sabato 30 dicembre 2023

Musicisti moderni a corte

Questa mattina leggo che i Maneskin si sono esibiti alla festa di Natale di Luxottica. E' già una notizia che mi ha lasciato un po' spiazzato. Ma poi capisco dall'articolo che non si tratta di un fenomeno isolato. Mi era sfuggito ma già da qualche anno i gruppi e i cantanti, italiani e stranieri, prendono in considerazione e spesso accettano la partecipazione a feste private e le aziende mettono a disposizione compensi sempre più alti per questi eventi. L'articolo fa anche giustamente notare che non si tratta di musicisti al termine della carriera, tutt'altro.

Sembra che questo sia dovuto alla crisi del mercato discografico (oramai praticamente scomparso) e ai meccanismi attuali di distribuzione delle opere molto poco redditizi per gli autori. Il risultato è che adesso i concerti sono diventati la principale fonte di guadagno per i musicisti. Questo potrebbe anche essere visto come un fatto positivo, perché è bella l'idea di aumentare le possibilità di ascolto della musica dal vivo, ma credo che per rendere redditizi questi concerti non basta salire su un palco e suonare, come sarebbe tutto sommato normale, occorrono invece investimenti ingenti, organizzazioni complesse e difficili. Questo costringe i musicisti ad entrare in una logica di mercato che secondo me può lasciare ben pochi spazi a scelte artistiche libere, personali, magari innovative.

E adesso cominciano ad arrivare gli eventi privati, organizzati e scelti direttamente dalle aziende, disposte ad investire grosse cifre per curare la loro immagine sia al loro interno tra i dipendenti sia all'esterno, diffondendo, come mi pare che succeda, in forma più o meno autorizzata, filmati sui numerosi social seguitissimi. Effettivamente gli eventi privati di questo tipo possono rivelarsi estremamente convenienti per i musicisti, i costi sono ridotti, gran parte dell'organizzazione è in capo all'azienda che li ospita, i concerti sono spesso relativamente brevi e a quanto ho capito ben pagati. Certamente pagati di più in relazione all’impegno. I Maneskin sono arrivati da Roma ad Agordo (Belluno) poco prima di esibirsi (23:15 circa) per poi ripartire subito a fine concerto (poco prima dell'una) portandosi a casa un cachet di 800 mila euro. Tra l'altro il loro rapporto con i grossi brand non finisce qui visto che per mesi la TIM ce li ha fatti ascoltare nelle sue pubblicità. E alla fine anche i format come x-factor, se pure non sono aziende, poco ci manca.

Al momento non è così e anzi, forse questa cosa è ancora percepita come un tabù dal pubblico e dagli stessi musicisti, ma forse in futuro molta musica avrà sempre più bisogno di soldi e di legarsi quindi ai grossi brand, e questi saranno sempre più importanti per veicolarla, e forse per produrla. Vedo delle somiglianze con il cinema, sempre più produttivo, sempre più a riciclo di idee, sempre più povero di registi che oltre a riprendere in modo impeccabile le scene siano anche autori, ideatori delle loro opere, siano protagonisti di un loro personale processo creativo, insomma che siano artisti. Il riciclo delle idee anche in musica certe volte è così evidente che ogni tanto mi viene da pensare che stiamo cercando di fare peggio delle intelligenze artificiali, gli stiamo preparando il terreno.

Sarò un trombone, sarò un parruccone, ma alla fine di questa riflessione mi viene in mente Mozart. Un artista che è praticamente morto di stenti per aver fatto una scelta di libertà che all'epoca aveva qualcosa di rivoluzionario, una scelta da vero illuminista. I musicisti suoi predecessori e suoi contemporanei erano tutti impiegati alle corti dei nobili dell'epoca, stipendiati per fare le cose che gli venivano chieste in funzione delle esigenze della corte e dello svago di principi, duchi, arcivescovi, ecc. Mozart ha avuto il coraggio (col talento che era cosciente di avere) di svincolarsi dalle corti e intraprendere una carriera da artista libero, sperando che il suo lavoro gli consentisse comunque di poter vivere. Troppo avanti sui suoi tempi, purtroppo. Anche più avanti di certi musicisti attuali.


lunedì 25 dicembre 2023

Pot-pourri di Natale

Leggo che il Vaticano ha approvato la benedizione delle coppie di fatto e di quelle formate da persone dello stesso sesso. Questo non implica una equiparazione dell'unione di queste coppie al matrimonio che continua ad essere considerato un sacramento che stabilisce "un'unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli". Con la solita inconfondibile inerzia la Chiesa sembra avvicinarsi ad una realtà che precedentemente non prendeva in considerazione e dimostra con ciò una certa capacità di rinnovarsi. Questo suo atteggiamento, messo a confronto con la rigidità che sembrano avere altre religioni come ad esempio l'islam, ci appare come un elemento positivo intrinseco della Chiesa Cattolica sulle altre religioni del nostro tempo. Io però non posso fare a meno di pensare che la storia della Chiesa è da sempre una storia di rinnovi indotti dal progresso della cultura occidentale più che da elementi intrinseci del cattolicesimo, che invece mi appare come una struttura di potere bisognosa di adattarsi ai tempi per mantenersi viva e vegeta. Nella sua capacità di rinnovarsi, peraltro sempre cauta e limitata, non ci trovo niente di particolarmente positivo, piuttosto trovo che sia un elemento di ambiguità.

Leggo che Chiara Ferragni, insieme alla società Balocco, è sotto inchiesta per una campagna promozionale di una linea di pandori presentata come iniziativa di beneficenza per l'ospedale Regina Margherita di Torino. In realtà la beneficenza era già stata stabilita con un ammontare fisso ancora prima delle vendite e indipendentemente da esse. In pratica l'annuncio delle vendite dei pandori con una percentuale da dare in beneficenza era falsa e usata come "phishing pubblicitario" per aumentare le vendite stesse. Questa notizia mi fa venire dei rigurgiti di cristianesimo. Se si vuol far del bene a qualcuno non è certo necessario annunciarlo, lo si fa e basta. Bella la frase del vangelo che dice "la tua sinistra non sappia quello che fa la tua destra". In questo caso invece il senso della frase evangelica è completamente ribaltato: è importante annunciare quello che si fa più che farlo veramente. Evitando di farsi sputtanare. Perché il problema è proprio quello, non importa quello che accade, ma quello che se ne racconta.

Leggo che il Servizio Sanitario Nazionale ha fornito assistenza completa a una donna per il suo suicidio assistito. E' la prima volta che succede in Italia. E' legale non per una legge del parlamento (che non c'è) ma per una sentenza della Corte Costituzionale del 2019. In assenza di una vera e propria legge ogni caso è affidato volta per volta alla gestione delle singole Aziende Sanitarie Locali. Il fatto di non avere una legge che consenta a una persona di scegliere liberamente della propria vita e della propria morte è il retaggio di un modo di pensare la vita, anche la nostra stessa vita, come qualcosa che non ci appartiene e su cui non possiamo esercitare la nostra libertà. Perché la nostra vita è di qualcun altro, di qualcosa o qualcuno che ci trascende e a cui apparteniamo per natura. Anche se poi finisce che c'è sempre qualcuno che assume il ruolo di intermediario e interprete di questa trascendenza, chissà com'è. Leggo anche di una ragazza morta per mano del suo ex-fidanzato, che non accetta la libertà di lei di scegliere il suo destino, e pensa di poter essere intermediario e interprete di questo destino, scegliendo lui per lei. Due notizie che hanno una somiglianza sinistra.


domenica 17 dicembre 2023

Conforto e Potere (e società ipocrita)

Le religioni, dal punto di vista sociale, sono tipicamente caratterizzate da due aspetti. Il primo è il valore di "conforto" che riescono a dare all'individuo e quindi alla comunità. Il dramma della consapevolezza della propria morte può rendere l'esistenza stessa angosciante, priva di una prospettiva adeguata. Le religioni tamponano più o meno efficacemente questa angoscia e soddisfano questo bisogno di vedersi in una dimensione più ampia rispetto alla limitatezza del proprio destino. Il secondo riguarda la capacità delle religioni di fare promesse, e la "gestione" di queste promesse si trasforma tipicamente in esercizio di un potere, peraltro un potere fortissimo perché legato a destini ultraterreni assoluti. La combinazione di queste caratteristiche ha la capacità di rendere l'esistenza più accettabile, le sofferenze più sopportabili e il destino delle comunità in mano a elementi sovrannaturali normalmente gestite da classi di potere. Tutto ciò può dare un certo grado di stabilità sociale e accettazione delle proprie condizioni.

Il Cattolicesimo nella nostra civiltà occidentale secolarizzata ancora mantiene in buona parte questa sua funzione di generare conforto nella società e potere dove serve poiché il processo di secolarizzazione anziché eliminarlo lo ha trasformato in una grande bolla di ipocrisia. E questo perché in un mondo di comforts che si possono acquistare ovunque a che accompagnano le nostre vite rischia di mancarcene uno che ci possa far digerire meglio la nostra morte, non importa quanto sia vero, siamo ben abituati alle cose finte. Ci vuole qualcuno che ci metta una mano sulla spalla e ci faccia capire che meritiamo il regno dei cieli, senza troppo impegno. Ci serve un messaggio religioso poco impegnativo, interpretabile a nostro gusto, che si adatti alle nostre vite più che il viceversa.

Ma come fa un vero cattolico (ammesso che ce ne siano ancora in giro) ad accettare un processo di edulcorazione così smaccato e a farlo passare (e farselo passare) come un credo religioso sincero? Capisco che l'ipocrisia serva proprio a questo, e la nostra società di comportamenti ipocriti ne ha da vendere, ma certe volte penso che ce ne voglia proprio una dose esagerata. E' imbarazzante.

Basterebbe pensare al famoso episodio del vangelo in cui un giovane vestito bene, accompagnato dal suo asino e dalle sue merci, si presenta a Gesù e chiede cosa deve fare per guadagnare il regno dei cieli. I seguaci di Gesù sono schiere di morti di fame, a cui Gesù deve dare da mangiare compiendo miracoli (come quello dei pani e dei pesci). E' anche a questi che il giovane si presenta. Gesù risponde richiamandogli il rispetto dei dieci comandamenti. E' quasi una risposta formale, la formula che serve per calmare la coscienza. Ma il giovane sorprendentemente insiste, perché lui i comandamenti li rispetta da sempre, perché lui è di buona famiglia, onesta e religiosa. Però vuole pure essere sicuro di poter ottenere quello che chiede, perché probabilmente è consapevole di avere davanti a sé una figura non proprio allineata ai suoi modi di pensare. Gesù allora reagisce senza mezzi termini: "lascia tutto e seguimi", e il bravo ragazzo torna tristemente sui suoi passi. E' in questo episodio che spunta la famosa metafora della cruna dell'ago. Sarà pure controversa la traduzione ma il senso secondo me è chiarissimo e senza sfumature. Se sei ricco (non ricchissimo e potente, il giovane chiaramente non lo è), benestante rispetto ai diseredati del mondo, sei già in una posizione sbagliata. Se poi questa tua posizione la vuoi anche giustificare e conservare a tutti i costi perché questo è il tuo modo di pensare e di vivere, allora sei definitivamente tagliato fuori.

E a questo punto un cattolico dovrebbe farsi questa "semplice" domanda: chi è questo bravo giovane di buona famiglia, vestito bene, con il suo asino, le sue merci. Chi è, caspita?? Non è abbastanza chiaro che siamo NOI? Appare chiaro e tondo solo a me? Non siamo NOI i benestanti di questa società opulenta (in fondo la stessa dell'epoca)? Non siamo NOI le brave persone che non fanno male a nessuno? Che non fanno nulla di male? Com'è che non ci identifichiamo con questo bravo ragazzo? Con chi vogliamo identificarci, con la massa dei diseredati seguaci di Cristo? Così, gratuitamente? Siamo NOI che non passeremo mai le porte di quel regno dei cieli che pensiamo di ottenere automaticamente per il semplice fatto che non facciamo niente di male.

L'ipocrisia serve per schermare la realtà scomoda che non vogliamo vedere. In questo caso consente di fare in modo che la religione cattolica mantenga le sue funzioni di elemento di conforto per gran parte della popolazione (sempre meno religiosa) e che purtroppo sia ancora funzionale al potere.


lunedì 11 dicembre 2023

Apologia dell'ICT

Viviamo all'inizio di un era tecnologica altamente trasformativa, più rivoluzionaria delle storiche rivoluzioni industriali. Protagoniste di queste trasformazioni sono le tecnologie informatiche, o più in generale le tecnologie di informazione e comunicazione (le cosiddette ICT, Information and Communication Technologies). Credo che sia normale che tutte le tecnologie estremamente innovative siano sempre accompagnate da climi culturali sospettosi, preoccupati, pessimisti sul futuro, che generano una letteratura di carattere distopico, catastrofista, ecc. Questo vale anche per i nostri tempi, ed è ben evidente. Le "diavolerie" tecnologiche, sempre più complesse, generano un confuso senso di preoccupazione, spesso molto indefinito ma ben presente. Probabilmente non è altro che un aspetto della nostra natura, e certamente è un fatto generazionale. Douglas Adams lo sintetizza molto bene nelle sue tre regole che definiscono il nostro rapporto con la tecnologia:

1) Tutto quello che è al mondo quando nasci è normale e banale ed è semplicemente parte del modo in cui il mondo funziona;
2) Tutto quello che viene inventato dai tuoi 15 ai tuoi 35 anni è nuovo, eccitante e rivoluzionario, e con un po' di fortuna potresti fare carriera usandolo;
3) Tutto quello che viene inventato dopo i tuoi 35 anni è contro l'ordine naturale delle cose (e per alcuni anche l'inizio della fine della civiltà come la conosciamo).

Io (nonostante la mia età) vorrei raccontare l'era digitale, l'era delle tecnologie informatiche, in modo ottimista, in modo da dare alle "diavolerie" che accompagnano le nostre vite uno spessore culturale profondo. Perché la tecnologia è un elemento che ci caratterizza come umanità, più di molte altre cose a cui siamo abituati a pensare quando ci "definiamo". Come dice Massimo Temporelli in un suo libro divertente e istruttivo: "[...] noi Homo Sapiens [...] co-evolviamo con le macchine che immaginiamo e costruiamo, divenendo altro. Questo fenomeno è all'origine della nostra specie, visto che proprio grazie alla tecnologia ci siamo trasformati enormemente. [...] la pietra, l'agricoltura, il rame, il bronzo, il ferro, il vapore, l'elettricità, l'elettronica e il digitale sono tutte tecnologie che hanno cambiato la nostra storia più di ogni altra cosa, più dell'arte, della filosofia o della musica. Anzi, sono loro ad aver influenzato questi altri ambiti. [...] Noi cambiamo e ci trasformiamo con la tecnologia, divenendo altro. [...] Dovremmo preoccuparci per questo?" (Noi siamo tecnologia, Massimo Temporelli, 2021).

Mi piacerebbe, e credo che sia importante, dare nobiltà alle tecnologie informatiche che stanno cambiando il nostro mondo. Si parla spesso ormai di algoritmi come cose spaventose che negli ultimi tempi hanno invaso irrimediabilmente le nostre vite, novelli strumenti dagli effetti inquietanti. Ma gli algoritmi fanno parte della nostra storia, sono antichissimi come la nostra filosofia e le nostre arti. Lo sottolinea anche Donald Knuth in un suo scritto di cui riporto l'abstract: "Uno dei modi per contribuire a rendere rispettabile l’informatica è dimostrare che è profondamente radicata nella storia e non solo un fenomeno di breve durata. Pertanto è naturale rivolgersi ai più antichi documenti sopravvissuti che trattano di calcolo e studiare il modo in cui le persone si avvicinavano all'argomento quasi 4000 anni fa. Spedizioni archeologiche nel Medio Oriente hanno portato alla luce un gran numero di tavolette d'argilla che contengono calcoli matematici, e vedremo che queste tavolette forniscono molti indizi interessanti sulla vita dei primi 'scienziati informatici'", (Ancient Babylonian Algorithms, by Donald E. Knuth, Stanford University, 1972).

Sarebbe importante anche accostare l'informatica alla matematica e trattarla come meriterebbe, anche nell'insegnamento scolastico, invece di vederla come una cosa aliena dal resto della formazione, relegarla agli aspetti meramente produttivi, oppure in ambito scolastico identificarla solo con l'uso dei dispositivi che da essa derivano (tablet, smartphone, programmi di office automation, e altra roba del genere). Un importante matematico italiano, Corrado Bohm, diceva che "la matematica è nello stesso tempo madre e figlia dell'informatica".

Si parla di Big Data, cioè delle enormi quantità di dati che riusciamo ad avere a disposizione e delle altrettanto enormi capacità di calcolo che ci permettono di elaborarli, sempre più spesso accompagnando l'argomento con la paura che ci stiano rubando le informazioni che ci riguardano per fare del business a vantaggio di grandi compagnie private (che è in parte quello che sta succedendo ed è pure un pericolo vero). Io però voglio in ultimo citare un altro importante matematico, Gabriele Lolli, che in merito a questi aspetti vede un ampliamento dell'indagine matematica e tira fuori questa bellissima frase: "Prima dei calcolatori l'uomo, il matematico, si è mosso su due livelli ben distinti, quello del finito molto piccolo e visualizzabile (le dita delle mani) e subito dopo, con una coraggiosa estrapolazione, quello dell'infinito. Adesso sembra venuto il momento di esplorare un dominio sconosciuto, il finito grande".


sabato 2 dicembre 2023

Quello che mi è piaciuto di un film

Sono andato a vedere l'ultimo film della Cortellesi. Il film non mi è sembrato granché ma ci sono tre cose che mi hanno colpito e che mi vorrei segnare in questo post. Attenzione, l'ultima di queste tre cose è uno spoiler gigante.

1. La sala era piena. Quando siamo entrati c'era aria viziata, l'intervallo tra uno spettacolo e l'altro non era sufficiente ad arieggiare il locale. Ultimamente frequento abbastanza le sale cinematografiche e mediamente le trovo semivuote. Questa novità, nonostante l'aria viziata, è stata piacevole.

2. Il tema trattato dal film è quello della società patriarcale, l'ambientazione è quella dell'Italia appena uscita dalla seconda guerra mondiale. Indubbiamente rispetto a quei tempi di cose ne sono successe nell'ambito dell'emancipazione femminile ma il tema rimane di una certa attualità, anche se vissuto in forme molto diverse. Ci sono alcune scene del film che messe insieme fanno capire perché certe trasformazioni sociali sono particolarmente lente, come uno forse non si aspetterebbe. La figlia della protagonista, che vive la situazione tragica della madre spesso vittima delle violenze verbali, comportamentali e fisiche del marito, critica pesantemente la madre a più riprese durante il film per la sua incapacità di ribellarsi a questa situazione, per il suo fatalismo nel sopportare un destino oramai segnato. Ma la stessa figlia, nel rapporto appena iniziato con il suo fidanzato sta per rischiare lo stesso identico destino della madre, sta per essere vittima anche lei della stessa cultura maschilista, e soprattutto (questo è significativo) senza accorgersene.

3. La scena finale a sorpresa (spoiler) viene preparata dagli eventi precedenti in modo che lo spettatore sia ragionevolmente convinto che tutta la preoccupazione della protagonista converga nell'intenzione di lasciare tutto e scappare al nord con il suo primo amore. Ci si rende conto invece che il vero obiettivo è quello di andare a votare per il referendum monarchia-repubblica, la prima votazione della storia italiana in cui sono ammesse anche le donne.

L'ultima scena rievoca un tempo in cui (forse) gli italiani credevano nella possibilità di costruire un futuro migliore e credevano nella possibilità di prenderne parte, contare qualcosa. La protagonista punta tutto su questa speranza, nutrita ovviamente soprattutto per la figlia, appena scampata ad un rapporto possessivo.

Una realtà raccontata dal film che appare molto distante dalla situazione attuale, dove il senso di partecipazione alla società è quasi scomparso, sopravvive ben poca speranza nel poter migliorare, e quello che rimane è un individualismo disperato, che spesso vede come unica soluzione quella di andarsene via.

La protagonista invece rimane, e sceglie di puntare tutto sulla possibilità di contribuire al cambiamento della società in cui si trova a vivere, per provare a darle un futuro migliore, a partire da sua figlia.