTA: è curioso osservare che questo esperimento può essere esteso per dimostrare che la terra è sferica e non piatta (come purtroppo qualche sprovveduto ancora sostiene ai giorni nostri). Infatti si può verificare, facendo ripetuti esperimenti come quello eseguito da Foucault in punti distinti della terra, che il periodo di rotazione del piano di oscillazione del pendolo cambia in funzione della latitudine secondo la semplice formula T/sin(a), dove T è il periodo di rotazione della terra (24 ore) e a è la latitudine del luogo. Al contrario se la terra fosse piatta tale periodo sarebbe costante ovunque.