domenica 31 marzo 2019

I diritti costano

Quale può essere il messaggio del "Congresso mondiale delle famiglie" (World Congress of Families XIII) di Verona? Perchè definire in modo così dogmatico il concetto di famiglia? E tirar via da questo concetto le tantissime persone che per mille motivi non ci possono rientrare? Perché questa esigenza di stabilire cittadini "conformi" e cittadini "out"?

Mi viene da pensare che questo episodio (in sé e per sé anche un po' ridicolo) faccia parte di una tendenza generale sempre più evidente di voler essere "esclusivi", meno aperti ad includere i diritti delle persone che siano anche poco poco diverse da un qualche modello, magari scemo, magari insignificante, ma sufficiente per stabilire dei criteri di diversità. Un pretesto qualunque. Sembra che ci sia una volontà più o meno esplicita di limitare i diritti generali delle persone. Sono molti i segnali in questo senso.

Io credo che il motivo principale è da ricondurre all'evidenza della crisi di natura principalmente economica che buona parte della società occidentale sta attraversando. Alcuni interventi sui social in merito a questo episodio del congresso hanno un tono del tipo "ma che vi costa se esistiamo anche noi?" detto ovviamente da tutti quei soggetti che a vario titolo sono estromessi dal concetto della cosiddetta famiglia naturale. E il punto probabilmente è proprio questo. Come che ci costa? Ci costa eccome! Garantire diritti a tutti costa, costa proprio in termini economici. Estromettere persone dai diritti fondamentali significa in ultima analisi difendere le proprie ricchezze. Abbandonare più gente possibile al proprio destino, non prendersene cura, non farsi carico dei loro legittimi sogni è una difesa disperata del patrimonio.

In un periodo di crisi di risorse, e quando questo comincia a diventare evidente a tutti, si molla il meno possibile, si condivide tutto il meno possibile, ricchezze, territori, lavoro, diritti. E questo è vero quanto più la società mediamente nel suo complesso è ricca. La solidarietà nasce spontaneamente nella miseria mentre l'egoismo nasce nel tentativo di conservare quello che si è ottenuto quando non ci si sente più sicuri, inventando ragioni ridicole. Non è un caso che il periodo che ha visto le più importanti conquiste nell'ambito dei diritti civili è stato anche quello della maggiore crescita economica generale, quello in cui si costruiva la società del benessere. Mi riferisco ai primi decenni dell'ultimo dopoguerra. Ora che tutto l'occidente ha costruito il suo alto livello di benessere, che però le crisi economiche a varie riprese stanno minacciando, la logica che prevale è quella del "chi c'è c'è, non entra più nessuno, non avanza più niente". Questo è il messaggio che oggi risuona su scala sempre più ampia ed in modo sempre più preoccupante nella nostra società benestante e insicura.

domenica 24 marzo 2019

Il dominio dell'Arte e della Scienza

Ho sempre pensato che se c'erano una paio di cose per cui valeva la pena studiare e impiegare il proprio tempo e i propri sforzi quelle erano l'arte e la scienza. E' per questo che per anni, a più riprese, ho studiato e praticato la musica, pur non pensando mai seriamente di voler fare il musicista. E' sempre per questo che dopo qualche incertezza ho deciso di studiare Fisica all'Università, pur sapendo che sarebbe stato molto improbabile intraprenderne la professione specifica. Anzi, forse senza farmi troppo questa domanda. Sarebbe stato frustrante e alla fine intollerabile a quell'età studiare qualcosa "di più concreto", che poi significa semplicemente qualcosa che potesse preparare meglio al mondo del lavoro. La vera motivazione dello studio è il gusto di farlo, la ricerca personale. Un esercizio di pensiero disinteressato, senza fini se non quello di capire, che è anche la sua più grande gratificazione. Io questo l'ho provato.

Forse ho peccato di mancanza di concretezza, forse non ho mai veramente pensato di trasformare i miei studi più belli in una professione. Probabilmente la società stessa ti suggerisce che artisti e scienziati sono una razza a parte più che una normale categoria di lavoratori, come in realtà dovrebbe essere. Fatto sta che a tutt'oggi non rimpiango granché di non lavorare in questi ambiti, nonostante a tutt'oggi spesso i miei pensieri extra lavorativi siano rivolti in un modo o nell'altro proprio a loro, soprattutto attraverso la loro storia, così affascinante.

Magari è pure bello che mantengano questa loro "verginità", che rimangano le mie passioni disinteressate. Come diceva Einstein "dove il mondo cessa di essere ribalta per speranze e desideri personali, dove noi, come esseri liberi, lo osserviamo meravigliati, per indagarlo e contemplarlo, là entriamo nel dominio dell'arte e della scienza".

giovedì 21 marzo 2019

Sento cose assurde

Oggi mi capita di leggere un thread su Facebook che mi colpisce. Una signora racconta di una persona che si dà da fare a pulire una strada del quartiere ed esorta a fargli delle offerte. Nel suo post compare il verbo "integrare" e una foto allegata mostra la persona in questione rivelando che si tratta di un nero. Il thread in poche battute diventa un dibattito su italiani e stranieri. Alla persona che pulisce le strade per campare viene subito contrapposto (senza un motivo plausibile) un italiano che ha perso il lavoro, lasciando intendere che quest'ultimo ha più diritto di campare dello straniero, almeno nel suolo italiano, anche se non è del tutto chiaro se il nero di cui si parla è veramente straniero.

Nessuno fa una considerazione razionale del tipo "ma se quel cittadino italiano anziché essere un italiano disoccupato in Italia fosse un italiano disoccupato all'estero, avrebbe meno diritti? Dovrebbe tornare in Italia? Dovrebbe lasciare il paese che ha scelto? Chi lo stabilisce? Non gli si dovrebbe riconoscere la libertà di poter cercare fortuna dove meglio crede? Non è una libertà sacrosanta?".

Alcuni commenti accusano di "buonismo" o "falso buonismo" quelli che dichiarano l'intenzione di aiutare il presunto straniero, lasciando intendere che la solidarietà e la vicinanza umana è subordinata ad una graduatoria delle persone secondo parametri del tutto formali come la cittadinanza. Un fatto del tutto irrazionale, che nega il concetto stesso di solidarietà. Mi fa venire in mente la frase terrificante del ministro Fontana (politiche per la famiglia) "ama il prossimo tuo, cioè quello in tua prossimità. Quindi, prima di tutto cerchiamo di far star bene le nostre comunità". La parabola del buon Samaritano è evidentemente un "falso buonismo" dei vangeli.

Torno a casa e il telegiornale mi racconta l'episodio dell'italiano di origine africana che ha rischiato di uccidere più di 50 bambini a scopo di ritorsione per il comportamento del governo italiano nei confronti dei migranti. Episodio sventato in buona parte per il contributo di un ragazzo immigrato. Subito dopo mi fa ascoltare prima Salvini (vice primo ministro) e poi Meloni (parlamentare) che dichiarano il desiderio di dare la cittadinanza italiana al ragazzo immigrato e toglierla all'attentatore italiano. Neanche una cosa irrazionale, una vera follia. La cittadinanza data e tolta per meriti o demeriti, per premio o per punizione.

Per oggi può bastare, scrivo questo post solo per poter andare a letto un po' meno arrabbiato.

sabato 9 marzo 2019

"Il Primo Re", il film

Recentemente ho visto un film davvero particolare, da vari punti di vista. Cito solo due caratteristiche, che non sono però quelle che mi hanno colpito di più. Anzitutto è un film italiano, ma con dietro una produzione di una consistenza tale da non farlo sembrare un prodotto cinematografico nostrano. Poi l'intero film è parlato in proto-latino (ovviamente con sottotitoli, ma devo dire che qua e là molte battute o mezze battute si capivano). Il motivo è che il film racconta, in modo piuttosto inusuale, la leggenda della fondazione di Roma ad opera di Romolo e Remo, o meglio le vicende precedenti delle popolazioni in lotta per la conquista di territori in cui insediarsi, lungo gli argini del fiume Tevere. Vicende cruente di gente che sopravvive con mezzi primitivi.

La bellezza del film sta proprio nella rappresentazione di una società primitiva. E di questa rappresentazione quello che colpisce di più è il rapporto con la religione, che è anch'essa primitiva ma proprio per questo estremamente potente. Fa riflettere sull'uomo e sui suoi istinti più profondi. La religiosità in quei contesti è perfettamente integrata, armonica a quei gruppi umani e alla loro vita precaria e pericolosa, in balia degli accidenti più banali. Il sovrannaturale è sempre presente, anche se non esplicitato in divinità ben precise. E quest'ultima cosa è interessante. C'è poco o niente di elaborato da una cultura o da una lunga tradizione, poco di rituale. Al contrario colpisce la naturalezza della componente religiosa con cui si misurano tutti, come elemento di conforto, di speranza o di contrasto e ribellione. Le divinità sono più reali dell'habitat naturale in cui si muove la comunità umana, o meglio, sono un elemento concreto di questo habitat.

Anche la vicenda di Romolo e Remo è guidata e determinata dalle loro diverse scelte nei confronti del sovrannaturale. Il tragico epilogo non è altro che la conseguenza del volere degli dei sul destino degli uomini, che nulla possono sulla natura immensa e sugli agenti intenzionali che la governano. E' vero che questo sfondo è comune a molta letteratura del mondo antico ma vederla in una comunità dai caratteri così primitivi dà l'occasione di poter constatare come il rapporto con il sovrannaturale sia pensabile, in modo del tutto plausibile, come un dato pre-culturale, un elemento della natura più primitiva e ancestrale dell'uomo. Il film è una rappresentazione dell'essenza più profonda di qualunque religione.