giovedì 24 ottobre 2013

La "mancanza di fascino" della Scienza

Due elementi che secondo me rendono poco affascinante la Scienza a molte persone che si trovano volenti o nolenti a studiarla in qualche periodo della loro vita sono:
1. la descrizione di aspetti "troppo particolari" del mondo,
2. la potenziale "rivedibilità" di tutti i suoi risultati.
Nel primo caso a domande del tipo "in quanto tempo si ferma un grave che scivola su un piano in presenza di un determinato attrito" si vorrebbe rispondere "ecchissenefrega". Dalla Scienza si vorrebbero sempre grandi domande e soprattutto grandi risposte. Nel secondo caso seppure si possono ottenere certe volte dalla Scienza anche grandi risposte queste non sono mai definitive, sono sempre "falsificabili", e agli occhi di molti rischiano sempre di sfumare in semplici opinioni.

A questo proposito riporto due interessanti affermazioni intorno alla Scienza, ciascuna focalizza uno degli elementi poco affascinanti che ho riportato sopra e lo presenta come un punto di forza del processo di ricerca scientifica, un suo elemento caratterizzante e imprescindibile. La prima  (già in parte riportata in un mio post precedente) è di François Jacob, premio Nobel per la medicina nel 1965, la seconda è di Telmo Pievani, storico della Scienza.

«Probabilmente è un’esigenza della mente umana avere una rappresentazione del mondo unificata e coerente. Se manca, compare l’ansia e la schizofrenia. E bisogna pur riconoscere che in fatto di unità e di coerenza la spiegazione mitica vince di molto su quella scientifica. La scienza, infatti, non mira subito a una spiegazione completa e definitiva dell’universo. Opera soltanto localmente. Procede con una dettagliata sperimentazione su fenomeni che riesce a circoscrivere e definire. Si accontenta di risposte parziali o provvisorie. Magici, mitici o religiosi che siano, gli altri sistemi di spiegazioni invece abbracciano tutto, sono applicabili ad ogni campo, e danno conto dell’origine, del presente e persino del futuro dell’universo. Si possono rifiutare i sistemi di spiegazione offerti dai miti o dalla magia, ma non si può negar loro unità e coerenza perché, senza la minima esitazione, essi rispondono a ogni problema e risolvono ogni difficoltà con un unico e semplice argomento a priori. A prima vista, la scienza sembra meno ambiziosa del mito per i problemi che si pone e le risposte che cerca. In realtà, la nascita della scienza moderna è databile dall’epoca in cui alle questioni generali si sono sostituiti problemi limitati; e invece di chiedersi: “Come è stato creato l’universo? Di che cosa è fatta la materia? Qual è l’essenza della vita?”, ci si è domandati: “Come cade una pietra? Come scorre l’acqua in un tubo? Come circola il sangue nel corpo?”. Questa sostituzione ha avuto un risultato sorprendente: mentre le questioni generali ricevevano solo risposte parziali, le questioni limitate portavano a risposte sempre più generali. E questo è valido ancora anche per la scienza odierna». (François Jacob)

«Asserire che le conoscenze scientifiche sono costantemente rivedibili non significa [...] degradarle a mere opinioni. E' semmai il contrario: se un programma di ricerca è adottato dalla comunità scientifica significa che funziona, che ha resistito finora ai tentativi di falsificarlo. Dunque, per quanto sia sottoposto a incessanti revisioni, quel complesso di acquisizioni è corroborato e attendibile, proprio perchè falsificabile. [...] La falsificabilità è, in ultima istanza, un codice di comportamento basato sulla trasparenza, sulla revisione dei pari e sulla costante auto-correzione dei propri modelli». (Telmo Pievani)

domenica 13 ottobre 2013

Frequentazioni utili

Trovo sempre utile parlare con gli insegnanti, probabilmente perché mi interessano i loro argomenti. Ultimamente in una breve discussione con loro mi ha colpito un'affermazione su come si insegna la matematica in certi tipi di scuole secondarie, molto netta (e per questo mi ha colpito) ma riportata da addetti ai lavori di cui non ho motivo di dubitare. Pare che i programmi di matematica per alcuni licei (tra quelli nuovi tirati fuori dall'ultima riforma) debbano essere svolti escludendo sistematicamente tutte le dimostrazioni delle affermazioni che si insegnano. Inquietante.

Beninteso, molte dimostrazioni, specialmente quelle di carattere troppo tecnico, sarebbero un inutile appesantimento al programma e credo anche che nell'insegnamento della matematica si debba prevalentemente far leva sull'immaginazione e sull'intuito, capacità fondamentali per questa disciplina (come per tutte le discipline scientifiche). Ma l'esclusione sistematica dei procedimenti dimostrativi toglie un pezzo sostanziale allo studio, conducendo facilmente (e pericolosamente) al rischio di ridurre tutto a nozioni disconnesse, regolette mnemoniche e algoritmi per svolgere esercizi. Affrontare qualche dimostrazione (e ce ne sono di semplici, belle e non tecniche) fa capire nell'unico modo efficacie possibile come si combinano l'intuito e l'immaginazione con i vincoli del procedimento logico-deduttivo, un rapporto fecondo tra capacità essenziali della mente umana da cui scaturisce tutto lo sviluppo della matematica.

Ne va della comprensione della matematica come "fatto di cultura", cruciale nella formazione di uno studente. A questo proposito nell'ambito della stessa discussione è stato fatto un esempio significativo, che mi pare si colleghi in modo quasi immediato al pericolo appena paventato. Le stesse persone che si dimostrano in grado di risolvere equazioni algebriche ed eseguire studi di funzione rispondono in modo inesatto (in una buona percentuale di casi) a questioni tipo: "dato un numero di dieci cifre indicare la posizione delle decine di migliaia". Detto così risulta una cosa sconcertante (e magari, spero, è stata portata come un esempio un po' forzato) ma ribadisce in modo chiaro il pericolo di trasformare studenti di matematica della scuola secondaria in meri esecutori di algoritmi (in un'era, peraltro, dominata dall'informatica!).

Il rischio, forse troppo apocalittico ma non del tutto campato in aria, è quello di costruire nel tempo una società in cui scompaiono progressivamente le conoscenze matematiche dalla cultura media delle persone a fronte di una loro concentrazione in un ristretto ambito di specialisti. Sapendo quanto queste conoscenze risultino cruciali per una società tecnologicamente avanzata, la cosa mi provoca una certa inquietudine.