domenica 26 agosto 2018

Preoccupazioni sulla Scienza come cultura condivisa

In un precedente post che parlava di scienza e democrazia avevo concluso con una frase un po' preoccupata: "Una società che abbia raggiunto uno stato avanzato di conoscenza scientifica e convivenza democratica non è detto che abbia la capacità di mantenerli, non è detto che non vadano persi". Poco tempo fa ho avuto l'occasione di ripensarci su e di definire meglio questa mia preoccupazione, almeno per quanto riguarda la scienza.

Come dicono alcuni storici il metodo scientifico è nato una sola volta nella storia della civiltà, e lo ha fatto nella Grecia classica ed ellenistica. La scienza moderna del seicento è sostanzialmente una operazione di recupero e rielaborazione conseguente al Rinascimento. Quello che voglio dire è che la scienza è il frutto di una cultura nata e cresciuta in particolari momenti storici e non riproducibile in qualsiasi contesto, come se fosse un dato esterno. Il metodo scientifico si è rivelato un prodotto culturale efficacissimo nel consentire la costruzione di conoscenze del mondo naturale ma presuppone una larga condivisione di queste conoscenze, e non solo tra gli addetti ai lavori. Se la scienza non rimane un dato culturale fortemente condiviso dalla civiltà che la produce è probabilmente destinata ad una involuzione i cui effetti nel tempo sono difficilmente prevedibili e non certo incoraggianti.

La scienza nei suoi ultimi tre secoli di storia ha avuto una accelerazione spettacolare che l'ha portata ad un grado di complessità elevatissimo e le ha consentito di produrre un numero incredibile di risultati tanto da essersi guadagnata un posto particolare nella cultura umana. Ma proprio questo posto particolare rischia di essere un problema. Io credo che la maggior parte dei cittadini di cultura media percepiscano la scienza come un corpo estraneo, piena di tanti bei risultati ormai perlopiù totalmente incomprensibili, fonte di una tecnologia sempre più ricca con la quale però non se ne colgono più i collegamenti logici. Le cose funzionano in un certo modo, perché? Boh, lo dicono gli scienziati. Ma chi sono questi scienziati? Questa alienazione secondo me è preoccupante. Se il cittadino non capisce da dove arrivano le conoscenze o come si costruiscono gli rimane in mano solo un pericoloso principio di autorità su cui prima o poi si sentirà in diritto di esercitare legittimamente la sua libertà di pensiero.

Per molte persone quello che dice la scienza è da considerare alla stregua di una qualunque opinione, il peculiare processo di conoscenza scientifica, che la pone ben al di sopra della formulazione di una semplice opinione, è totalmente ignorato. Al risultato consolidato e largamente condiviso dalla comunità scientifica si può tranquillamente contrapporre il "parere" isolato di un qualche "illustre scienziato" perché sostanzialmente non si comprende la differenza nei metodi.

La situazione a me sembra preoccupante anche dal lato dei comportamenti della comunità scientifica, che in generale non si preoccupa molto di spiegare la scienza perché la scienza si giustifica da sola, il suo valore è scontato, dato per acquisito. Si moltiplicano così le reazioni infastidite degli scienziati attaccati su più fronti in modo irrazionale da un "popolo bue" a cui non possono far altro che contrapporre nozioni imposte da un principio di autorità che, ahimè, è esattamente l'opposto della cultura scientifica, contribuendo quindi in buona misura ad affossarla ulteriormente.

Solo delle buone strutture educative (che evidentemente al momento non stanno funzionando poi così bene) possono farci uscire da questo preoccupante circolo vizioso.