martedì 31 gennaio 2023

La necessità di un livello minimo di ipocrisia

Ultimamente mi è capitato più di una volta di accennare al fatto che l'alcool è una sostanza tossica, in particolare anche un agente cancerogeno accertato, e di osservare reazioni che vanno dallo stupore sincero all'incredulità mista a diffidenza, oltre ovviamente a risposte del tipo "si, ma che ce frega!". Nei giorni scorsi si è sollevato anche un dibattito relativo alla modifica dell'etichettatura delle sostanze alcoliche chieste dall'Irlanda e approvata da Bruxelles e che potrebbero costituire un precedente per un cambiamento a livello europeo, a cui si stanno opponendo tutti gli stati europei maggiori produttori di vino (Italia, Francia, Spagna). La richiesta dell'Irlanda è ovviamente giustificata dai seri problemi che in quel paese provoca il consumo eccessivo di bevande alcoliche, la reazione degli stati produttori di vino è "giustificata" dalla volontà di proteggere un mercato importante. Questo è un caso in cui l'informazione e la politica dovrebbero giocare un ruolo fondamentale, mentre perlopiù mi sembrano vacanti o inadeguati.

Ma al di là di tutto, quello che mi colpisce è la reazione delle persone, che grosso modo, se non ho capito male, assumono con varie sfumature un atteggiamento del tipo "ebbasta! non fateci sapere niente, fateci campare, non ci rompete le scatole pure col vino, eddaaaiii!". E' pur vero che la campagna anti-tabacco ha a tutt'oggi un carattere terroristico in quei messaggi osceni ed esagerati inseriti in tutti i pacchetti di sigarette e in altri prodotti per il fumo. In questi casi l'informazione al cittadino secondo me dovrebbe essere fatta con toni razionali e non emotivi. Ma se lo Stato deve informare il cittadino della tossicità accertata di sostanze contenute in prodotti di largo consumo dovrebbe farlo ovviamente per tutte, dunque tanto per il tabacco quanto per l'alcool ed eventualmente anche per altre sostanze. E' una forma di protezione della collettività, un problema di salute pubblica, mi sembra importante.

Il comportamento che mi è capitato di osservare indica invece una tendenza ad essere refrattari alla corretta informazione, soprattutto quella che ci responsabilizza sull'esercizio di pratiche consolidate associate ad un certo fattore di rischio. Quello che ci dà fastidio è il dover constatare che abitudini affatto normali risultino essere intrinsecamente rischiose, chiamando in causa il nostro senso della misura e di responsabilità. Preferiamo demonizzare alcuni elementi un po' più esterni alle nostre vite, più circoscritti e controllabili, come ad esempio le cosiddette "droghe", e soprassedere sul resto. Come se chiedessimo a noi stessi di poter coltivare un livello minimo di ipocrisia.

Forse le nostre società sempre più complesse ci sovraccaricano di troppi problemi rispetto a quelli che siamo fisiologicamente in grado di affrontare e gestire, superando un livello oltre il quale non ce ne vogliamo più far carico. Troppo difficile campare così. Lasciateci in pace, non ci raccontate tutto quello che sappiamo, nascondetecelo se possibile, che magari campiamo meglio. Il fatto è che se abbiamo bisogno di questa deresponsabilizzazione anche su piccole cose come queste poi come facciamo (faremo) a farci carico come società dei ben più grandi problemi della convivenza globale di miliardi di persone? Anche questi per caso li stiamo discutendo con la stessa nascosta necessità di ipocrisia? Il cambiamento climatico, la minaccia nucleare, la convivenza pacifica, le tante forme di inquinamento, la gestione di tecnologie sempre più complesse, la povertà diffusa .... mi sa che è meglio prendere la pillola blu di Matrix.


sabato 21 gennaio 2023

Un film su Mandela

Ieri sera ho visto un film di Clint Eastwood su Nelson Mandela. Non mi è sembrato proprio un gran film, Eastwood secondo me ne ha fatti di migliori. Però mi ha colpito il racconto del comportamento di Mandela presidente del Sud Africa, un paese appena uscito dall'apartheid. In poche parole tutto il film girava sulla determinazione di Mandela a voler ricoprire a tutti i costi il ruolo di presidente di tutti, bianchi e neri. Il suo costante impegno nell'essere sempre inclusivo, nel voler riunire tutto il popolo sudafricano in un'unica grande nazione. Determinato a voler avere una visione generale della società che non contrapponesse più differenze inutili e dannose. Uno sforzo titanico per uno che ha subito così tanto da una parte di quella società. Per raccontare questa sua ostinazione Eastwood sceglie un evento sportivo, il campionato mondiale di rugby, ospitato proprio in Sud Africa nel 1995.

Si tratta ovviamente di un fatto realmente accaduto. Il Sud Africa in quell'anno diventa campione del mondo di rugby, all'epoca considerato uno sport per bianchi, seguito solo dagli "afrikaner" e per questo odiato dalla popolazione nera, con una squadra costituita da 25 giocatori bianchi su 26. Mandela riesce a trasformare un evento potenzialmente e pericolosamente divisivo in un'occasione per unificare un popolo fino a quel momento drammaticamente diviso dal razzismo. E per riuscirci si mette apertamente contro la voglia di riscatto espressa a più riprese da molti esponenti della società nera. Combatte contro la voglia comprensibile di ribaltare la società sudafricana e farla pagare finalmente alla minoranza bianca che per tanti anni si era scagliata anche contro di lui. Il suo vero obiettivo era di ritrovare un equilibrio sociale, culturale e politico che rappresentava l'unica vera salvezza per tutti.

Oggi leggevo un articolo che parlava di tecnologia, in particolare di intelligenza artificiale, della sua natura utile e rischiosa nello stesso tempo (come per tutte le tecnologie), dell'esigenza di saperla valutare nelle sue molte implicazioni oltre che di saperla fare. Ad un certo punto leggo questa frase: "... anche il modo di educare le nuove generazioni dovrà cambiare velocemente. Forse lo sforzo per convogliare le giovani generazioni verso le discipline scientifiche o più in generale verso le discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) dovrebbe essere integrato dallo studio della filosofia e in generale delle discipline umanistiche e sociali". Questa è una cosa che penso sempre più spesso.

Noto con dispiacere che a tutt'oggi molte persone di orientamento culturale umanistico continuano ad essere alieni alle questioni sempre più importanti sollevate dalle innovazioni tecnologiche e contemporaneamente noto con altrettanto dispiacere che le persone che a vario titolo si occupano di tecnologia pensano solo a farla, trascurando troppo spesso l'analisi critica. Non riconoscere alla tecnologia un alto valore culturale da una parte e snobbare l'approccio umanistico e la sua capacità di riflettere sulle cose del mondo dall'altra è quanto di peggio una società possa fare, ora e nel prossimo futuro. Ci vorrebbe uno sforzo di unione culturale che parta prima di tutto da nuovi modelli educativi. Ci vorrebbe un Mandela-pensiero.