sabato 10 settembre 2022

Salvare il pianeta

Si dice, giustamente, che i problemi ambientali con cui ci troviamo a dover combattere (il più importante, ma non l'unico, è ovviamente la questione del cambiamento climatico) sono anche il risultato di una cultura umana che considera l'ambiente naturale come una proprietà dell'uomo, una cosa a sua completa disposizione. Sotto questo punto di vista la trasformazione dell'ambiente a nostro uso e consumo è sempre stata implicitamente considerata perlopiù legittima. Il nostro vizio di considerarci sempre al centro di tutto è inguaribile, basta dare un'occhiata alle principali religioni che abbiamo (anzi, forse le religioni sono, almeno in parte, proprio una manifestazione di questo sentirsi sempre al centro di tutto).

Questo cozza sempre più con il fatto che l'ambiente naturale è anche il nostro "contenitore" e con il fatto che noi siamo sempre più numerosi, sempre più esigenti, sempre più invasivi. I problemi di ritorno introdotti da crescenti esigenze produttive si cominciano a far sentire in molti modi sempre più preoccupanti per l'ambiente che abitiamo e quindi per noi. E' un problema di ritorno, nel senso che noi ci distinguiamo dall'ambiente che ci ospita, quindi lo utilizziamo a nostro vantaggio, poi scopriamo che lo stiamo modificando in modo forse eccessivo, infine ci rendiamo conto che noi ci stiamo dentro e che, come qualsiasi altra specie, non abbiamo la possibilità di reagire in senso biologico (e forse neanche tecnologico) a modifiche ambientali così repentine. Come è successo più volte nella storia evolutiva della biosfera le trasformazioni ambientali più o meno drastiche, più o meno veloci, hanno prodotto estinzioni (anche molto importanti, vedi le famose estinzioni di massa documentate dai resti fossili).

La cosa curiosa è che spesso anche quegli atteggiamenti sensibili al problema e che denunciano la necessità di cambiare i nostri comportamenti non si affrancano da questa visione antropocentrica che probabilmente ha prodotto il problema, e usa espressioni romantiche come "salviamo il pianeta", salviamolo da questo schifo di specie che siamo noi (antropocentrismo al contrario). L'espressione "salviamo il pianeta" rivela un atteggiamento del tipo "il pianeta è cosa nostra, abbiamo su di lui una grande responsabilità, facciamo i buoni con lui, comportiamoci bene, salviamolo dal grande disastro che possiamo provocare". Trattiamo il pianeta come se fosse il nostro cane domestico, che ha bisogno di noi altrimenti non vive (anche questo in realtà è tutto da discutere), noi siamo il suo padrone e abbiamo delle responsabilità verso di lui.

Un giorno la nostra cultura incontrò quella degli indiani d'America, e sappiamo com'è finita. La nostra visione del pianeta era ben diversa dalla loro. Quelli che per noi erano territori di conquista per loro erano la terra di tutti, non solo umani. "La terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla terra". I nativi americani vedevano tutti gli elementi naturali, loro compresi, come indissolubilmente collegati ad un unico destino. Tutti creati dalla Madre Terra e destinati a tornare ad essa. Tutti manifestazione del Grande Spirito. L'uomo una di queste infinite manifestazioni. “Un uomo non dovrebbe mai camminare con tanto impeto da lasciare tracce così profonde che il vento non le possa cancellare”.

Anche se l'incontro con loro è stato così violento, qualcosa della loro cultura ci sarà pure rimasto, e sarebbe certamente una ricchezza. E' difficile mantenere anche solo in parte questa loro visione del mondo, in questo nostro mondo. Però mi piacerebbe.

 

giovedì 1 settembre 2022

Sentire la puzza

Oggi mi hanno raccontato di una ragazza di grande talento, uscita dal liceo classico col massimo dei voti e iscritta ad una triennale di economia, che dopo il primo anno di corso si è fatta prendere da dubbi sulla scelta fatta dopo aver letto un libro di mitologia greca, una sua passione letteraria. Che le succede?

Lo dico io in poche parole quello che probabilmente le succede.

Il fatto è che questo nostro mondo è una merda. Non l'Italia dove tante cose non si possono fare e i giovani non hanno spazio, ecc. ecc. No, no. Sto parlando del mondo, cioè del nostro mondo occidentale, sviluppato e capitalista. La cultura è fatta di conoscenze ma anche di valori, e noi viviamo in un mondo dove di valori ne sopravvive solo uno, quello dei soldi, quello di vivere per mettere i soldi al pizzo di questa società, pensando di farlo a nostro vantaggio. Tutti gli altri valori sono finti e ipocriti. Pretesti tirati fuori soltanto per parlare.

Il nostro mondo non fa che celebrare ad ogni buona occasione un successo personale fondato sulla capacità di produrre ricchezza, tutti i nostri idoli fanno questo, è spesso anche poco importante come lo fanno, magari rimanendo pur sempre nell'ambito delle cose "corrette", ma non sempre.

Nel nostro mondo comanda questa figura mitica. L'autorevolezza, e anche l'autorità, dipendono da questo. Qualunque attività umana viene misurata sostanzialmente dalla capacità di vendere bene qualcosa. Il marketing è l'anima profonda delle attività umane. Non esistono forme culturali diverse. Un'attività culturale che non abbia questo come fine ultimo non esiste nella considerazione della gente, non ha alcun valore.

E allora è chiaro che i ragazzi in gamba che si affacciano su questo mondo di merda ad un certo punto comincino ad accorgersi di questo aspetto sinistro,  comincino vagamente a sentirne la puzza. E rimangono disorientati, in qualche misura ci soffrono.

Ma purtroppo ci sono dentro, e a questa puzza cercano forzatamente di abituarcisi. Molti potrebbero non uscirne molto bene, ma questo è il mondo in cui devono muoversi, questa è la strada indicata. E la puzza rimane, è lì a farsi sentire. C'è,  si sente.