sabato 31 ottobre 2009

Produttività e pubblico impiego

Nel mio lavoro di insegnante vengo a contatto con molte persone, utenti finali della formazione tecnologica che svolgo, le quali provengono da moltissime società diverse, nei più disparati settori del privato. Lavoro poco con il pubblico ma ogni volta che mi capita è un'occasione di riflessione.

I dipendenti del pubblico impiego vivono letteralmente in un altro mondo, o almeno in un altro mondo del lavoro, cioè con logiche tutte sue, ma questo spesso si riflette talmente tanto anche nella loro vita privata che si può ben dire in una certa misura che vivono in un altro mondo tout court. Due aspetti, legati tra loro, mi sembrano essenziali per caratterizzare il loro ambiente di lavoro: assenza totale di meccanismi di merito, mortificato dall'uso eccessivo della raccomandazione o da dinamiche esclusivamente politiche, e assenza totale di meccanismi di controllo della qualità e dell'efficienza. Sono certamente due aspetti negativi anche per chi ci lavora e non solo per il cittadino che subisce spesso i disservizi di un settore pubblico inefficiente. Ma c'è un terzo aspetto estremamente rilevante ed è il seguente: il posto pubblico quando lo ottieni ti viene assegnato per la vita, non c'è modo di perderlo per quanto pessime possano essere le tue prestazioni, fino ai limiti scandalosi di un parziale assenteismo dal posto di lavoro.

Tutto ciò traspare in modo a volte clamoroso dal comportamento di queste persone: una buona parte di loro ha perso completamente il senso del dovere, la serietà professionale, perfino la curiosità di fare o imparare cose nuove. E non è difficile da capire: se nessuno controlla il mio lavoro, se la carriera o i benefits sono legati alla raccomandazione, se la mia situazione non cambia sia se lavoro bene sia se lavoro male, sia se faccio 10 sia se faccio 100, se l'ambiente in cui lavoro non mi stimola in nessun modo anzi, al contrario mi induce a evitare le attività in quanto "non mi conviene farle", io per quale motivo dovrei impegnarmi? Difficile dare una risposta.

Certo, queste pesanti critiche non sono valide allo stesso modo per qualsiasi ambiente di lavoro pubblico (meno male). Ad esempio è presumibile che in molti uffici di provincia la situazione sia diversa, le realtà piccole sono di sicuro più facilmente gestibili e controllabili. Credo inoltre che molti ambienti stiano in piedi fondamentalmente perchè molte delle persone che ci lavorano sono arrivate a ricoprire quel posto con forti motivazioni personali (si pensi agli ambienti di ricerca, o quelli accademici in genere). D'altra parte le stesse critiche possono essere spesso estese anche a molte realtà private di grandi dimensioni, con la differenza che lì però, in conseguenza di crisi, sono sempre possibili pesanti "ristrutturazioni" che tirano via anche centinaia di persone in un colpo solo.

La cosa più triste nei racconti delle persone che lavorano in questi ambienti è capire che il grosso del problema proviene proprio dal management, dalla dirigenza. In fin dei conti non è poi così strano, il meccanismo meritocratico di un qualsiasi ambiente di lavoro, nonchè i meccanismi di misura della produttività e dell'efficienza, dovrebbero cominciare proprio da loro, anzi, o cominciano da loro o non cominciano affatto. Il contributo negativo della dirigenza è determinante, la loro incapacità di usare bene le risorse è clamorosa, la loro disattenzione totale verso le persone, le loro capacità, le loro competenze e i loro meriti è vergognosa. I dirigenti sono i primi responsabili nel comunicare la visione dell'ambiente di lavoro. E quindi ci rimani veramente male, e capisci molte cose, quando un impiegato di un'azienda che dovrebbe essere privata (è una S.p.a.) ma che di privato non ha veramente nulla (lavora con un unico cliente, un ministero, e dunque non è certo inserita in un vero mercato) se ne esce fuori in modo del tutto innocente dicendoti: "Beh, ma la nostra azienda non ha come obiettivo la produttività". Orrore!

Probabilmente non avrei mai scritto questo post se non fossimo ormai da diversi anni in un periodo di crisi economica e di crisi del mondo del lavoro. Se nella società c'è un buon livello di ricchezza e un mercato del lavoro che fornisce reali opportunità a chiunque voglia lavorare e abbia un po' di talento non ci si preoccupa poi molto delle sacche di inefficienza e di scarsa produttività che possono eventualmente esistere: tu mangi a ufo e rubi lo stipendio che ti danno ma in fin dei conti anche io vivo bene, lavoro con soddisfazione e tranquillità e posso anche sopportarti. Ma se nella società si fatica sempre di più ad avere un lavoro stabile, con le giuste garanzie, se chi lavora deve sempre "stare preoccupato" senza avere margini per migliorare o cambiare la propria situazione, e se nel contempo tutte quelle sacche di inefficienza e improduttività rimangono sostanzialmente immutate facendo diventare quegli ambienti lavorativi degeneri delle vere e proprie "isole di tranquillità" e di sicurezza lavorativa, si rischia di oltrepassare il livello massimo di tollerabilità ed incazzarsi come bestie ogni qualvolta ci si scontra con la situazione.

venerdì 23 ottobre 2009

Destra e Sinistra

A me sembra che la situazione attuale della politica italiana sia di un tale degrado culturale ed etico che la distinzione tra politici di destra (conservatori) e politici di sinistra (progressisti) è una cosa non tanto superata, come ormai dicono in molti, ma più che altro una cosa che non ci possiamo permettere, perchè al momento non abbiamo una classe politica che sia capace di esprimere idee sufficientemente definite su alcunchè. E' difficile osservare comportamenti e dichiarazioni che vadano molto al di là del puro opportunismo politico. Destra e sinistra esprimono visioni generali della società, all'interno delle quali costruire movimenti politici di grande respiro, ma sono proprio queste visioni della società a mancare dalla scena politica italiana (a meno che non si voglia fare riferimento al vecchio ma in buona parte realizzato programma politico della P2 ....).

Mi sembra il tempo quindi di riprendere i vecchi concetti di destra e sinistra, magari aiutandomi con il famoso libretto di Norberto Bobbio ("Destra e Sinistra, ragioni e significati di una distinzione politica"), tanto per fare una cosa desueta, dal sapore del tutto teorico (nel senso spregiativo del termine), o semplicemente per fare un esercizio di memoria, che a una certa età non guasta.

Sinistra significa attenzione verso le politiche di uguaglianza. Destra significa accettazione delle disuguaglianze, e sfruttamento delle stesse come volano per l'intera società. Quasi tutte le politiche significative della destra e della sinistra sono riconducibili a questi due principi generali. Anche le loro eventuali degenerazioni (estremismi). Tutto ciò può essere un po' troppo poco per caratterizzare questi due orientamenti politici ma in certi casi le semplificazioni e le classificazioni (specie se così generali) possono aiutare. Credo che il libro di Bobbio vada proprio inteso in questo senso.

Le frasi che ho scelto del libro di Bobbio sono le due seguenti (non proprio riportate alla lettera):

Il criterio più frequentemente adottato per distinguere la destra dalla sinistra è il diverso atteggiamento che gli uomini viventi in società assumono di fronte all'ideale dell'eguaglianza, che è, insieme a quello della libertà e a quello della pace, uno dei fini ultimi che si propongono di raggiungere e per i quali sono disposti a battersi. (Norberto Bobbio)

Gli uomini sono tra loro tanto uguali che disuguali. Sono uguali se si considerano come genere, sono disuguali se si considerano come singoli. Si possono chiamare egualitari (sinistra) coloro che ritengono più importante per una buona convivenza ciò che accomuna gli uomini; inegualitari (destra), coloro che, al contrario, ritengono più importante per attuare una buona convivenza, la loro diversità. L'egualitario parte dalla convinzione che la maggior parte delle diseguaglianze sono sociali, e in quanto tali, eliminabili. L'inegualitario invece parte dalla convinzione opposta, che siano naturali e, in quanto tali, ineliminabili. (Norberto Bobbio)

Il mio proposito è quello di continuare questo (futile) esercizio individuando delle "applicazioni" dei concetti di destra e sinistra nei temi della società attuale. Nei prossimi post.

domenica 11 ottobre 2009

Il tramonto

Cammino per il centro di Firenze, da solo. Vado un po' a caso. Passo davanti alla Galleria degli Uffizi, non raggiungo il fiume ma giro a destra. Un ulivo, posizionato all'angolo di un incrocio, come fosse un monumento, circondato da targhe in tutte le lingue, mi ricorda l'episodio che rende famoso questo posto: sono in via dei Georgofili.

La targa parla di 5 morti e 41 feriti. I cinque morti sono un'intera famiglia, papà, mamma e due bimbe, e un giovane studente. Nadia Nencioni, la più grande delle due bimbe vittime dell'attentato (9 anni), scrive dei semplici versi tre giorni prima, a scuola. Sul muro restaurato dell'Accademia dei Georgofili c'è affissa la fotocopia della pagina di quaderno di Nadia. Leggo:

Il tramonto

Il pomeriggio
se ne va
il tramonto si avvicina
un momento stupendo
il sole sta andando via (a letto)
è già sera tutto è finito.

Nadia Nencioni (1993)