domenica 18 settembre 2016

Quale cultura manca?

Una di queste mattine alla radio sento un ragionamento tipico di questi ultimi giorni che più o meno suona così: in Italia non si mettono in sicurezza gli edifici per proteggere adeguatamente le persone dai terremoti, questo lo dobbiamo anche ad una cronica carenza di cultura scientifica nel nostro paese.

Diciamola bene, non trattare il rischio sismico in zone dove questo rischio è molto alto è una mancanza di cultura tecnologica. Benchè scienza e tecnologia siano discipline in costante comunicazione tra loro, si possono distinguere. Lo studio dei terremoti, delle loro cause, della loro prevedibilità o imprevedibilità, dei loro effetti sull'orografia, attiene alla scienza; lo studio dei rischi di sicurezza collegati agli effetti del terremoto sulle abitazioni civili e la loro mitigazione o eliminazione attiene alla tecnologia. Non è una separazione così oziosa, non serve a dire chi si occupa di cose importanti e chi no, serve a fare chiarezza sui vari ambiti di una conoscenza complessiva. Conoscere tutti gli elementi possibili di un fenomeno naturale come il terremoto aiuta a sviluppare piani tecnologici antisismici, che però coinvolgono parecchi altri saperi. La tecnologia quasi sempre fa convergere in modo necessario una serie di saperi eterogenei, questo è probabilmente il suo principale motivo di fascino e la sua intrinseca complessità.

Probabilmente siamo ormai avvezzi a chiamare sempre in causa la nostra ignoranza scientifica, lo facciamo in varie occasioni a sproposito. Forse è anche una semplificazione del linguaggio giornalistico. Magari dietro c'è il fatto che siamo convinti che la cultura tecnologica sia ormai solo quella digitale e che questa si misuri semplicemente dal numero dei dispositivi elettronici che compriamo. Banalizziamo tutto.

sabato 3 settembre 2016

Un esperimento di satira

Oggi mi è capitata l'occasione di riflettere sulla satira e sui suoi meccanismi. Ciò grazie ad un esperimento fatto in un certo senso anche su me stesso. Mi riferisco alla vignetta di Charlie Hebdo sul recente terremoto in Italia.

La vignetta (in francese) si intitola "Séisme à l'italienne" (terremoto all'italiana), e mostra tre tipi di pasta italiane con sotto le vittime del terremoto, il sugo della pasta è il sangue, le lasagne finali sono strati di morti e macerie.

Avevo già scritto (qui) sulla libertà di espressione relativamente ad altre vignette sempre della stessa testata, che avevano causato un tragico episodio di violenza. Ovviamente continuo a pensare quello che avevo scritto allora: "Non tollerare la satira (comunque venga fatta) fino a pensare di eliminare fisicamemte chi la fa è simbolico di un attacco inequivocabile alle libertà fondamentali che una società deve secondo me conservare a tutti i costi". Ma l'esercizio è stato questa volta quello di controllare razionalmente un certo sbandamento iniziale dovuto al fatto che la satira adesso colpiva me, o meglio gli italiani, di cui mi sento parte.

La prima sensazione è stata una buona dose di irritazione nel vedere una vignetta tutto sommato brutta. Tra l'altro seguita da un'altra, che avrebbe voluto spiegare meglio la prima, ancora più brutta. Sinceramente questa irritazione nel vedere a suo tempo le vignette (almeno altrettanto brutte) su Maometto non c'era stata. Quindi che la vignetta fosse brutta non c'entrava granchè. Anzi, ripensandoci, il fatto che fosse brutta forse mi risolveva un problema. Credo che proprio per questo ci ho messo anche il carico da undici mettendo in dubbio la qualità di quella satira.

Fin qui la dimensione strettamente personale dell'esperimento. Poi forse ce ne è anche una sociale. Il rilevare un po' ovunque una sequela di giudizi negativi su queste vignette ha probabilmente alimentato il mio conformismo, così come lo avrà fatto su tutti i miei concittadini.

Il risultato è che ho indubbiamente constatato che farsi troppo coinvolgere sul piano emotivo da una parte rischia di nascondere elementi importanti del messaggio satirico, analizzabili solo sul piano razionale, dall'altra però mette bene in luce la sua carica di provocazione. Nell'episodio delle vignette su Maometto il distacco emozionale aiuta a ridimensionare il problema (in fondo è solo una vignetta) e a vedere bene l'enormità delle reazioni intolleranti e censorie, ma certamente non aiuta affatto a capire la quantità di forza contenuta in quella satira (sembravano vignette abbastanza sceme e basta).

Quindi mi sono trovato esattamente all'opposto: forte emozione e fastidio perchè l'obiettivo mi coinvolgeva (era indubbiamente diretto anche a me) e qualche difficoltà a recuperare il piano razionale e ad analizzare quello che era stato scritto. La misura di questa difficoltà è data dal fatto che è stato necessario per me andare a riguardare la vignetta e ragionarci su a mente più fredda (aiutato anche da alcune considerazioni fatte e lette sui social).

E' stato anche molto interessante vedere che questo "raffreddare la mente" è un passaggio che non è detto che si riesca a fare, e per alcuni può essere giustificato (ad esempio per i parenti delle vittime, immagino) mentre per altri un po' meno (qualche giornalista, per esempio). Ovviamente ognuno deve fare i conti con le proprie sfere emozionale e razionale e alla fine, prima o poi, trovare un equilibrio.

La vignetta è tremenda ma il messaggio satirico, la critica sociale all'Italia, spietata ma purtroppo anche vera, è altrettanto chiaro e preciso. Non siamo capaci di proteggere i nostri cittadini da un terremoto che ai nostri tempi si può considerare di intensità medio-bassa, e questo non dipende da due o tre politici corrotti ma dall'intera società italiana, in varia misura, di cui anche io faccio parte. La forza di questa vignetta (e certamente anche la sua capacità di essere fastidiosa e graffiante) viene anche dal fatto di essere scritta da stranieri e probabilmente per stranieri.

Un bell'esperimento, con risultati inaspettati ma proprio per questo istruttivi e utili per il futuro.