sabato 6 gennaio 2018

Commento ad una statistica

Recentemente l'ISTAT ha pubblicato una statistica che vede un aumento medio del reddito degli italiani. Questo aumento medio è però accompagnato da una maggiore sperequazione, ovvero l'aumento non è uniformemente distribuito, è invece significativo solo sullo strato sociale più benestante ("la crescita del reddito è più intensa per il quinto più ricco della popolazione"), e circa un cittadino su tre è a rischio di povertà o esclusione sociale.

Le statistiche sono uno strumento scientifico molto delicato, occorre molta attenzione sia a scriverle che a leggerle. Purtroppo oggigiorno molte statistiche, spesso di dubbia provenienza, possono essere più strumenti di propaganda che scientifici ma questa che sto citando mi sembra si possa dire attendibile, si può accettare come un risultato che arriva da un istituto molto competente. Comunque in questo momento mi interessa di più l'atteggiamento che si può avere nei suoi confronti, dando quindi per scontato che sia una fotografia attendibile della realtà sociale italiana.

Dunque che si può dire di un risultato del genere? Certamente una cosa banale, ovvero che contiene una informazione positiva e una negativa. Il reddito complessivo (medio) degli italiani aumenta, quindi complessivamente (in media) c'è più benessere e questo è positivo, la disomogeneità di questa ricchezza che lascia all'asciutto una fascia sempre più ampia della popolazione è invece un dato preoccupante. Per tutti.

Ora però potrei aggiungere altre considerazioni condivisibili non proprio da tutti.

La crescita economica è un fenomeno di cui sono solitamente responsabili le classi più agiate. Sono loro che hanno comunque la maggiore probabilità di produrre ricchezza, anche se poi sono loro le prime ad usufruirne. Proprio per questo chi è in grado di trainare la ripresa economica non va ostacolato in nessun modo, anzi, possibilmente favorito. La disomogeneità nell'accesso al benessere (a tutti i livelli, da quello nazionale a quello mondiale) è un fatto fisiologico, non solo non è eliminabile ma in un certo senso è auspicabile, almeno fino a che tale disomogeneità non rischia di diventare un problema di stabilità sociale. Quest'ultima viene generalmente assicurata dalla presenza di una larga fascia di classe media relativamente soddifatta del proprio livello di benessere. La fotografia dell'ISTAT non è da vedere come una contrapposizione tra sfruttatori e sfruttati, tra chi è ricco e continua ad avere la possibilità di arricchirsi e chi è povero e rimane irrimediabilmente fuori dalla possibilità di cambiare a breve la sua situazione, ma piuttosto come la convivenza a distanza tra chi è meritevole a vario titolo di gestire le principali ricchezze del paese avendone anche la responsabilità morale di moltiplicarle, e chi viene trainato dallo sviluppo economico e in parte contribuisce ad esso per quel poco che può fare. In questo contesto il concetto di sfruttamento ha paradossalmente anche una sua almeno parziale legittimità. Io so come utilizzare le risorse e lo faccio per aumentare il benessere anche a scapito di chi comunque non saprebbe fare quello che faccio io.

Il cuore della società (nazionale o mondiale), il suo motore, è costituito da chi detiene le ricchezze e più facilmente di qualsiasi altro può contribuire alla crescita che, in media, sarà quella di tutta la società. Questo motore va protetto, protetto anche da "invasioni esterne" che iniettano "siringhe" di povera gente a cui rendere conto, che finiscono per erodere non tanto la ricchezza delle classi alte quanto ovviamente quella delle classi medie, generando pericolosa instabilità sociale, dannosa per tutti. Da un certo punto in poi il modello sociale non può che essere "noi da una parte, voi dall'altra", troppo pericoloso (o semplicemente utopico) mettere tutto assieme e tener conto delle necessità e dei diritti di tutti. Chi sta dalla parte sbagliata deve essere "tenuto a bada" o "tenuto lontano", cosa sempre più difficile se i rapporti numerici esplodono (questa è la vera preoccupazione). L'ideale sarebbe tenere questi fenomeni sociali necessari sotto controllo, magari "puntellati" attraverso un massiccio uso dei meccanismi della beneficienza e dell'elemosina, che fa sempre contento chi è dalla parte giusta, e male non fa.

Bene, mi sono sforzato di descrivere quella che secondo me è una visione di destra della società (non la mia).

Avere una visione della società è secondo me in generale una cosa buona. Soprattutto nella politica. Il compito dei politici nei confronti dei cittadini sta proprio nell'interpretare una visione della società e tradurla in provvedimenti, leggi, governo, ecc. Una visione della società io la chiamerei anche ideologia, mi pare un termine abbastanza corretto ("complesso di idee proprie di un gruppo sociale, che costituisce la base di un movimento o partito politico"). Il terreno più appropriato per un dialogo vero tra cittadini e rappresentanti politici a me sembra essere proprio quello ideologico, e questo descrivere la nostra società come post-ideologizzata, dove destra e sinistra non hanno più senso mi suona sempre di più come uno dei fattori principali dello scollamento tra elettori e classe politica. Il superamento delle ideologie, il fare le cose non di destra, non di sinistra, ma fare le cose giuste e fatte bene, i governi tecnici che prendono provvedimenti necessari, tutto questo mi sembra devastante per la politica. La politica ridotta a soluzioni tecniche dei problemi (su cui, proprio per il loro carattere tecnico, dovremmo tutti essere d'accordo), in cui l'unica vera difficoltà è l'efficienza, diventa una politica gestibile da algoritmi. Stiamo andando in questa direzione? Forse in parte è già così, vista l'influenza dei meccanismi finanziari, largamente governati da sistemi automatici, nei giochi politici di tutto l'occidente. E' il caso di sottolineare che gli algoritmi sono oggetti tecnologici per loro natura nascosti all'utente finale, ovvero al cittadino.