domenica 31 luglio 2016

La matematica di Hardy

Poco tempo fa ho visto il film L'uomo che vide l'infinito. Tratto da un libro di Robert Kanigel del 1991, il film narra della ben nota vicenda del giovane e sfortunato matematico indiano Srinivasa Ramanujan. Sarà stato anche per l'ottima interpretazione di Jeremy Irons, fatto sta che la visione di questo film mi ha indotto a rileggere il bel saggio di Godfrey H. Hardy Apologia di un matematico (1940).

Hardy nel suo libro racconta della "sua" matematica, non nel senso della matematica che ha contribuito a costruire con i suoi studi, ma nel senso di come lui concepiva questa disciplina. Lo fa con un tono complessivamente malinconico in quanto al momento in cui scrive è alla fine della sua carriera, sa che la sua produttività non potrà più essere quella di prima, e lo scrive chiaramente. E' sufficiente leggere un paio di frasi del primo capoverso del saggio per capirne il tono. La frase con cui comincia il capoverso: "Per un matematico di professione è un'esperienza melanconica mettersi a scrivere sulla matematica. La funzione del matematico è quella di fare qualcosa, di dimostrare nuovi teoremi e non di parlare di ciò che è stato fatto da altri matematici o dai lui stesso". E quella con cui lo conclude: "Non c'è disprezzo più profondo nè, tutto sommato, più giustificato di quello che gli uomini 'che fanno' provano verso gli uomini 'che spiegano'. Esposizione, critica, valutazione sono attività per cervelli mediocri". E di seguito comincia a parlare di matematica: esponendo, criticando, valutando.

Quello che ne esce fuori è una difesa (appunto un'apologia) della "sua" matematica (perchè certo si può non essere sempre d'accordo con quello che dice). Alcune sue considerazioni, sebbene in certi casi mi appaiano contraddittorie, colpiscono notevolmente. Prima di tutto la matematica è paragonata ad una attività artistica, e come tale estremamente creativa: "la vera matematica [...] si deve giustificare solo come arte". Viene accostata alla poesia e alla pittura: "Il matematico, come il pittore e il poeta, è un creatore di forme", e anche nobilitata rispetto a queste "perchè le sue forme sono fatte d'idee" e i suoi risultati sono di gran lunga più duraturi. Come per l'arte il criterio per distinguere una buona matematica è la bellezza: "La bellezza è il requisito fondamentale: al mondo non c'è un posto perenne per la matematica brutta". Anche se "E' senza dubbio molto difficile definire la bellezza matematica, ma questo è altrettanto vero per qualsiasi genere di bellezza".

Poi però parlando della realtà della matematica riflette sulla classica domanda: la matematica si inventa o si scopre? Per un'attività artistica non credo ci siano dubbi sul fatto che si tratti di una invenzione ma lui è quasi altrettanto sicuro che per la matematica non sia così: "Credo che la realtà matematica sia fuori di noi, che il nostro compito sia di scoprirla o di osservarla, e che i teoremi che noi dimostriamo, qualificandoli pomposamente come nostre 'creazioni', siano semplicemente annotazioni delle nostre osservazioni". Questa realtà della matematica è così forte che in un certo senso supera quella della fisica, cioè della conoscenza del mondo fisico: "Una sedia o una stella non sono affatto quello che sembrano essere; più ci pensiamo, più i loro contorni diventano indistinti nel groviglio di sensazioni che li circonda; ma '2' o '317' non hanno niente a che vedere con le sensazioni e le loro proprietà si rivelano tanto più chiaramente quanto più attentamente le esaminiamo. [...] 317 è un numero primo, non perchè lo pensiamo noi, o perchè la nostra mente è conformata in un modo piuttosto che in un altro, ma perchè è così, perchè la realtà matematica è fatta così".

Interessante è anche il suo argomentare sull'inutilità della matematica, almeno di quella non-banale. Il fatto che sia inutile, un prodotto del puro pensiero, un contributo al sapere senza riscontri pratici, è tanto discutibile quanto difeso con grande forza da Hardy, e presentato come elemento di nobiltà della disciplina. Ovviamente non può sostenere questa tesi tanto facilmente e buona parte del suo saggio è dedicato a costruire una distinzione (anche qui forse con qualche contraddizione) tra due matematiche: "Ci sono dunque due matematiche: la vera matematica dei veri matematici, e quella che chiamerò, in mancanza di un termine migliore, la matematica 'banale'. [...] Siamo arrivati alla conclusione che la matematica banale, nel suo complesso, è utile, e che la matematica vera, nel suo complesso, non lo è". Lui nella sua carriera si è sempre occupato di matematica inutile e questo forse lo mette pure un po' al riparo da un mondo che (soprattutto ai suoi tempi) usa i risultati della scienza in un modo non sempre nobile: "Non ho mai fatto niente di 'utile'. Nessuna mia scoperta ha aggiunto qualcosa, nè verosimilmente aggiungerà qualcosa, direttamente o indirettamente, nel bene e nel male, alle attrattive del mondo". In realtà oggi sappiamo che molta matematica dei numeri interi, che anche Hardy ha contribuito a costruire, ha applicazioni rilevanti in settori tecnologici cruciali per il mondo moderno, come per esempio l'informatica. Se i risultati della matematica sono duraturi, altrettanto non si può dire della loro inutilità, caro Hardy.

Il quadro generale è complesso (forse anche perchè contraddittorio), grandioso ed estremamente stimolante. L'opinione che Hardy ha della matematica e dell'attività del matematico è forse alla base del suo fecondo rapporto umano e di lavoro con il genio di Ramanujan, ben descritto nel film. E' vero, quando Ramanujan confessa il modo in cui arriva ad avere le sue folgoranti idee matematiche ad un Hardy curioso che su questo lo aveva stimolato più volte, e gli racconta che la fonte delle sue ispirazioni è la dea della sua famiglia, Namagiri, Hardy non lo può accettare, ateo com'è. Ma forse il mistero con cui il giovane Ramanujan arriva a "toccare la realtà della matematica" è un po' anche nelle sue corde, e certamente lo affascina.

Anche a me questa storia ha affascinato non poco, tanto che in uno slancio di entusiasmo e di affetto ho regalato il libro ad una mia amica che non conosce la matematica ma che certamente può arrivare a "toccarla", come chiunque.