domenica 28 novembre 2021

Il modello Principe-Principessa

Il maschilismo, tratto comportamentale ancora presente in varia misura nelle nostre società, non esiste per essere contro la donna, non la disprezza, non è violento contro di lei. Risponde solo ad un modello culturale che assegna ruoli ben precisi ai due sessi, e in questo senso li vincola entrambi. Questo modello si potrebbe definire "Principe-Principessa", una figura retorica invero un po' antica e di stile cavalleresco, ma tutto sommato ancora presente e rappresentata, che contiene molti degli aspetti che ritengo essenziali per descrivere il maschilismo e le sue conseguenze. E' dallo sgretolamento di questo modello che nascono i problemi, anche quelli di violenza sulle donne (e di violenza autodistruttiva degli uomini).

Principe e Principessa vivono sotto lo stesso tetto, uno splendido maniero, le cui ricchezze fanno da sfondo alla loro felicità (primo elemento). Ma lo abitano ricoprendo ruoli ben diversi. Il modello delle favole rappresenta la Principessa spesso come una ragazza idealizzata (secondo elemento) sia come bellezza che come comportamento, che viene scelta dal Principe (terzo elemento) e portata al castello per godere di ricchezze non sue (quarto elemento). La Principessa non deve pensare a niente di importante, non è necessario, deve bastare la sua presenza (quinto elemento). Il modello femminile che non si allinea a questo stereotipo di figura non indipendente e protetta è sempre terribilmente negativo (regina cattiva, strega, ecc.). Il Principe è invece il detentore di tutti i beni, generoso e giusto nel gestirli ma sono sempre i suoi beni, è sempre lui a gestirli. La Principessa è uno dei suoi beni, certamente il più prezioso (sesto elemento). Il modello della conquista è pieno di fascino, sia per chi conquista che per chi viene conquistato.

Secondo me gli elementi di questo modello, che sto desumendo principalmente dalla tradizione favolistica per semplicità e chiarezza, sono in varia misura e in forme spesso lontane da quelle citate (certamente meno marcate), ancora abbastanza diffusi, forse più di quanto non si pensi. E forse a tutt'oggi genera modelli sociali del rapporto uomo-donna con cui tutti noi ci confrontiamo (per criticarli, per rifiutarli, per accettarli, per assumerli in modo acritico, ecc.).

Credo che una buona parte di noi, più o meno consapevolmente, sia ancora culturalmente predisposta a cercare questi elementi nel rapporto, e che anzi lo concepisca proprio sulla base della presenza di essi. Ovvio che nella nostra società, che propone ancora in varia misura certi modelli e contemporaneamente modelli di emancipazione femminile, ragionare in questo modo produca una certa dose di frustrazione. Una frustrazione che agisce sia sugli uomini che sulle donne (secondo me se la cultura maschilista ancora esiste nella nostra società è solo perché in buona parte è assimilata e diffusa anche dal genere femminile).

Quando un modello culturale si sgretola sotto le modifiche sociali produce traumi, disequilibri, vittime. I tempi e i percorsi per trovare nuovi equilibri potrebbero essere molto lunghi e lastricati di sofferenze. Nella progressiva demolizione del modello Principe-Principessa le prime vittime secondo me sono gli uomini, perché vedono sgonfiarsi il loro ruolo di potere su cose, situazioni e persone, e perdere la relativa attribuzione di un grande senso di responsabilità su di esse. Rischia di rimanere un grande vuoto, indubbiamente. Anche le donne trasformano radicalmente il loro ruolo, ma per raggiungere uno stato di autodeterminazione che, se accettato dalla società, costituisce per loro un indubbio vantaggio rappresentato in sostanza dalla libertà di scelta e dall'aumento dello spettro delle possibilità di vita. Insomma una ricchezza, non un vuoto. C'è anche da dire che questo comporta un maggior carico di responsabilità, quindi è anche comprensibile che non tutte siano così portate ad abbracciare con entusiasmo questa nuova condizione (ci sono ancora parecchie principesse in giro).

Gli elementi del modello che ho citato sopra cadono uno ad uno. Se la donna non è più un bene (come un gioiello, notare la metafora) e si autodetermina con scelte personali con cui doversi confrontare è veramente difficile idealizzarla, è difficile sceglierla indipendentemente dalla sua volontà (o pensando addirittura che sia il frutto di qualche volontà superiore), è difficile metterla in un ambiente non scelto da lei, è difficile collocarla in ruoli secondari e non decisionali. E nella maggior parte dei casi nella nostra società sempre più complessa non è più pensabile avere un maniero in cui poter vivere tranquilli e al riparo da tutto. E allora come si fa a pensare alla "propria" Principessa come il bene più prezioso? Anzi, la sua figura sempre più indipendente e sempre meno bisognosa di protezione diventa pericolosamente simile a quella di una regina cattiva, di una strega. Crolla un mondo, a cui non si riesce facilmente a contrapporre qualcosa di costruttivo. Rimane solo la sua distruzione.

Il maschilismo è prima di tutto una tragica trappola culturale per l'uomo da cui, visto quello che succede, è evidentemente molto difficile uscire. Almeno per molti sembrerebbe essere così. E' chiaro che prima o poi usciranno tutti. Nel frattempo semina vittime, da tutti e due i fronti.


lunedì 15 novembre 2021

Gli manca la parola

Solitamente quando instauriamo un rapporto stretto con un animale domestico, e cominciamo a capirne alcuni elementi di comunicazione che spesso ci stupiscono, finiamo per dire con ammirazione: "Caspita! Gli manca la parola!". Pensiamo che sia l'elemento che manca al nostro interlocutore, e che ci impedisce di capirlo nei dettagli come vorremmo. Crediamo che ci vorrebbe proprio dire qualcosa, ma gli manca la parola.

In effetti credo che sia esattamente questa la differenza principale tra l'uomo (Homo Sapiens) e tutti gli altri esseri viventi nel pianeta. Noi abbiamo la parola. Ma che significa questo? Prima di tutto significa un fatto puramente fisico, cioè che noi abbiamo un apparato vocale (laringo-faringeo) in grado di articolare una vasta gamma di fonemi, un apparato largamente più sofisticato di qualunque altro animale. Una differenza sostanziale che noi abbiamo anche con i nostri parenti più stretti, le scimmie antropomorfe. E' difficile dire perchè noi si e tutti gli altri no, però suppongo che funzioni come tutti gli altri caratteri evolutivi, elementi casuali ci hanno fornito un primo vantaggio, delle prime caratteristiche che ci hanno favorito e che poi abbiamo progressivamente sfruttato e quindi raffinato e selezionato generazione dopo generazione.

Ma una specie che riesce ad articolare versi così eterogenei che se ne fa di questa sua caratteristica, tanto da evolverla poi con questi risultati? Probabilmente ci può costruire una forma sofisticata di comunicazione con gli altri individui. Moltissimi animali sociali comunicano attraverso l'uso di una certa gamma di versi, il fatto di avere una tavolozza infinitamente più ampia è certamente un vantaggio da questo punto di vista. Ma è solo questo il vantaggio? Forse no, forse riuscire ad avere un verso per indicare qualsiasi oggetto favorisce la costruzione di un linguaggio, dà la possibilità di comunicare cose sempre più specifiche e dettagliate. Non solo, ma forse permette anche di capire che ogni cosa del vivere si può mappare con un suo simbolo, in questo caso una parola (ovvero una combinazione di fonemi, un verso). E che questa cosa si può anche estendere ad altri elementi fisici, oggetti, ornamenti del corpo, segni nelle pareti di una grotta. Tutto ciò aiuta a sviluppare la capacità di formare nella propria mente le connessioni tra elementi della realtà e una loro rappresentazione simbolica. Aiuta a mettere insieme in modo originale cose che esistono per arrivare a pensare anche cose che non esistono. In una parola aiuta ad immaginare, l'aspetto più potente dell'intelligenza.

Tra l'altro una cosa del genere oltre a favorire lo sviluppo dell'intelligenza in ogni singolo individuo di un gruppo umano consente (cosa ben più importante) di costruire un'intelligenza collettiva, che è quella che fa la vera differenza con le altre specie. E' quella che mi permette oggi di scendere sotto casa, entrare in macchina, arrivare al supermercato e fare la spesa per la cena. Senza l'intelligenza collettiva costruita in millenni di storia questa cosa non sarebbe possibile. Con la mia sola intelligenza sarei riuscito al massimo a costruirmi un arco un po' più efficiente di quello di qualche mio compagno di caccia.

Mi chiedo: ma gli altri animali come ci vedono? Probabilmente riconoscono in noi quella specie animale che fa versi in continuazione, senza apparente motivo, rumoreggiando come una pila di fagioli.

 

domenica 7 novembre 2021

Memi culturali

Molto tempo fa ne "Il gene egoista" di Richard Dawkins lessi del concetto di "meme". Secondo Dawkins, che lo ha introdotto per la prima volta proprio in quel suo libro, un meme è semplicemente una unità di trasmissione culturale. Come il gene anche il meme è un replicatore soggetto a mutamenti evolutivi, ma con una velocità di diffusione e mutazione ben più alta. Se il terreno di diffusione del gene è quello biologico, il terreno di diffusione del meme è quello culturale. Come i geni anche i memi possono nascere, diffondersi e prosperare oppure mutare o anche alla fine estinguersi. Tutto dipende dall'ambiente in cui si trovano ad agire.

Trovo interessante andare a cercare esempi possibili di questi memi, anche esempi insoliti, non troppo scontati, forse anche non troppo sicuri. Uno è il seguente.

Il messaggio culturale del movimento cinquestelle negli anni passati è stato: "Io cittadino onesto, che fino a ieri svolgevo la mia attività lavorativa, da domani posso entrare in Parlamento sicuro di poter fare meglio della classe politica, poiché questa è fatta di specialisti che anziché fare politica per la cittadinanza usano la politica a fini personali, in modo disonesto, corrotto, guadagnandoci alle spalle del cittadino. Per fare bene la mia attività di amministratore della cosa pubblica, io cittadino cresco dentro la comunità di tanti altri cittadini come me che si scambiano informazioni, pareri, e prendono decisioni, attraverso l'uso della rete".

Questo che ho raccontato può essere pensato come un meme? Magari è un po' complicato (o anche improprio visto che forse un meme è immaginato come qualcosa di più semplice) ma ci si può provare. Bisognerebbe riconoscerla come un'unità di trasmissione culturale, come un'idea innovativa che può diffondersi nella popolazione, magari anche mutando leggermente e adattandosi a contesti e situazioni un po' diverse da quella in cui è nata.

L'osservazione sperimentale che potrebbe riconoscere tutto questo e che propongo è la seguente.

"Io cittadino onesto, tramite la comunità costituita da tanti altri cittadini onesti che scambiano informazioni tra loro usando la rete, posso decidere su cose che non sono mai state di mia stretta competenza e su cui non ho maturato nessun tipo di esperienza nella mia vita, scavalcando i cosiddetti specialisti che alla fine non sono altro che persone che usano la loro disciplina a fini personali, spesso in modo disonesto e interessato, guadagnandoci sopra alle spalle dei cittadini".

Non sembra lo stesso meme che è partito da un contesto e si è diffuso nella popolazione allargando il suo ambito e generalizzando la sua applicazione? Se ne può trovare una sua ulteriore variante, più specifica ed estremamente diffusa nell'ambiente culturale attuale, dominato dalla pandemia.

"Io cittadino onesto, tramite la comunità costituita da tanti altri cittadini onesti che scambiano informazioni tra loro usando la rete, posso e voglio decidere sulla opportunità di vaccinarmi, valutando correttamente tutte le sue conseguenze, senza ricorrere al parere di medici e scienziati che sono tutti, fatta eccezione di qualcuno che ritrovo dentro la mia comunità di cittadini onesti che usano la rete, sotto lo stipendio delle società farmaceutiche, tutti interessati ai loro fini personali e ai loro guadagni alle spalle dei cittadini".

Concludo ricordando che esattamente come un gene anche un meme può alla fine estinguersi.