venerdì 15 gennaio 2021

Che errore, Galileo! :-)

Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano contiene il risultato forse più profondo di Galileo, quel principio di relatività che prende appunto il suo nome (principio di relatività galileiana). La sua descrizione è un grande passo letterario oltre che scientifico, visto che il "Dialogo" non era concepito dal suo autore come un testo di fisica, ma come un volume di divulgazione scientifica. Era scritto in italiano al preciso scopo di poter essere letto da un gran numero di persone, da non specialisti, a cui si volevano comunicare le idee di una nuova scienza.

In particolare Galileo voleva far capire che l'esperimento della caduta di un grave dall'alto di una torre non dimostra necessariamente l'immobilità della Terra, e che la Terra può avere un suo stato di moto (in particolare di rotazione su sé stessa e di rivoluzione intorno al Sole, come nella visione copernicana) anche se le esperienze di ogni giorno, e tra queste proprio la caduta di un grave, ci suggeriscono il contrario. Il punto cruciale sta in un'analisi critica totalmente nuova del concetto di moto.

In breve questa analisi prende le mosse dall'idea della composizione dei moti per giungere ad una caratteristica universale del moto stesso, cioè l'invarianza completa di tutte le leggi della meccanica rispetto ad osservatori situati in sistemi di riferimento in quiete o in moto rettilineo uniforme. Il brano famoso della seconda giornata del "Dialogo" racconta questa invarianza attraverso un esperimento ideale condotto all'interno di una nave senza possibilità di vedere l'esterno («Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio ...»). Tutto quello che si può fare in questa situazione, qualunque esperimento meccanico venga in mente («... sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso, ...»), nulla riuscirà a dirci se la nave è ferma al porto o in navigazione di moto rettilineo uniforme, poichè tutti i fenomeni legati al moto saranno esattamente gli stessi nei due casi («... fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma»).

Quindi la nuova fisica del moto esposta da Galileo e sostanzialmente diversa dalla visione aristotelica era del tutto compatibile con la teoria copernicana, supportata nel frattempo dai nuovi dati osservativi astronomici, già ampiamente raccontati nel Sidereus Nuncius.

Ma quello che mancava a questo edificio già grandioso era una prova diretta dei moti terrestri, ed evidentemente Galileo avvertiva in modo particolare l'importanza di questa prova. C'è da dire che all'epoca i dati quantitativi (le misure) non consentivano di poter scegliere in maniera schiacciante tra il sistema tolemaico e quello copernicano, le loro capacità predittive erano paragonabili e sopravvivevano anche modelli ibridi, come quello di Tycho Brahe, secondo cui il Sole e la luna girerebbero intorno alla Terra immobile, e tutti gli altri pianeti girerebbero attorno al Sole. Dunque una prova diretta dei moti terrestri avrebbe brillantemente risolto la questione. Inoltre avrebbe anche probabilmente messo con le spalle al muro la Chiesa di Roma, come lascia pensare una frase del cardinale Bellarmino in una famosa lettera spedita a Paolo Antonio Foscarini, teologo carmelitano amico di Galileo, che aveva redatto un opuscolo a difesa del copernicanesimo, nel quale sosteneva tesi analoghe a quelle esposte da Galileo («Dico che quando ci fusse vera demostratione che il sole stia nel centro del mondo e la terra nel 3° cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole, allora bisognerà andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non l’intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che non mi sia mostrata», Bellarmino, 1615).

In questo contesto Galileo credette di aver trovato nel fenomeno delle maree quello che gli occorreva per dimostrare i moti di rotazione e rivoluzione della terra. Trattava con un certo disprezzo l'idea che la luna fosse la causa principale delle maree, come molti sostenevano, e tra questi anche Keplero, probabilmente perchè vedeva in questa interpretazione un retaggio di concezioni astrologiche, e ne proponeva una sua basata proprio sulla composizione dei moti. Galileo parte dall'analogia del comportamento dell'acqua in un vaso che subisce accelerazioni e decelerazioni, in cui la superficie dell'acqua si "ritira" da una parte o dall'altra del vaso a seconda della direzione della accelerazione/decelerazione impressa, come si osserva nel fenomeno delle maree. Prosegue sostenendo che il moto dei punti sulla superficie della terra è un moto accelerato quando il punto della superficie ha una velocità tangenziale parallela alla velocità di rivoluzione (i due moti si compongono positivamente), e decelerato quando lo stesso punto della superficie trovandosi dalla parte opposta della Terra ha invece una velocità tangenziale antiparallela alla velocità di rivoluzione (i due moti si compongono positivamente).

Questa "spiegazione" delle maree per Galileo è evidentemente così importante che ne fa l'argomento finale del suo "Dialogo" e addirittura doveva dare il titolo all'opera. Infatti, nelle sue prime intenzioni, il titolo doveva essere Dialogo sul Flusso e Reflusso dei Mari, che però non fu autorizzato dall'Inquisizione, che evidentemente non voleva nel titolo proprio quel fenomeno che Galileo riteneva fornisse la prova fisica dell'eliocentrismo.

Ma la cosa sconcertante, almeno per me, è il fatto che questa sua "spiegazione" (che peraltro non rende conto di alcuni aspetti fenomenologici ben noti all'epoca, come ad esempio il ciclo semidiurno o quello mensile, e dunque non "salva i fenomeni") contraddice il suo principio di relatività. Poichè nell'arco di tempo di una giornata il moto di rivoluzione può essere considerato sostanzialmente un moto rettilineo uniforme, Galileo in pratica finisce per dire che le maree sono proprio quel fenomeno meccanico in grado di distinguere lo stato di quiete da quello di moto rettilineo uniforme, contrariamente a quanto detto in modo così efficacie nel passo della nave.

Probabilmente questo ci dice quanto Galileo fosse ansioso di trovare un argomento schiacciante a favore dei moti della Terra e quindi del sistema copernicano. E forse ci dice anche quanto Galileo non avesse forse riflettuto così tanto sul suo principio di invarianza, che infatti per quanto ne so non ha mai formulato nella maniera così universale e moderna con cui oggi lo conosciamo, e neanche gli ha dato mai un nome.

NOTA: la prima spiegazione completa del fenomeno delle maree è stata attribuita a Newton (esposta nei "Principia") come fenomeno dovuto all'attrazione gravitazionale combinata della Luna e del Sole sulle masse oceaniche parzialmente libere di muoversi. Lo storico Lucio Russo in un suo libro (Flussi e riflussi, indagine sull'origine di una teoria scientifica) ricostruisce l'intera vicenda storica delle interpretazioni del fenomeno delle maree e attribuisce la prima spiegazione luni-solare alla Grecia ellenistica.

NOTA: la prima dimostrazione sperimentale diretta del moto di rotazione terrestre è stata realizzata solo due secoli dopo la morte di Galileo da Léon Foucault, nel 1851, a Parigi, per mezzo di un pendolo.


Nessun commento: