giovedì 1 aprile 2010

Le quattro stagioni

I quattro concerti denominati "Le quattro stagioni" (1725) di Antonio Vivaldi (1678-1741) sono un lavoro famosissimo, anche se con un destino un po' strano (è stato riscoperto solo ai primi del novecento, come tutta la produzione di Vivaldi). Le cose famosissime hanno sempre un peso culturale eccessivo, sono ingombranti, è quasi un dovere conoscerle. Questo in genere è sufficiente per evitarle accuratamente. Almeno credo che per molti funzioni così. In fondo non è strano. Molte persone istintivamente cercano di non farsi sopraffare dalla "Grande Cultura", quella che "non si può non conoscere", quella che "non si può non amare", e via di questo passo. E' sicuramente meglio seguire la propria sensibilità, la propria curiosità, senza preoccuparsi troppo. Altrimenti si rischia il conformismo.

Quindi risulta sempre difficile parlare di questi quattro concerti senza apparire un barboso. Però è un peccato. Io li conosco da quando avevo 9-10 anni e sono parte integrante della mia cultura musicale. Me li hanno fatti sentire per la prima volta a scuola (le elementari) e non mi sono mai apparsi come una cosa pesante, chissà perchè. Mi piace pensare che in quel caso il maestro che ce li ha proposti è stato bravo.

Quindi voglio esagerare: io trovo questi concerti rappresentativi della straordinaria capacità di invenzione dell'uomo in musica. Si tratta di un capolavoro assoluto. Io li spedirei nello spazio per far capire ad un' eventuale civiltà extraterrestre il livello di ingegno raggiunto dall'uomo nella sua storia, almeno in campo musicale (lo dicevo che avrei esagerato).

Per di più appartengono ad una raccolta di concerti il cui titolo ha un fascino e un significato particolari: "Il cimento dell'armonia e dell'invenzione", ovvero l'equilibrio di due opposti, la regola (il canone) e la capacità di superarla, di pensare oltre. Una dinamica tipica di molte grandi opere d'arte.

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