mercoledì 25 giugno 2008

Benedetto XVI

Ultimamente il Vaticano, tramite un articolo uscito su "Fides", l'agenzia della Congregazione vaticana per l'evangelizzazione dei popoli, si è espresso negativamente sull'uso della bandiera della pace nei contesti prettamente cattolici. Secondo quest'articolo la bandiera è un simbolo sincretistico, che propone l’unità New Age nella sintesi delle religioni. Introdurla nelle chiese e nelle celebrazioni è da considerarsi «un abuso». In sostanza l'uso della bandiera della pace viene interpretato come uno di quegli atteggiamenti di relativismo culturale contro cui si batte Benedetto XVI.

Credo che una caratteristica di questo papa sia la sua volontà di voler definire con un certo rigore la figura del cattolico, il suo credo e la sua morale, e di voler rilanciare un'interpretazione molto ortodossa del cattolicesimo. D'altra parte si tratta dell'autore del Catechismo della Chiesa Cattolica. In questo senso interpreta molto bene il ruolo di capo spirituale di una chiesa "mater et magistra".
Questo si ripercuote in aspetti positivi e negativi.

- Mi sembra che con un papa del genere sia molto difficile l'atteggiamento ormai diffusissimo del credente che "interpreta" a suo modo (leggi a suo uso e consumo) il messaggio evangelico; con una chiesa così presente e così precisa nei messaggi che manda ai fedeli o sei cattolico, e perciò ti comporti da cattolico, o sei qualche altra cosa, ed è bene prenderne coscienza. Non c'è più molto spazio per una fede e una moralità "aggiustata".
Questo tutto sommato mi suona come un fatto positivo.

- E' certo che indicazioni morali così precise e affermazioni così nette e intransigenti non lasciano molto spazio alla discussione e all'interpretazione personale.
Questo per un cattolico mi suona come un fatto negativo.

- Purtroppo questo papa tende a presentare molte delle sue indicazioni morali come considerazioni oggettive e universali ("naturali") che quindi investono necessariamente tutta la società, credente e non credente. Tende inoltre a presentare la fede come la meta ultima del percorso di conoscenza razionale dell'uomo, il suo approdo necessario.
Questo è per tutti sicuramente un fatto molto negativo.

martedì 17 giugno 2008

La Ciaccona

Ho appena finito di sentire in televisione la Ciaccona di J.S.Bach, suonata al violino da Uto Ughi. E' uno dei pezzi per violino solo più famosi nella letteratura di questo strumento. Lo conosco da anni, in genere non perdo mai l'occasione di risentirlo, come in questo caso.

Quello che mi affascina di più di questo brano (e di altri brani simili per strumento solista, sempre di J.S.Bach) è la sensazione di solitudine che trasmette. Non ha però assolutamente nulla di negativo, di triste o di malinconico. E' al contrario una sensazione di solitudine potente, che in quel momento basta a se stessa, che si avventura in un ragionamento, in un viaggio che non deve essere disturbato. Descrive un momento importante ed estremamente positivo, proficuo, del vivere di una qualsiasi persona. Del tipo: lasciatemi pensare da solo, poi torniamo a ragionare assieme.

lunedì 16 giugno 2008

Darwinismo e Fisica Quantistica

Leggendo di evoluzionismo darwinista e di meccanica quantistica mi è spesso venuto in mente che queste due teorie nonostante le loro grandi distanze riguardo sia agli oggetti studiati che ai metodi di studio hanno almeno un paio di elementi che le accomunano.

- Il darwinismo ha caratteri di incomprensibilità che l'accomuna alle teorie quantistiche. Tali incomprensibilità sono legate al fatto che entrambe le teorie dipendono da grandezze non compatibili con l'esperienza umana. Nel caso della meccanica quantistica il comportamento della natura su piccola scala è innaturale in quanto l'uomo non ne ha mai avuto esperienza diretta. Su piccola scala le cose si comportano diversamente da tutto ciò che conosciamo. Nel caso dell'evoluzione biologica in senso darwinista i "prodotti" attualmente osservabili del suo operare sono di una complessità enorme, estremamente difficile da attribuire interamente ai meccanismi "semplici" di selezione naturale, ma questi meccanismi vanno valutati su scale di tempo del tutto innaturali per l'uomo, in quanto l'uomo non ne ha mai avuto esperienza diretta. Sulle grandi scale temporali in cui opera l'evoluzione i risultati che si possono ottenere sono del tutto inimmaginabili, dunque incomprensibili.

- Il darwinismo ha caratteri di imprevedibilità che l'accomunano alle teorie quantistiche. Per queste ultime il concetto di prevedibilità è essenzialmente di tipo statistico. Nel caso dell'evoluzione questa è un fenomeno di tipo non deterministico in cui gli eventi contingenti (storici), non necessari (nel senso non deducibili da leggi generali) assumono un ruolo spesso decisivo. La biosfera non contiene una classe prevedibile di oggetti o di fenomeni, ma costituisce un evento particolare, certamente compatibile con i principi primi, ma non deducibile da essi e quindi essenzialmente imprevedibile.

lunedì 9 giugno 2008

Embrione ed Individuo

Domande ricorrenti: l'embrione è un individuo? E a partire da quando? Io penso che l'embrione sia un ente biologico, un concetto strettamente tecnico; l'individuo è invece un concetto molto più sfumato (e sicuramente più importante). Mentre si può definire molto bene un embrione, senza equivocare, lo stesso non si può dire dell'individuo, a meno che non si voglia ridurre questo concetto a "esemplare specifico di una determinata specie vivente", nel qual caso si perde tutta l'importanza filosofica dell'argomento e tutta la sua specificità legata all'uomo (basti pensare all'attribuzione dei diritti umani e giuridici che ne derivano). Credo che il concetto di individuo non può essere in alcun modo di tipo solo strettamente biologico. Di fatto l'individuo è tale con il passare del tempo, cioè in relazione alla sua storia. E' quest'ultima che probabilmente dà un valore essenziale al concetto di individuo. Già, il punto è che l'embrione è un fatto, e l'individuo è un valore.

"L'embrione è un individuo a partire dal suo concepimento" (da cui discende la necessità di garantirgli tutti i diritti fondamentali che si assicurano ad un individuo) è una frase a cui non riesco ad attribuire un senso preciso, mette insieme due cose che stanno su piani completamente differenti.

Edoardo Boncinelli (biologo genetista) in un suo libro propone di chiamare individuo un embrione che abbia raggiunto due settimane di sviluppo. Una proposta che suona piuttosto artificiale ma che ha una sua giustificazione tecnica e che potrebbe anche mettere d'accordo visioni differenti. Nelle prime due settimane l'embrione è talmente amorfo e non definito che di fatto potrebbe (in modo assolutamente non prevedibile) dar luogo a più individui (gemelli) piuttosto che ad uno solo; inoltre in questo primo periodo non esiste ancora nessun tipo di differenziazione cellulare o di semplice organizzazione spaziale (eventi che si presentano solo dopo il 14-esimo giorno, con l'inizio del processo chiamato gastrulazione).

giovedì 5 giugno 2008

Egocentrismo, Antropocentrismo

Nelle fasi iniziali della nostra vita il tratto distintivo è l'egocentrismo. Impariamo presto il binomio io-restodelmondo e in varia misura ce lo portiamo appresso per tutta la vita. Il bambino in tenera età non concepisce neppure la possibilità che il mondo possa esistere (e di fatto è esistito) senza di lui. La maturazione dell'individuo consiste in gran parte nell'acquisizione progressiva di questo concetto.

Ma spesso il puro egocentrismo delle primissime fasi della vita, sempre più insostenibile almeno nella forma in cui ce lo costruiamo inizialmente, lascia spazio ad un suo surrogato, certamente più "ragionevole": l'antropocentrismo. Il binomio io-restodelmondo diventa il binomio uomo-restodelmondo. E questo concetto, condivisibile pacificamente con tutti gli altri uomini, rimane indisturbato (nella maggior parte dei casi) per il resto della vita. Se proprio non è accettabile assegnare una posizione privilegiata al proprio io nel mondo (idea troppo infantile) almeno cerchiamo di sostenere l'idea che l'uomo come specie abbia una posizione privilegiata, giustificandolo in sostanza con alcune nostre specificità quali il linguaggio, l'autocoscienza, la capacità di descrivere il mondo e di farsene una immagine precisa, ecc.

Succede però che in molte occasioni anche questo ulteriore binomio venga "minacciato" dagli eventi e da osservazioni che "depongono a sfavore". In fin dei conti cos'è che ci dice che occupiamo un posto particolare? Ormai sappiamo che la nostra posizione spaziale non ha niente di particolare, neppure quella temporale sembra avere qualche significato, le specificità accennate precedentemente non sembrano prerogative solo nostre (anche se noi le possediamo in massimo grado), il mondo non ci appare affatto costruito su misura per noi, e dove potrebbe sembrarlo è chiaro che l'argomento si può rovesciare, cioè potremmo essere noi fatti a misura del mondo che abitiamo (che dal punto di vista delle conoscenze che abbiamo attualmente sui meccanismi evolutivi pare una posizione molto più logica).

Molte personalità del mondo scientifico hanno espresso bene quest'idea con frasi sintetiche ed efficaci. Ne cito un paio:

- Gli esseri umani sono animali. Possiamo essere talvolta dei mostri, altre volte individui meravigliosi, ma siamo pur sempre animali. Magari ci piacerebbe pensare di essere degli angeli caduti dal cielo, ma in realtà siamo scimmie in posizione eretta. (Desmond Morris)

- Noi vogliamo essere necessari, inevitabili, ordinati da sempre. Tutte le religioni, quasi tutte le filosofie, perfino una parte della scienza, sono testimoni dell'instancabile, eroico sforzo dell'umanità che nega disperatamente la propria contingenza. (Jaques Monod)