sabato 27 novembre 2010

Precetti del catechismo

Attraverso il web mi imbatto nella storia di Lisa, Delia e Flavio. C'è talmente tanta umanità in questa vicenda che mi stupisce sempre pensare all'atteggiamento così contrario che la Chiesa Cattolica ha nei confronti di cose del genere. Si tratta probabilmente di una forte questione di principio che manda in secondo piano tutto il resto. Allora faccio il tentativo di andarmi a scovare questi principi dentro il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica.

Dalla lettura delle domande 498 e 499 (il compendio è scritto in forma dialogica) viene fuori che la chiesa è contraria alle forme di fecondazione assistita principalmente perchè le ritiene pratiche immorali in quanto "dissociano la procreazione dell'atto con cui gli sposi si donano intimamente, instaurando così un dominio della tecnica sull'origine e sul destino della persona umana".

Perchè la tecnica dovrebbe essere immorale? O meglio, perchè procreare con l'aiuto di una tecnica ottenuta dall'uomo attraverso le sue conoscenze sul mondo dovrebbe essere giudicato un fatto immorale? Nella domanda successiva, la 500, viene detto esplicitamente che un figlio è un "dono di Dio" e che non esiste un diritto ad avere figli.

La chiesa nel caso della fecondazione assistita non condanna le conoscenze, non condanna la tecnica che da esse deriva, non condanna neppure la conseguenza a breve termine di questa tecnica, quella principale, la procreazione di un figlio. Condanna invece una qualche conseguenza secondaria, a lungo termine, giudicata immorale: il "dominio della tecnica sull'origine e sul destino della persona umana".

A questo punto mi serve di precisare il concetto di moralità secondo la chiesa e la relazione che l'uso della tecnica ha con essa. Torno a leggere il Compendio.

Alcune domande (372, 415 e 416) precisano il concetto di moralità, cioè la capacità dell'uomo di distinguere il bene dal male. La morale è ispirata da Dio: "Quando ascolta la coscienza morale, l'uomo prudente può sentire la voce di Dio che gli parla". Risulta immorale tutto ciò che allontana da Dio: "La legge morale è opera della sapienza divina. Prescrive all'uomo le vie, le norme di condotta che conducono alla beatitudine promessa e vietano le strade che allontanano da Dio". Infine la legge morale diventa "legge morale naturale" in quanto "iscritta dal creatore nel cuore di ogni uomo", "esprime il senso morale originario" ed è "universale e immutabile". "A causa del peccato, la legge naturale non sempre e non da tutti viene percepita con uguale chiarezza e immediatezza".

La morale è dunque un elemento che viene da Dio e ha al tempo stesso a che fare con la natura trascendente dell'uomo. L'uomo è l'unico essere vivente che partecipa della trascendenza divina, cioè in lui c'è qualcosa che lo accomuna a Dio e lo porta al di fuori della pura logica della natura. L'uomo è dotato di libero arbitrio e può fare delle scelte, il suo comportamento può essere quindi giudicato moralmente. Il male si riduce all'allontanamento da Dio, ovvero all'allontanamento dal progetto che Dio ha per l'uomo.

Alcune tecniche sull'uomo, come ad esempio la fecondazione assistita, vengono considerate dalla chiesa come scelte di libero arbitrio che si pongono al di fuori del progetto divino. Sembra quindi che certi precetti del Catechismo della Chiesa Cattolica abbiano dietro il principio generale che l'uomo non può modificare o controllare la propria natura datagli da Dio, anche se potrebbe farlo proprio perchè ha in se la possibilità di trascenderla.

Rimane forse il fatto che bisognerebbe conoscere il progetto divino in tutti i suoi dettagli per capire bene se e in che modo l'uomo se ne allontana usando male quel suo libero arbitrio che è segno di trascendenza donataci da Dio.

Uffa, c'ho provato ... Torno a leggermi la bella storia di Lisa, Delia e Flavio.

domenica 21 novembre 2010

Conoscenze "fossili"

Mia nipote, che frequenta la prima media, ha appena studiato Cristoforo Colombo e la sua "scoperta" dell'America. Partendo dalla convinzione che la terra ha forma sferica Colombo si fa finanziare un lungo viaggio che dovrebbe portarlo alle Indie navigando nella direzione opposta a quella fino ad allora praticata. E sbarca in un nuovo continente. Non ne posso parlare con lei ma mi viene in mente il solito dubbio in merito a questa vicenda: ma è stato Cristoforo Colombo ad introdurre il concetto di sfericità della terra? Non mi quadra. Le mie conoscenze di storia mi suggeriscono che probabilmente Colombo "reintroduce" un concetto in qualche modo già noto, ma mi rendo conto che le circostanze non mi sono affatto chiare.

A distanza di una settimana mi capita di ascoltare una lezione di storia della scienza, tenuta dal prof. Lucio Russo (disponibile in rete), che tra le altre cose affronta guarda caso proprio questa questione, dandone un'interessantissima spiegazione.

La sfericità della terra è una conoscenza del mondo antico, in particolare sviluppata in dettaglio nel periodo ellenistico. Eratostene ne riesce a misurare persino il raggio, e quindi il meridiano, con una precisione impressionante per l'epoca. Archimede nel suo trattato sui galleggianti fornisce addirittura una "dimostrazione" della sfericità della terra utilizzando il suo famoso principio unitamente al concetto di peso come forza che attira tutti i corpi verso un centro (il centro della terra). Tolomeo considera acquisita questa conoscenza e la usa sia nel suo testo più importante, l'Almagesto, sia nell'opera La Geografia, dove vengono introdotte per la prima volta le coordinate sferiche, latitudine e longitudine, per descrivere le posizioni sulla terra.

Ma che succede dopo? In particolare nel medioevo? Lucio Russo osserva che questa idea non scompare ma in un certo senso si "fossilizza". Ovvero si perde la profondità delle conoscenze acquisite nei secoli precedenti e sopravvive solamente una nozione acritica, di fatto inutilizzata. Mentre Dante Alighieri nella sua Divina Commedia parla tranquillamente di terra sferica la cartografia della sua epoca non fa uso di questa nozione, e si limita ad una rappresentazione "piatta" del mondo, senza nessun riferimento alla sua possibilità di essere circumnavigato. A ben vedere anche l'uso che Dante fa di questa nozione di sfericità è del tutto fuori dalla realtà: sopra il mondo degli uomini centrato in Gerusalemme, sotto un emisfero inaccessibile, interamente coperto dalle acque, al centro del quale si erge il monte del purgatorio. Insomma Dante usa la sfericità della terra come una nozione "esterna" alla sua vera cultura. E molto probabilmente questo è l'uso che ne fa la civiltà sua contemporanea. Si deve dire che la terra è sferica perchè questa nozione è presente in tutti i testi antichi, ma la conoscenza che c'è intorno a questo fatto è andata perduta, e la nozione di fatto non viene utilizzata.

E come succede che Colombo recupera la "concretezza" di questa conoscenza? Anche qui Russo suggerisce una spiegazione semplice e interessante: nel 1475, appena 17 anni prima l'impresa organizzata da Colombo, esce in Italia la prima edizione a stampa de La Geografia di Tolomeo. Il recupero di una antica disciplina cartografica (conoscenze tecniche, metodi di misura, metodi di calcolo, ecc.) e le sempre più pressanti esigenze commerciali dell'epoca hanno fatto la differenza.

Come si può dimenticare una conoscenza? O meglio, come si può fossilizzare una cosa così importante nel corpus di conoscenze di una civilità? L'analogia che fa Russo per far capire che questo fatto non è poi così strano è al tempo stesso inquietante e istruttiva: provate a chiedere a una qualunque persona che passa per la strada se è il sole a girare intorno alla terra o la terra a girare intorno al sole. Risponderà certamente la seconda, senza nemmeno pensarci troppo. Provate ora a chiedergli perchè lo sa. Tutto quello che osserva gli indica che è il sole a girare intorno alla terra ma lui "sa" che deve dire esattamente il contrario ....

La questione della fossilizzazione e rivitalizzazione delle conoscenze non si applica solo a periodi storici remoti, ma è un fatto che riguarda probabilmente qualunque civiltà.

domenica 14 novembre 2010

Il Web è morto?

Prima o poi te la fai la domanda del perchè l'iPhone si è diffuso così tanto e in tempi così brevi. Una prima risposta, immediata, è che si tratta di un bell'oggetto, decisamente appetibile per un consumatore di tecnologia. Poi c'è l'innovazione tecnologica in senso stretto, anche quello è sicuramente un fattore di successo importante. Da questo punto di vista l'introduzione di un touch-screen così avanzato al momento della sua uscita sul mercato (tuttora probabilmente ineguagliato) m'è sempre sembrato l'elemento più significativo.

Ma ultimamente la lettura di un doppio articolo di Chris Anderson e Michael Wolff, che ha avuto una certa risonanza sul Web, mi ha portato un'ulteriore e significativa ragione del successo di questo smartphone. Questa starebbe nel cambiamento di paradigma nell'uso della rete Internet.

Internet è nata per collegare istituti di ricerca, università o ambienti militari. Comunque per veicolare informazioni inizialmente in ambienti molto ristretti e specialistici. La prima importante applicazione su Internet è stata probabilmente la posta elettronica e a me è capitato di vederla usare regolarmente in ambienti di ricerca scientifica quando la sua diffusione capillare in ambienti domestici era ancora lontana (almeno in Italia). Poi è arrivato il Web, e in poco tempo le cose sono cominciate a cambiare. Il Web è stato il veicolo principale dell'uso commerciale della rete Internet e quindi anche la spinta decisiva al suo enorme sviluppo.

La visione delle rate attraverso il Web è quella di uno spazio logico in cui si può "navigare" in maniera sostanzialmente libera attraverso un unico programma (il browser), avendo come orientamento un unico importante servizio: il motore di ricerca. Questa visione negli anni si è imposta come un vero e proprio paradigma, fino a far coincidere l'idea di Internet con quella del Web. Credo che tuttora molte persone non abbiano chiarissima la differenza, e soprattutto non sono interessati ad averla. Sta di fatto che la più grande azienda presente su Internet è proprio una di quelle che gestisce la ricerca di informazioni sul Web (Google).

Ma pare che qualcosa stia cambiando, e il principale veicolo di questo cambiamento sembra essere proprio quel genere di dispositivo di cui l'iPhone è al momento la massima espressione.

L'iPhone è stato introdotto sul mercato con una quantità considerevole di piccoli applicativi a lui dedicati, in parte gratuiti e in parte a pagamento, che in breve tempo sono diventati un giro di affari enorme (la cosa si è replicata su un dispositivo per certi versi analogo, l'iPad). Molti di questi applicativi sfruttano "risorse locali", ma molti altri sfruttano invece la "risorsa Internet", ovvero si collegano alla rete per attingere contenuti e servizi, spesso anche loro a pagamento. Questo sta di fatto cambiando l'utilizzo della rete da parte dell'utenza, sta introducendo un nuovo paradigma: Internet non attraverso il browser, in modo libero ma generico, bensì attraverso l'azione mirata di tanti applicativi specifici.

L'inizio dell'articolo di Anderson è estremamente efficacie: "Ti svegli e controlli la posta elettronica sull'iPad che tieni sul comodino. Ecco un'app. Mentre fai colazione dai un'occhiata a Facebook, a Twitter, e al New York Times. E sono altre tre app. Sulla strada verso l'ufficio, ascolti un podcast sul tuo smartphone. Un'altra app. Mentre lavori, guardi i feed Rss su un lettore e chiacchieri via Skype o via IM. Sono altre app. Al termine della giornata te ne torni a casa, prepari la cena ascoltando Pandora, giochi un po' con Xbox Live e guardi un film grazie al servizio in streaming Netflix. Hai passato la giornata su Internet, ma non sul Web. E non sei il solo. Non è una distinzione da poco".

La tesi interessante sostenuta dai due articolisti è che su questo nuovo paradigma sembra essersi realizzata una convergenza tra produttori e consumatori. I consumatori preferiscono sempre di più la strada facile delle piattaforme dedicate, spesso molto efficienti e ben funzionanti, che ne giustificano il costo, e i produttori hanno trovato un modo probabilmente più concreto per fare soldi. Tanto per fare un esempio la Apple si sta creando un business del tutto alternativo a quello che ha costruito in quest'ultimo decennio il dominio incontrastato di Google.

Sullo sfondo rimane Internet, la vera tecnologia rivoluzionaria dei nostri tempi. Cito un'ultima volta l'articolo di Anderson: "Il Web in fondo è solo una delle tante applicazioni che esistono su Internet, e utilizza i protocolli IP e TCP per muovere pacchetti. La rivoluzione è questa architettura, e non sono le applicazioni specifiche che ci sono costruite sopra".

venerdì 5 novembre 2010

Stiamo male o no?

Un rapido scambio di battute oggi mi ha portato a riflettere su questa domanda.

Oscillo spesso tra questi due stati d'animo opposti: da una parte mi sembra che viviamo tutti quanti male, in un paese che sta male, che ha mille problemi non risolti, con una immoralità diffusa, con personaggi abietti che infestano la nostra vita sociale. Dall'altra ogni tanto penso che in fondo molti di noi (praticamente tutti quelli che mi circondano) hanno un buon tenore di vita, una famiglia, delle buone abitudini, una buona moralità, spesso una buona o un'ottima cultura. Insomma i fondamentali ci stanno, anche di più forse.

Quando è che ho ragione? E' una questione soltanto di ottimismo del momento?

Probabilmente funziona come nel caso del lavoro (uno dei gravi problemi attuali, oggettivamente): se non ti senti sicuro nel tuo lavoro, perchè é precario, perchè hai la sensazione che manchi di stabilità e durevolezza, perchè in virtù di questo non puoi pretendere granchè e rimani un po' al palo, sia come carriera che come retribuzione, tendi a prendertela spesso con tutti quelli che hanno un lavoro molto più sicuro, stabile, duraturo, perchè magari sono impiegati in una qualche azienda-baraccone, e forti di questa copertura fanno il minimo indispensabile, anche meno se possibile, con una rilassatezza che tu non ti puoi neanche sognare. Queste persone ti stanno sul cazzo e non riesci ad ignorarle. Ma il punto è che le ignoreresti tranquillamente se avessi la sensazione che a te viene riconosciuto il dovuto.

Questo discorso può essere generalizzato. Praticamente tutti i giorni ci passa davanti agli occhi una parata di personaggi incredibili: politici corrotti, moralmente riprovevoli, addirittura insani di mente; calciatori tatuati che non parlano italiano (e non perchè sono stranieri); ballerine (chiamiamole così) senza nessun tipo di talento; ragazzi scemi che fanno cose sceme in trasmissioni televisive sceme; industriali o bancari con liquidazioni da superenalotto che nessun posto di responsabilità, dico nessuno, potrebbe giustificare in alcun modo; ... tutte persone di successo! Queste persone ti stanno sul cazzo e non riesci ad ignorarle. Ma il punto anche qui secondo me è lo stesso: le ignoreresti tranquillamente se avessi la sensazione che a te viene riconosciuto il dovuto.

E allora stiamo male o no? Stiamo bene perchè in cuor nostro sappiamo che bene o male nella nostra vita abbiamo fatto delle scelte che ci sembrano ancora quelle giuste. Stiamo male perchè abbiamo il sospetto che proprio quelle scelte ci hanno portato ad essere delle persone che non contano un cazzo. Stiamo bene perchè abbiamo costruito un nostro solido sistema di valori, sappiamo cosa conta nella vita e cosa no. Stiamo male perchè vediamo questi stessi valori quotidianamente spernacchiati (o trattati in modo ipocrita) proprio da chi ha maggior successo, tanto da domandarci se non abbiamo per caso sbagliato qualcosa.

Noi abbiamo fatto e facciamo delle cose, spesso anche buone cose (e per questo stiamo bene), ma il problema è che non ci vengono (o non ci sono state) adeguatamente riconosciute (e per questo stiamo male). Altrimenti tutti 'sti stronzi che sfilano davanti a noi non li degneremmo neppure di uno sguardo.